Bandito delle undici (Il) - Pierrot Le Fou
Regia: | Jean-Luc Godard |
Vietato: | 18 |
Video: | vers. franc. Widescreen |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal romanzo "Obsession" di Lionel White |
Sceneggiatura: | Jean-Luc Godard |
Fotografia: | Raoul Coutard |
Musiche: | Canzoni "Ma ligne de chance" e "Jamais je ne t'ai dit que je t'aimerai toujours", Duhamel e Bassiak |
Montaggio: | Françoise Colin |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Jean Paul Belmondo (Ferdinand Griffon), Anna Karina (Marianne Ronoir), Graziella Galvani (moglie di Ferdinand), Dirk Sanders (Fred, fratello di Marianne), Samuel Fuller (se stesso), Jean-Pierre Leaud (giovane nel cinema), Krista Nell (Madame Staquet) |
Produzione: | Dino De Laurentiis Cinematografica - Georges De Bauregard per Rome Paris Film |
Distribuzione: | Ambasciata di Francia |
Origine: | Francia - Italia |
Anno: | 1965 |
Durata:
| 112’
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Trama:
| Ferdinand, uomo sposato stanco della famiglia e degli amici borghesi, e Marianne, membro di una banda di delinquenti capitanata da un misterioso fratello, si ritrovano dopo cinque anni e dopo aver ucciso un mercante d'armi, scappano sulla Costa Azzurra, rifugiandosi su una spiaggia solitaria. La coppia vive di caccia e pesca, Ferdinand si dedica alla lettura, mentre la donna escogita trovate per sfogare la sua smania di vivere. Ma questa vita non fa per Marianne, esiste una radicale incomunicabilità, più forte del sentimento d'amore che li tiene vicini. Lascia Ferdinand, poi torna, chiedendo all'uomo di aiutarla per un colpo. Ferdinand accetta, ma la nuova azione gli dimostra l'abbandono da parte della donna, che ha un nuovo compagno. Ferdinand stesso uccide entrambi e dopo essere sfuggito alla reazione degli altri sicari, si ucciderà, con la speranza di trovare in un altro mondo la possibilità di un'unione autentica con la donna amata.
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Critica 1: | Dal romanzo Obsession di Lionel White. Abbandonati moglie e figli e sbarazzatosi di un cadavere, Ferdinand-Pierrot fugge con Marianne verso il mare, ne viene tradito, la uccide e poi si fa saltare in aria con la dinamite. La trama poliziesca non è che un pretestuoso supporto in questo film che conclude pirotecnicamente la prima fase dell'itinerario di Godard con un'ultima, dolorante affermazione romantica che è anche una disperata dichiarazione di disorientamento. Film d'emozioni e di sentimenti in cui, però, la provocatoria sprezzatura narrativa e il ricorso accanito alle citazioni e ai collage escludono ogni partecipazione simpatetica dello spettatore. Poema cinematografico, grido di rivolta, sostenuto dalla straordinaria fotografia di R. Coutard. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Kataweb Cinema |
Data critica:
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Critica 2: | (…) Per pochi film come per questo la semplice descrizione della «trama» insufficiente a cogliere la reale complessità del tutto. Insufficiente e sviante, poiché la rivolta antiborghese e anarcoide di Ferdinand non è paragonabile, ancora una volta, alla rivolta linguistica di Pierrot le fou: quelli è sterile e si risolve nello spettacolo e nell'artificio, questa va a toccare direttamente i principi produttivi del senso e dell'immagine. Cosí, piú che la sequenza ultima, è forse la primissima a rappresentare emblematicamente il film: i titoli di testa di Pierrot le fou appaiono lettera per lettera, in ordine alfabetico (prima tutte le A, poi tutte le B, ecc.) fino a comporre la didascalia iniziale con titolo e attori. Il linguaggio è scomposto nelle sue unità elementari, e il senso non è il risultato di un processo lineare e logicamente conseguente ma il provvisorio e casuale accumularsi di significati dispersi. Questo gioco sul corpo della lettera è ripetuto spesso nel film (e ritornerà frequentemente nei successivi film di Godard) : la cinepresa isola frammenti di parole trovate casualmente, producendo altre parole: da una scritta al neon «riviera» esce la parola «vie», vita; dall'insegna «Esso» emerge la sigla «SS»; e il nome di Marianne può diventare anagrammaticamente, sul diario di Pierrot, «mer», «ame», «arme», ecc. Questo comporsi e ricomporsi della parola e del senso si ripete, a livello di unità maggiori, in tutta la struttura del film. E molte delle componenti che vengono isolate sono, naturalmente, quelle solite di Godard. Se ne possono elencare alcune. (…)
La pittura. Pierrot le fou, si è detto, è il film che segna l'arrivo della pittura sullo schermo. Non nelle forme dell'imitazione scenografica di stili pittorici passati e non solo, come nei precedenti film di Godard, attraverso le continue citazioni. Certo il libro di storia dell'arte che Ferdinand porta con sé, unico resto di un passato, fa da supporto a tutta una serie di riferimenti espliciti. Nella stanza di Marianne, come già in quella di Patricia, sono appese riproduzioni di Picasso, Modigliani, Renoir. La stessa si chiama di cognome Renoir. E le riproduzioni di quadri famosi intervengono come inserti a scandire tutto il film, e a sostituire quelle che rischierebbero di diventare « scene madri » (Ferdinand, quando è preso prigioniero dalla gang, viene torturato con le stesse tecniche di Le petit soldat, ma sullo schermo si vede solo un ritratto di ragazza di Picasso). Ma la specificità pittorica di Pierrot le fou sta nel particolare trattamento dello schermo, che diviene una campitura su cui si distendono scansioni ora verticali, ora orizzontali o diagonali, si dislocano asimmetricamente gli oggetti secondo leggi di composizione cromatica e non secondo le esigenze di un naturalismo descrittivo. Il colore è la grande conquista di Pierrot le fou. I personaggi cambiano continuamente d'abito per alternarne i rapporti, di notte le luci dei semafori e delle scritte al neon creano strane fantasmagorie, la luminosità dei paesaggi mediterranei, dei boschi fra cui filtra il sole, fa da sfondo ad una realtà che è solo un collage di oggetti colorati: un pappagallo, una barca bianca coi bordi rossi, un vestito rosso coi bordi bianchi. Anche la morte è fatta di colori: Pierrot muore dipingendosi il volto di blu, come il «Pierrot e Arlecchino» di Picasso. E Godard rispondendo in un'intervista a chi gli fa osservare che nel film vi è molto sangue, corregge l'espressione «Non del sangue, del rosso».
