Donna scimmia (La) - Mari de la femme à barbe (Le)
Regia: | Marco Ferreri |
Vietato: | No |
Video: | Cecchi Gori Home Video |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Raphael Azcona, Marco Ferreri |
Sceneggiatura: | Raphael Azcona, Marco Ferreri |
Fotografia: | Aldo Tonti |
Musiche: | Teo Usuelli |
Montaggio: | Mario Serandrei |
Scenografia: | Mario Garbuglia |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Antonio Altoviti, Donna Badoglio, Antonio Cianci, Linda De Felice, Vittorio Esposito, Annie Girardot, Maria Achille Majeroni, Elvira Paoloni, Filippo Pompa Marcellini, Ugo Rossi, Jacques Ruet, Ugo Tognazzi, Antonio Focaccia |
Produzione: | Carlo Ponti per Compagnia Champion (Roma) - Les Films Marceau Cocinor (Parigi) |
Distribuzione: | Cineteca Nazionale - Cineteca dell’Aquila |
Origine: | Francia - Italia |
Anno: | 1964 |
Durata:
| 92’
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Trama:
| Avendo vissuto sempre di espedienti, Antonio Focaccia decide di sfruttare una magnifica occasione: scoperta una giovane donna resa mostruosa da una fitta peluria che la ricopre, la convince ad abbandonare l'ospizio in cui vive nascosta e ad esibirsi pubblicamente in un rudimentale spettacolo, come unico esemplare vivente di donna-scimmia. Maria - questo è il nome dell'infelice creatura - accetta la proposta e finisce con l'affezionarsi profondamente ad Antonio. Dopo alcuni mesi l'uomo, un po' per pietà e molto per interesse, sposa Maria, legandola in tal modo definitivamente a sè. Accettata la proposta d'un impresario francese, i due si recano a Parigi, dove Maria s'accorge di attendere un figlio. Antonio e la moglie tornano a Napoli, ma durante il parto madre e figlio muoiono. Un museo accoglie i loro corpi imbalsamati, ma Antonio, sempre pronto a sfruttare ogni occasione, reclama i due corpi per mostrarli al pubblico in un baraccone da fiera.
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Critica 1: | Scoperta in un monastero, Maria, donna interamente ricoperta di peli, il trafficone Antonio Focaccia la sposa e la espone come un fenomeno da fiera. Tra i due nasce l'amore, e poi un bambino. Maria muore di parto e il figlio non le sopravvive, ma il marito continua a girare le fiere esponendo i corpi imbalsamati. Per intervento del produttore Carlo Ponti quest'ultima parte fu eliminata. Il film si chiude con la morte della donna barbuta. E un grottesco che continua con sgradevole genialità il discorso sull'anormalità familiare e sulla dimensione mostruosamente economica della convivenza sociale avviato con L'ape regina (1962). |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Marco Ferreri è un regista situato al polo opposto a quello dei registi della Nouvelle Vague. Mentre in questi ultimi si nota lo sforzo di evitare la storia e i significati e di operare soltanto sulla superficie stilistica per definire non già un determinato contenuto bensì il senso della stessa ricerca formale alla quale si dedicano; Marco Ferreri, lui, potrebbe essere chiamato un regista contenutista, per il quale i problemi di linguaggio addirittura non esistono. Il modo di girare di Ferreri è infatti «normale», ma ad una riflessione più attenta si comprende che questo linguaggio «normale» gli è necessario per dare tutto lo spicco possibile ai suoi contenuti. E quali sono questi contenuti? Si è molto parlato, a proposito di Ferreri, di «humour nero»; e in certo modo l'osservazione non manca di verità; soltanto che l'humour nero è sempre, in fondo, abbastanza gratuito e indiretto. In Ferreri c'è invece una carica di amarezza e di crudeltà paradossali che rivela la presenza d'un risentimento profondo. Si direbbe che egli nutra un odio accanito non tanto contro le convenzioni sociali di cui si fa beffa, quanto contro la società stessa, in carne e ossa, che di queste convenzioni si serve. In questo senso, piuttosto che ai