Posto delle fragole (Il) - Smultronstallet
Regia: | Ingmar Bergman |
Vietato: | No |
Video: | San Paolo Audiovisivi |
DVD: | San Paolo Audiovisivi |
Genere: | Allegorico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Ingmar Bergman |
Sceneggiatura: | Ingmar Bergman |
Fotografia: | Gunnar Fischer |
Musiche: | Gote Loven, Erik Nordgren |
Montaggio: | Oscar Rosander |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Bibi Andersson Sara, Lena Bergman Kristina, Bjorn Bjelfvenstam Viktor, Gunnar Bjornstrand Evald, Gunnel Brostrom Signora Alman, Monica Ehrling Birgitta, Ake Fridell Amante moglie Isak, Gertrud Fridh Moglie di Isak, Maud Hansson Angelica, Jullan Kindhal Agda, Gunnel Lindholm Charlotta, Goran Lundquist Benjamin, Yngve Nordwall Zio Aron, Eva Noree Anna, Gio Petre' Sigbritt, Vendela Rudback Elisabeth, Sif Ruud La zia, Gunnar Sjoberg Ingegner Alman, Per Sjostrand Sigfried, Victor Sjostrom Isak Borg, Per Skogsberg Hagbart, Folke Sundqvist Anders, Ingrid Thulin Marianne, Max Von Sydow Akerman, Naima Wifstrand Madre di Isak, Ann-Mari Wiman Eva Akerman, Helge Wulff Il rettore |
Produzione: | Svensk Filmindustri |
Distribuzione: | Collettivo dell’Immagine - Zari Film |
Origine: | Svezia |
Anno: | 1958 |
Durata:
| 91'
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Trama:
| Un noto medico e professore, giunto alla tarda vecchiaia, pur avendo ottenuto, nella sua attività professionale, i più ambiti riconoscimenti, si rende conto, a poco a poco, che il suo radicato egoismo ha fatto sì ch'egli si trovi ora nella più gelida solitudine. Un sogno angoscioso lo induce a riconsiderare l'atteggiamento di larvata ostilità, da lui tenuto, durante la sua lunga vita, nei confronti del prossimo, e lo porta all'implicito riconoscimento del suo errore. Un incontro casuale con un gruppo di giovani fervidi e pieni di vita fa comprendere al vecchio medico l'infinito vantaggio che può recare al suo spirito una maggior comprensione del problemi di quanti gli vivono accanto; a cominciare da quelli che a lui sono legati da stretti vincoli: il suo figliolo (anch'egli sulla via della cristallizzazione in un altrettanto gelido egoismo) e la tenera e trepida moglie di questo, in procinto di divenire madre.
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Critica 1: | Un vecchio medico parte in auto con la nuora, carica una coppia di autostoppisti, va a trovare la vecchissima madre, arriva all'università di Lund dove si festeggia il suo giubileo, il 50° anniversario della sua attività professionale. Alle vicende del viaggio si alternano sogni, incubi, ricordi che si fanno parabola sulla morte nascosta dietro le apparenze della vita. "... non avevo capito che V. Sjostrom si era preso il mio testo, l'aveva fatto suo e vi aveva immesso le sue esperienze... Si era impadronito della mia anima nella figura di mio padre e se ne era appropriato..." (I. Bergman). E, forse, il più alto risultato di Bergman negli anni '50. Orso d'oro al Festival di Berlino 1958 e molti altri premi. Il grande regista e attore Sjostrom (1879-1960) morì 3 anni dopo le riprese. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Presentato al festival di Berlino (1958), Smultronstället - 93 minuti di proiezione - ottenne l'Orso d'oro: fu la consacrazione internazionale di un regista che già aveva raccolto successi vistosi, con Kvinnors väntan (Donne in attesa), Gycklarnas afion (Una vampata d'amore), Sommarnattens leende (Sorrisi di una notte d'estate) e Det sjunde inseglet (Il settimo sigillo), fra il 1952 e il '56. In effetti, di tutti i film citati e dei molti altri da lui girati (Bergman aveva esordito nel 1945), questo è il più complesso e ricco di motivi culturali.
Smultronstället si impernia su tre elementi che convergono progressivamente nel corso di una vicenda assai elaborata: la memoria, la solitudine e la morte. Alla fine si fondono nel sorriso sereno del vecchio professor Isaak Borg, ormai pronto ad accettare il destino. È il giorno in cui all'università di Lund è stato celebrato il suo giubileo di medico illustre.