La letteratura. Se il film vuole essere un nuovo modo di raccontare, non dimentica il linguaggio scritto, la parola. «La musica viene dopo la letteratura» dice Ferdinand a Marianne, rimproverandola di comprare piú dischi che libri. E il modo che Ferdinand sceglie per riflettere dopo l'abbandono della vita borghese è appunto l'esperienia letteraria, la scrittura. Le pagine del suo diario costituiscono uno degli inserti piú ricorrenti. Senza dimenticare, ancora, i prelievi da libri o da testi poetici, che si inseriscono nel dialogo: Céline, García Lorca, Jack London, e poi Conrad, Stevenson, Faulkner ...
A questo punto Pierrot le fou potrà sembrare un film libresco, intriso di intellettualismi e di cultura forse poco meditata. Invece, pochi film appaiono piú liberi da un passato culturale pur senza fingere di dimenticarlo, e nessun sospetto di accademismo può sorgere. Anche perché, se Godard lavora i suoi materiali a partire dalla cultura ufficiale, non dimentica la realtà contemporanea, la società, la politica. Il tema della cultura di massa è uno dei piú ricorrenti, e interviene attraverso le strisce dei fumetti, gli inserti pubblicitari, le frasi fatte degli invitati al party che, in un continuo viraggio dei colori, dal rosso, al giallo, al blu, parlano solo attraverso gli slogan della pubblicità. Pierrot le fou è, letteralmente, parlato dal linguaggio pubblicitario, modellato secondo le sue leggi e i suoi stilemi. Certamente esiste la piena consapevolezza di questo, la consueta tecnica dello straniamento agisce anche qui (attraverso voci fuori campo, sguardi in macchina, suddivisioni in capitoli, ecc.) a ricordare continuamente l'arbitrarietà non solo della vicenda, ma dello stesso linguaggio usato. Tuttavia la distanziazione non è ancora critica, ma semplicemente modo di osservare dall'esterno la contraddizione, l'incongruenza. Cosí si parla della guerra del Vietnam, ma al di fuori di ogni presa di posizione ideologica, solo per introdurre il tema della violenza quotidiana, per non rifiutare l'attualità piú scottante. Il linguaggio combinatorio, l'accumulo e l'accostamento dei materiali eterogenei contribuiscono insomma a distruggere le apparenze romantico-naturalistiche, a sottolineare l'assurdità del reale, ma conducono solo alla presa di coscienza, non ancora alla proposta di trasformazione. In un certo senso il linguaggio di Godard è ancora quello anarcoide del surrealismo: nel film appaiono personaggi e oggetti « dislocati », secondo la poetica dadaista (una principessa libanese nel porto di Tolone, uno strano individuo che racconta una storia assurda, un cadavere su un letto che non desta l'attenzione di nessuno, un'auto che
si inoltra nel mare, ecc.). Questi risultati di «stile» corrispondono al principio stesso di costruzione del film, al modo in cui si svolgono le riprese:
Tutto si è svolto come una specie di happening, ma controllato e dominato. Detto questo, si tratta di un film del tutto inconscio. Non sono mai stato
cosí inquieto prima delle riprese; non avevo nulla, proprio nulla, o meglio avevo soltanto il libro oltre a un certo numero di ambienti, e sapevo che la storia si sarebbe svolta in riva al mare.
Si intrecciano in questa dichiarazione, come si vede, le poetiche piú disparate. La scrittura automatica di ascendenza surrealista si innesta sul tradizionale principio godardiano dell'improvvisazione, l'attivismo spontaneistico va alla ricerca di principi di controllo e valutazione degli effetti (in alcune sequenze del film Godard sembra di fatto riscoprire il montaggio e le sue possibilità dialettiche, sulla scia della scuola sovietica). Il fatto che Pierrot le fou sia senza dubbio un punto fermo nella filmografia godardiana, o se si preferisce, un bellissimo film, non implica però che Godard non debba scegliere in quale direzione continuare la sua ricerca. Gli anni successivi a Pierrot sono forse l'esplorazione di queste varie possibilità. |
Autore critica: | Adriano Piccardi |
Fonte critica: | Cineforum n. 242 |
Data critica:
| 2-3/1985
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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