registi dell'humour nero Ferreri rassomiglia ad un rivoltato di tipo sadico e profanatorio come Jean Genet. E il suo gusto per l'orrido, il ripugnante e il deforme ha nella sua opera la stessa funzione demistificatrice che l'erotismo in quella di Genet. L'ultimo film di Ferreri, La donna scimmia, racconta la storia d'un poveraccio avvezzo a vivere di espedienti il quale un giorno s'imbatte in una giovane donna di nome Maria ricoperta dalla testa ai piedi di una mostruosa villosità. Il nostro uomo fiuta l'affare, ottiene dalle suore che l'hanno adottata di portarsi via la ragazza. organizza un baraccone e lì, vestito da esploratore, mostra ogni giorno allo spettabile pubblico la vera donna scimmia che si arrampica sugli alberi, digrigna i denti ed emette voci inarticolate. Gli affari vanno bene, tanto bene che si verifica tra il mostro e il suo manager il noto fenomeno dell'alienazione proprio a tutti gli sfruttamenti industriali: il manager tratta Maria come una merce e s'illude che lo sia; Maria dal canto suo non si rende conto d'essere trattata come una merce e così accetta di esserlo. Ma nessun uomo è una merce, almeno per lungo tempo, anche se è ricoperto di peli come una scimmia; e così Maria s'innamora del suo manager, e l'amore la rende cosciente e lei allora si rivolta contro lo sfruttamento e mette un aut aut: o sposarla oppure rinunziare a lei. Dopo un momento di stupore, l'uomo sceglie la prima alternativa. Così i due si sposano; e una volta marito e moglie, un po' per tornaconto, un po' per compassione e un po' forse per un'oscura inclinazione erotica, il manager finisce per accoppiarsi con il suo mostro. Ma quando Maria resta incinta, l'animo dell'industriale si ridesta nel marito che le propone di sfruttare il neonato che sarà senza dubbio anche lui un mostro, esponendo lei e il bambino nel solito baraccone. La povera donna ha una violenta reazione e il marito si deve convincere che purtroppo essa è, dopo tutto, un essere umano. Il parto non riesce bene, madre e bambino muoiono. Allora, per la terza volta, le ragioni del commercio prevalgono su quelle del cuore: il vedovo sfrutterà le due salme debitamente imbalsamate, nel solito modo tenuto allorché Maria era viva. Ma lo farà con tristezza e un certo quale sentimento di colpa dimostrando così che, anche lui, dopo tutto non è un mostro bensì un uomo.
Abbiamo voluto sottolineare, raccontando questa vicenda di due mostri, l'uno fisico e l'altro morale, il carattere simbolico del film; ma si tratta di simboli oscuri quali appunto affiorano tutte le volte che vengono toccati argomenti come questi, connessi in qualche modo con il senso comune. In realtà Ferreri ha sentito e s'è identificato con simpatia con i due protagonisti: donde i simboli nonché la vitalità dei due personaggi, specie della donna. Ferreri ha tratteggiato con molta delicatezza la figura del povero mostro, attribuendole i sentimenti d'una donna normale che però proprio dal contrasto con l'anormalità dell'apparenza fisica acquistano uno spicco straordinario e commovente. Anche il marito della donna scimmia, pur con qualche ambiguità di disegno, è un personaggio riuscito. L'interpretazione di Annie Girardot è eccezionale per efficacia e intelligenza della parte. Ugo Tognazzi un po' generico, riesce tuttavia a convincerci della sua complessiva umanità.
PS: La scena conclusiva del film è stata in seguito tagliata dalla produzione. Non posso che dispiacermene così nel caso particolare, perché era una conclusione logica e, nella sua crudeltà, illuminante; come in generale, perché un'opera d'arte andrebbe sempre presentata nella sua integrità. |
Autore critica: | Alberto Moravia (sta in Moravia al/nel cinema, fondo A. Moravia, 1993) |
Fonte critica: | L'Espresso |
Data critica:
| 9/2/1964
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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