Bambini ci guardano (I) -
Regia: | Vittorio De Sica |
Vietato: | No |
Video: | Pantmedia, Gruppo Editoriale Bramante (Indimenticabili, Cinecittà) |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | I bambini ci guardano |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal romanzo "Pricò" di Cesare Giulio Viola |
Sceneggiatura: | Vittorio De Sica, Maria Doxelofer, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Margherita Maglione, Cesare Giulio Viola, Cesare Zavattini |
Fotografia: | Giuseppe Caracciolo, Romolo Garroni |
Musiche: | Renzo Rossellini |
Montaggio: | Mario Bonotti |
Scenografia: | Vittorio Valentini |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Emilio Cigoli (Andrea), Giovanna Cigoli (Agnese), Luciano De Ambrosis (Pricò), Augusto Di Giovanni (fratello di Andrea), Riccardo Fellini (Riccardo), Jone Frigerio (la nonna), Cesare Gabrielli (se stesso), Zaira La Fratta (Paolina), Claudia Marti (Dada), Guido Morisi (Gigi Sbarlani), Nicoletta Parodi (Giuliana), Isa Pola (Dina), Adriano Rimoldi (Roberto, l'amante di Dina) |
Produzione: | Scalera Film-Invicta Scalera |
Distribuzione: | Cineteca Nazionale |
Origine: | Italia |
Anno: | 1943 |
Durata:
| 90'
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Trama:
| Le avventure di una donna disonesta, moglie di un bravo impiegato di banca e madre di un grazioso bambino, la quale dopo aver vergognosamente abbandonato la casa una prima volta e dopo aver ottenuto dal marito il perdono, torna a fuggire con il suo amante per la seconda volta provocando il suicidio del marito che non può rassegnarsi a perderla e lo strazio del povero bimbo il quale guarda, vede, giudica e soffre con la disperazione della sua piccola anima dischiusa per la prima volta al lume della cattiveria umana.
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Critica 1: | Dal romanzo Pricò (1922) di Cesare Giulio Viola: un bambino di sette anni vive con i suoi occhi lucidi e disperati la triste storia dei dissapori coniugali dei suoi genitori. Quinto film di De Sica, e il primo in cui fa i conti non soltanto col "sociale", ma con la sostanza umana. Sarebbe un banale fotoromanzo se non fosse per lo sguardo di Pricò (e per la cinepresa di De Sica che lo guida, affamata di realtà) che toglie la maschera a una pace e a un ordine soltanto apparenti. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Il film è uno sguardo gettato sul mondo degli adulti da un fanciullo che osserva, comprende solo in parte, recepisce dolorosamente situazioni di cui diventa involontario testimone, senza che abbia una colpa specifica se non quella di essere nato in una famiglia in cui predominano l’egoismo e l’indecisione. De Sica decise, infatti, di mutare il titolo Pricò del romanzo di Cesare Giulio Viola nel titolo definitivo del film per spostare l’attenzione dal bambino a ciò che invece lo stesso fanciullo riesce a fissare relazionandosi con un mondo che non è il suo e che vede con passiva sofferenza. Da una parte Pricò, dall’altra i genitori, i quali rappresentano quell’universo incomprensibile per il bimbo, sballottato da un parente all’altro, da una contingenza all’altra, da un’accusa (in particolare quelle della nonna, che si scaglia contro la cattiva educazione ricevuta dal nipote a causa della condannabile moralità della nuora) alla successiva, fino alla saturazione che avviene quando il bambino vede ancora una volta la madre cedere con mal palesata resistenza alle lusinghe di Roberto. Il disgusto e il dolore del bambino si manifestano con una fuga disperata che dovrebbe portarlo a Roma, ma poiché la tenera età non gli permette di acquistare un biglietto del treno e gestire in prima persona il suo viaggio, il fanciullo risulta costretto a muoversi nell’arco di due chilometri dall’albergo estivo in cui risiede. Inevitabile quindi la cattura da parte dei carabinieri e la restituzione alla madre.
La fuga di Pricò è un tentativo spurio di evadere da un universo che pare ormai irrimediabilmente omologato, caratterizzato da sotterfugi, frasi dette a mezza voce e amorazzi clandestini: tutti gli adulti che interagiscono con il bambino si prestano a quest’osservazione, da Paolina (che flirta di nascosto con il farmacista), alle sarte che lavorano dalla zia (che raccontano in presenza di Pricò le loro avventure), ai villeggianti snob che si incontrano ad Alassio, per giungere alla stessa madre, la quale è sicuramente più interessata alla sua tresca – a cui si abbandona con incedere dolente, quasi ineluttabile – che alla serenità del figlio. La maternità in I bambini ci guardano ha il volto della colpa tratto direttamente dalle tonalità del feuilleton: la madre di Pricò appare combattuta tra il suo dovere familiare e la bruciante passione clandestina che si consuma con modalità e conseguenze drammatiche (l’abbandono del tetto coniugale e dello stesso Pricò, il suicidio del marito privo ormai di certezze, il rifiuto finale del figlio ad abbracciarla anche in presenza di un dolore lancinante, situazione che solitamente rende possibile qualsiasi tipo di riconciliazione, ma che, nel caso del film, sancisce definitivamente il giudizio inappellabile di colpevolezza della donna). Quello di cui Pricò è muto testimone è la dissoluzione dell’istituto della famiglia, ciò di cui il bambino ha maggiormente bisogno (come suggerisce il padre Andrea al direttore del collegio a cui lo destina dopo la fuga definitiva della moglie): lo stesso gesto di preferire l’abbraccio della paziente e sempre presente Agnese piuttosto che quello della madre è simbolo preciso di un affetto disgregato e ormai impraticabile. |
Autore critica: | Gianpiero Frasca |
Fonte critica: | Aiace Torino |
Data critica:
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Critica 3: | |
Autore critica: | |
Fonte critica: | |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Pricò |
Autore libro: | Viola Cesare Giulio |
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