La giornata era cominciata male, con un sogno funesto. Il settantottenne professore si era smarrito in una zona sconosciuta della città. Aveva visto un orologio senza lancette e s'era imbattuto in un carro funebre da cui all'improvviso era caduta la bara e dalla bara era uscita la mano di un vecchio (lui stesso) che tentava di trascinarlo con sé. Svegliandosi capì che tutto sarebbe stato, in quella giornata di festa, il segno della fine. Parte in macchina per Lund. Lo accompagna la nuora Marianne che, dopo essere stata sua ospite per un mese, ha deciso di tornare dal marito Evald, dal quale è sul punto di dividersi. Per strada, sostano ai margini di un bosco. “Venivo qui d'estate in una casetta, quando avevo dieci anni. In famiglia eravamo dieci figli”, racconta a Marianne, che non gli nasconde il disgusto che prova per la sua grettezza. È il bosco in cui la cugina Sara andava a raccogliere le fragole. La rivede, le parla, lei ragazza di sessant'anni prima, lui il vecchio di oggi. Sara, allora, faceva la civetta con il cugino e trascurava lui: le sembrava di non essere degna di un uomo come Isaak così serio e nobile. Borg ora sente una voce femminile e sue spalle. Si riscuote, e scopre una ragazza identica alla cugina di allora. Si chiama Sara anche lei. Va in Italia con due amici. Gli chiede un passaggio fino a Lund. Ripartono insieme. Cammin facendo prendono a bordo anche una coppia di coniugi attempati, e assistono al miserando litigio di due esseri estranei e nemici. Durante la sosta in un ristorante sul mare, Borg intrattiene piacevolmente i suoi giovani amici. Poi, con Marianne, va a visitare la vecchissima madre, che gli mostra un album di famiglia e un orologio senza lancette (come quello del sogno).
Tornati dai ragazzi che li hanno attesi (gli amici di Sara, intanto, si erano picchiati per una di puta sull'esistenza di Dio), si rimettono in viaggio. Piove. Guida Marianne. Borg si addormenta, e sogna nuovamente della sua Sara. La vede correre in un bosco e raggiungere una culla sotto gli alberi. La vede in una casa suonare il piano e baciare teneramente il cugino. Infine, entra in un lungo corridoio, si trova in un'aula universitaria, dove un severo professore lo interroga lo boccia. Per punizione (“non posso risparmiarle questa prova”) costui lo conduce in un bosco, costringendolo ad assistere al colloquio di sua moglie con l'amante (la donna parla della sua insensibilità, dello schifo che gli ispira) e all'amore dei due sull'erba.
Si sveglia. Marianne lo guarda. E Borg, che prima aveva sempre rifiutato (“non immischiatemi nelle vostre beghe familiari”), ora è pronto ad ascoltare il dramma della nuora e del figlio. E a “vedere” la scena dello scontro fra i due. Marianne aspetta un bambino. Scende dall'auto, sotto la pioggia. Evald è spietato: “Sai che io non voglio bambini. La vita è una cosa assurda”. Riecco Borg e Marianne in macchina. Il vecchio non ha parole, la disperazione della nuora lo accascia. Sciolgono di colpo la tensione i tre ragazzi che si erano allontanati e che ora ricompaiono con un mazzo di fiori per il benemerito professore (d'altronde, già prima, Borg aveva ricevuto un affettuoso gesto di gratitudine da parte di un benzinaio da lui beneficato). Lentamente, luci e rumori scompaiono: il vecchio rimane solo. Lo ritroviamo all'università, festeggiato dal rettore con un solenne discorso in latino. E lo rivediamo per l'ultima volta, la sera, in casa di Evald. Qualcosa è successo. Evald e Marianne escono insieme. Dalla strada giungono le voci dei ragazzi che fanno la serenata al vecchio amico. Evald viene a dargli la buona notte. Poi, nella stanza dove Borg è già a letto, entra Marianne. Lo abbraccia: “Ti voglio bene”. Isaak pensa all'infanzia. Rivede i suoi genitori, felici, fra i pescatori, sulla riva di un lago. Si addormenta.
Ingmar Bergman (Upsala, 14 luglio 1918) ha percorso le strade di generi diversi (dal dramma alla commedia all'opera lirica) con un dominio così fermo del mezzo espressivo da non commettere mai errori (e da non incappare mai in insuccessi: la sua è una carriera costantemente fortunata). Autobiografico sempre, in forme ora allusive ora dirette, espone con impeccabile rigore ossessioni e problemi che, muovendo dal groviglio della psiche, finiscono per riflettere le inquietudini di una classe (la borghesia) e di un paese (la Svezia) cui è toccato in sorte di vivere ai margini dell'Europa, in una condizione di isolamento e di benessere (sentiti a volte, nell'ottica del luteranesimo, come colpa). La “marginalità” consente a Bergman di adoperare, con distaccata competenza, tutti i materiali nobili della cultura occidentale: il tema della memoria di derivazione proustiana, il tema della alienazione dell'individuo (l'angoscia kafkiana), l'analisi delle pulsioni inconsce rivissute attraverso l'esperienza del surrealismo (qui, la sequenza del primo sogno), il “realismo magico” di matrice anglosassone (da Christopher Morley a Thornton Wilder), il recupero dell'irrazionalismo nietzschiano. Di specificamente suo (di nazionale) a tutto ciò aggiunge l'eredità di Strindberg, l'irrimediabile lacerazione esistenziale provocata dall'unione-scontro dei sessi. |
Autore critica: | Fernaldo Di Giammatteo |
Fonte critica: | 100 film da salvare, Mondadori |
Data critica:
| 1978
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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