Bad Boy Bubby - Bad Boy Bubby
Regia: | Rolf De Heer |
Vietato: | No |
Video: | Columbia Tristar Homevideo |
DVD: | DNC |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Le diversità |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Rolf De Heer |
Sceneggiatura: | Rolf De Heer |
Fotografia: | Ian Jones |
Musiche: | Graham Tardif |
Montaggio: | Suresh Ayyar |
Scenografia: | Mark Abbot |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Nicholas Hope (Bubby), Claire Benito (Mamma), Syd Brisbane (Yobbo), Ralph Cotterill (Pop), Carmel Johnson (Angel) |
Produzione: | Fandango S.R.L. |
Distribuzione: | Cineteca Lucana |
Origine: | Australia |
Anno: | 1993 |
Durata:
| 100'
|
Trama:
| La cognizione del mondo di Bubby si ferma alle pareti delle due stanze dello scantinato, dove sua madre lo ha confinato sin dalla nascita. Non ha il senso dell'esistenza di altri che di se stesso e di sua madre. "Mamma" lo accudisce, ora nutrendolo, ora picchiandolo, talvolta usandolo per fare del sesso a seconda del suo umore. Ma poi "papà" torna a casa. Improvvisamente il mondo diviene un luogo più complicato del previsto. Le teorie sull'esistenza e il comportamento vengono sconvolte in una selvaggia rivoluzione che porta Bubby a vedere "fuori" per la prima volta. Così ha inizio per Bubby un viaggio di scoperta. Privo di propri principi morali, senza la capacità di giudicare, Bubby entra in un mondo di caos e musica, di degrado e delizie, di gente buona, di gente cattiva, di sesso. Bubby può portare a termine con successo una rapina contando soltanto su un gatto morto, ma finisce in prigione per aver parlato con qualcuno in un ristorante.
|
Critica 1: | Tremenda matriarca tiene chiuso in casa per trentacinque anni il figlio Bubby, tenero idiota, facendone un succubo in tutti i sensi. Eliminata la madre, insieme col padre ritornato dopo un'assenza trentennale, Bubby esce nel mondo e diventa cantante di rock e amoroso assistente di bimbi spastici. (...) ora simpatico e struggente, ora crudo e irritante, si svolge all'insegna di un feroce sarcasmo un discorso positivo sul tempo sporco della Storia. Gran premio speciale alla Mostra di Venezia 1993. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
|
|
Critica 2: | L'inizio è quasi teatrale e formidabile. Elegante e incompleto come un sistema assiomatico. Bubby, la mamma di Bubby e il gatto. Non c'è altro, a parte un vigile crocifisso attaccato al muro, un forno che non serve a nulla (serve a tener chiuso il gatto) e un letto che serve ad entrambi: mamma e figlio. Fuori ci sono i resti di qualche catastrofe planetaria o almeno è così che dice la mamma che entra ed esce con una maschera antigas per andare e tornare da non si sa dove. Il bello è che dall'interno del sistema non è possibile in alcun modo scoprire se questo sia vero o falso (qui sta la sua incompletezza e la sua eleganza). L'unica volta che Bubby s'azzarda sulla soglia gli manca subito il respiro.
Le leggi che regolano il sistema sono quelle della Colpa e della Ricompensa, ma soltanto perché è necessario che il sistema non sia in quiete, perché non imploda. La colpa in genere è quella di essersi mosso dalla sedia o di essersi fatto la pipì addosso mentre la mamma era fuori. (...)
Dunque Bad Boy Bubby, allitterato ma non metaforico, sottostà alle leggi interne del sistema senza comprenderle e senza che queste abbiano alcun senso. Come tutte le leggi sono perfettamente logiche e altrettanto arbitrarie. Un po' come quelle che venivano scritte sul piazzale di Villa Aldini all'ìnizio di Salò.
In questo senso Bubby, sarà anche un Badd Boy, ma non rimanda a nessuna connotazione, non è il simbolo di niente, non ha neppure la chance di coltivarsi un Edipo, semplicemente perché per lui andare a letto con la mamma è una cosa assolutamente normale.
È con l'arrivo del babbo che cominciamo a pensare che il sistema non sia più impermeabile, così come l'avevamo progettato. È lì che l'Edipo comincia a farsi strada proprio mentre il film di De Heer scricchiola. Con la presenza volgare del babbo e i successivi omicidi cominciamo a tornare sulla Terra e la lingua si mette a battere dove un secolo di psicanalisi ha detto che c'è un dente che duole. Quindi usciamo fuori da Beckett per andare a rimirar la stelle, la luna, il buco dell'ozono, i portatori di handicap, le infermiere poppute e altre inezie.
Va detta subito una cosa: per quanto è compatta e impenetrabile la prima parte, così è spezzettata e schizofrenica la seconda. Bubby si tuffa nel mondo e scopre che questo è fatto di migliaia dì eventi che non s'attaccano l'uno all'altro, che non s'azzeccano, non si ricompongono in un sistema. De Heer dichiara di aver usato per questa seconda parte trenta diversi operatori conscio del fatto che l'occhio che sta dietro la camera abbia qualcosa da dire su quello che poi si vede e che quindi la multiformità degli occhi sia più adatta a rendere la multiformità del mondo. Precauzione sottile che molti registi non avrebbero avuto neppure in un milione di anni.
Oltre a questo ci sono ancora almeno un paio di idee buone. La prima è questa. Generalmente adoriamo i cantanti rock soprattutto quando scopriamo che sono anche dei rifiuti della società, perché siamo una generazione neoromantica (Baudrillard) e amiamo gli eroi maledetti. De Heer fa il percorso inverso, prende uno che è matto e dice delle idiozie e lo fa diventare una popstar. E non venitemi a dire che l'effetto è lo stesso.
Ma la seconda è migliore. Bubby scopre d'esser matto solo quando entra nel mondo. Prima non c'erano problemi, bastava obbedire alle leggi interne del sistema. Lui è uno che ha fatto tutto al rovescio, prima è andato a letto con la mamma, poi ha assistito alla scena originaria (quando arriva il babbo predicatore) e quindi s'è trovato in piena fase dello specchio. E per questo che, non sapendo che dire e che fare, imita le voci degli altri. Naturalmente le riproduce senza contesto ovvero le usa perché, se sono state pronunciate da qualcuno, vuol dire che sono frasi buone, sono teoremi certi del nuovo sistema in cui vive. Non capisce che non solo non c'è sistema, ma che non si può dire qualsiasi cosa in qualunque momento (Foucault). Dunque parla a sproposito, imita le voci e non il senso. A volte fa ridere, ma è una risata di difesa. (...) |
Autore critica: | Gualtiero De Marinis |
Fonte critica: | Cineforum n. 336 |
Data critica:
| 7-8/1994
|
Critica 3: | |
Autore critica: | |
Fonte critica: | |
Data critica:
|
|
Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | |
Autore libro: | |
|