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Cento passi (I) -

Regia:Marco Tullio Giordana
Vietato:No
Video:Medusa
DVD:Medusa
Genere:Drammatico
Tipologia:Conflitti sociali, I giovani e la politica
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Claudio Fava, Monica Zappelli
Sceneggiatura:Claudio Fava, Marco Tullio Giordana, Monica Zapelli
Fotografia:Roberto Forza
Musiche:Fulgenzio Ceccon
Montaggio:Roberto Missiroli
Scenografia:Franco Ceraolo
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Paolo Briguglia (Giovanni Impastato), Ninni Bruschetta (Cugino Anthony), Luigi Maria Burruano (Luigi Impastato), Luigi Lo Cascio (Peppino Impastato), Lucia Sardo (Felicia Impastato), Domenico Centamore (Vito), Gaspare Cucinella (Zio Gasparo), Claudio Gioé (Salvo Vitale), Francesco Giuffrida (Mauro), Paola Pace (Cosima), Tony Sperandeo (Gaetano Badalamenti), Andrea Tidona (Stefano Venuti), Roberto Zibetti (Carlo)
Produzione:Titti Film - Rai Cinema Spa
Distribuzione:Istituto Luce
Origine:Italia
Anno:2000
Durata:

114'

Trama:

A Cinisi, paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare, nei pressi dell'aeroporto, utile quindi per il traffico di droga, cento passi separano la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti, il boss locale. Peppino, bambino curioso che non gradiva il silenzio opposto alle sue domande, al suo sforzo di capire, nel 1968 si ribella come tanti giovani al padre. Ma in Sicilia la ribellione diventa sfida allo statuto della mafia. Quando si batte insieme ai contadini che si oppongono all'esproprio delle loro terre per ampliare l'areoporto Peppino conosce le prime sconfitte ma scopre l'orgoglio di una vocazione. Dopo varie esperienze fonda "Radio aut" che infrange il tabù dell'omertà e con l'arma del ridicolo distrugge il clima riverenziale attorno alla mafia. Tano Badalamenti diventa Tano Seduto e Cinisi è Mafiopoli. Il clima per lui si fa pesante: il padre cerca di farlo tacere, madre e fratrello sono solidali con lui. Quando arriva il Settantasette, mentre c'è chi si rifugia nel privato, lui si presenta alle elezioni comunali. Due giorni prima del voto lo fanno saltare in aria sui binari della ferrovia con sei chili di tritolo. La morte coincide con il ritrovamento a Roma del corpo di Aldo Moro, viene rubricata come "incidente sul lavoro" poi, dopo che gli amici mettono a disposizione degli inquirenti molti indizi dell'esecuzione diventa addirittura "suicidio". Solo vent'anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell'assassinio. Il processo deve ancora essere celebrato.

Critica 1:Dalle note di regia: "Questo non è un film sulla mafia, non appartiene al genere. È piuttosto un film sull'energia, sulla voglia di costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato guardare il cielo e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. È un film sul conflitto familiare, sull'amore e la disillusione, sulla vergogna di appartenere a uno stesso sangue. È un film su ciò che di buono i ragazzi del'68 sono riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista (ma questo non riguarda solo i siciliani) molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza. "Si capisce che il film sia stato accolto con lunghi applausi dalla stampa. Ma Giordana, che cita "Le mani sulla città" di Rosi e abbonda in canzoni d'epoca, evita ogni retorica concentrandosi giustamente sulla dimensione famigliare. Il padre che non capisce, non può capire, la ribellione del figlio che vola in America per cercare una via d'uscita; la madre che lo difende in segreto; gli "zii" mafiosi che da bambino lo tenevano sulle ginocchia e oggi lo blandiscono e minacciano insieme. Per un'assurda coincidenza, alla sua morte Impastato non fece notizia. Chissà che questo film non entri nella leggenda".
Autore critica:Fabio Ferzetti
Fonte criticaIl Messaggero
Data critica:

settembre 2000

Critica 2:Se il punto di domanda più grosso circa il cartellone di Venezia 2000 riguardava il numero dei film italiani in concorso e, ovviamente, la loro qualità, la sfida di Alberto Barbera, con la proiezione del primo dei quattro, I cento passi di Marco Tullio Giordana, è vinta almeno per un quarto. Anzi, di più, visto il potere emotivo, la forza, la semplice efficacia della regia e della storia (vera), che ha strappato alle proiezioni per la stampa, solitamente contenute e frigide, un lungo applauso. La forza dell'emotività, diranno i più sospettosi, visto soprattutto quell'epico e nostalgico finale al suono di A Whiter Shade of Pale, in cui i giovani, le donne, la gente per bene di Cinisi, Palermo, Sicilia, sfilano sotto striscioni e bandiere rosse al funerale di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia - con un delitto troppo presto archiviato e dimenticato, perché quello stesso giorno, 9 maggio 1978, veniva ritrovato il corpo di Aldo Moro ucciso dalle brigate Rosse. E invece no, quel finale è forse la cosa più facile e ovvia di un film costruito in finezza, frammento dopo frammento, sempre in crescendo, su una storia emozionante e brutale, in cui si intrecciano la liberazione di un giovane dalla famiglia (sull'onda del Sessantotto) e la sua più dura liberazione dalla famiglia mafiosa che incombe sulla città e sulla cultura familiare. I cento passi del titolo sono quelli che separano la casa di Peppino dall'abitazione del boss mafioso Tano Badalamenti - che, dopo un lungo silenzio della giustizia, per questo assassinio è stato finalmente incriminato. Cento passi che nonostante tutto congiuri per farglieli percorrere - la storia familiare, la debolezza di suo padre, l'omertoso clima cittadino - Peppino non percorrerà mai, scoprendo fin da ragazzino, attraverso l'amico e maestro pittore Stefano Venuti, l'impegno politico con il Pci, poi allontanandosene per le troppe prudenze che impone, infine inventandosi attraverso una radio messa su con gli amici un canale fantasioso e irriverente per parlare e dire la sua verità: Badalamenti diventa Tano Seduto, Cinisi è ribattezzata Mafiopoli e il ridicolo è un'arma che dà molto fastidio agli intoccabili. Marco Tullio Giordana, in quello che è il suo film migliore, più forte, più diretto, ibrida con successo il cinema di impegno civile (viene citato Le mani sulla città) con umori più personali e generazionali (ci ritroverete un po' di Radio Freccia alla siciliana), intreccia la denuncia e il ritratto toccante e autentico di un angelo ribelle. E se la sceneggiatura (che il regista firma con Claudio Fava e Monica Zappelli) è scritta con inconsueta precisione, schivando retorica e colore, gran parte della riuscita del film la si deve a una squadra di attori di sorprendente bravura, guidati senza sbavature da Giordana. Al suo primo ruolo sullo schermo, Luigi Lo Cascio si incide nella memoria per simpatia e febbrile passione, è bravissimo Luigi Maria Barruano nella parte di suo padre - un pover'uomo diviso tra l'affetto per il figlio e la sua affiliazione mafiosa-, Lucia Sardo ha una dolorosa intelligenza e Tony Sperandeo, senza sprecare un gesto di troppo, fa sempre paura. Da vedere, anche per chi non è sensibile all'effetto nostalgia.
Autore critica:Irene Bignardi
Fonte critica: la Repubblica
Data critica:

1/9/2000

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



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