Malala - He Named Me Malala
Regia: | Davis Guggenheim |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | Non ancora reperibile in dvd |
Genere: | Documentario |
Tipologia: | Diritti dei minori, Diritti umani - La politica e i diritti, La condizione femminile |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Ispirato al libro "Io sono Malala" di Malala Yousafzai e Christina Lamb (ed. Garzanti) |
Sceneggiatura: | |
Fotografia: | Erich Roland |
Musiche: | Thomas Newman |
Montaggio: | Greg Finton, Brian Johnson, Brad Fuller |
Scenografia: | Alexander Fuller |
Costumi: | Yasmine Abraham |
Effetti: | |
Interpreti: | Malala Yousafzai, Ziauddin Yousafzai, Toor Pekai Yousafzai, Khushal Yousafzai, Atal Yousafzai |
Produzione: | Walter Parkes, Laurie Macdonald, Davis Guggenheim per Image Nation Cayman Holdings, Participant Media, Twentieth Centuryfox Film Corporation |
Distribuzione: | Twentieth Century Fox |
Origine: | Usa |
Anno: | 2015 |
Durata:
| 87'
|
Trama:
| La vicenda di Malala Yousafzai ha commosso il mondo intero. Aveva appena 15 anni quando nel 2012 fu vittima dei talebani della Valle dello Swat che le spararono tre colpi di pistola alla testa mentre tornava a casa da scuola. La sua colpa: aver manifestato pubblicamente fin da piccola il suo desiderio di leggere e studiare. Dopo l'attentato che l'ha ridotta in fin di vita e che l'ha costretta a lunghi mesi di cure e riabilitazione, Malala ha dato vita a un'organizzazione no profit, la Malala Fund, con la quale raccoglie fondi dedicati a progetti educativi in tutto il mondo. Oggi risiede a Birmingam insieme alla sua famiglia. Il suo impegno in difesa della cultura e dell'educazione delle donne ne ha fatto, nel 2014, la più giovane vincitrice di sempre del Premio Nobel per la pace. Il documentario è un ritratto molto intimo della ragazza, del suo rapporto con il papà, attivista e sostenitore del diritto allo studio delle donne in Pakistan, della sua nuova vita in Inghilterra e del suo legame ancora forte con la terra d'origine.
|
Critica 1: | (…) Alla giovane studentessa pakistana, diventata simbolo della lotta per la libertà e il diritto all’istruzione delle donne, è dedicato il documentario HE NAMED ME MALALA, diretto dal Premio Oscar Davis Guggenheim (Una scomoda verità) e ispirato al libro Io sono Malala, scritto da lei stessa insieme a Christina Lamb e già grande successo editoriale edito in Italia da Garzanti con 15 edizioni e 250.000 copie. Il film sarà distribuito in tutto il mondo da Fox Seachlight Pictures, che ne ha acquisito i diritti e che ha già portato al successo i pluripremiati Birdman e Grand Budapest Hotel.
La vicenda di Malala Yousafzai ha commosso il mondo intero. Aveva appena 15 anni quando nel 2012 fu vittima dei talebani della Valle dello Swat che le spararono tre colpi di pistola alla testa mentre tornava a casa da scuola. La sua colpa: aver manifestato pubblicamente fin da piccola il suo desiderio di leggere e studiare. Dopo l’attentato che l’ha ridotta in fin di vita e che l’ha costretta a lunghi mesi di cure e riabilitazione, Malala ha dato vita a un’organizzazione no profit, la Malala Fund, con la quale raccoglie fondi dedicati a progetti educativi in tutto il mondo. Oggi risiede a Birmingam insieme alla sua famiglia. Il suo impegno in difesa della cultura e dell’educazione delle donne ne ha fatto, nel 2014, la più giovane vincitrice di sempre del Premio Nobel per la pace. “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo” ha detto durante un applauditissimo discorso.
Il documentario è un ritratto molto intimo della ragazza, del suo rapporto con il papà, attivista e sostenitore del diritto allo studio delle donne in Pakistan, della sua nuova vita in Inghilterra e del suo legame ancora forte con la terra d’origine. “Trascorrere 18 mesi con Malala, suo padre e la sua famiglia è stata una delle più belle esperienze delle mia vita – dice il regista Guggenheim -. (...) |
Autore critica: | |
Fonte critica | cinematografo.it |
Data critica:
|
|
Critica 2: | A 11 anni, sotto falso nome, Malala Yousafzai scriveva un blog per la Bbc, raccontando la vita quotidiana di una studentessa nella valle dello Swat. A 13 riceveva il Premio giovanile per la pace in Pakistan e rilasciava interviste sui media internazionali, denunciando l'oscurantismo dei talebani nei confronti delle donne cui veniva negata l'istruzione. A 15 anni quegli stessi talebani cercavano di ucciderla mentre si recava a scuola.
La storia della ragazza, raccontata da lei stessa nel best seller "Io sono Malala", è l'ispirazione per il documentario firmato da Davis Guggenheim (premio Oscar per Una scomoda verità e già autore di una straziante testimonianza sulle disparità nel sistema scolastico statunitense, Waiting for Superman). Le voci narranti sono quelle di Malala e di suo padre, l'attivista Ziauddin Yousafzai, consulente speciale per l'istruzione globale alle Nazioni Unite. Ed essenzialmente quella di Malala è una storia d'amore fra un padre e una figlia che hanno sviluppato un rapporto simbiotico e si danno reciprocamente coraggio nel perseguire una battaglia etica contro le discriminazioni e a favore dell'accesso paritario alla scuola.
Sotto questo punto di vista il documentario è assai riuscito, e racconta un'iniziazione alla libertà di espressione a partire dalla scelta di papà Ziauddin di chiamare la figlia come un'eroina della tradizione Pashtun, Malalai di Maiwand, una sorta di Giovanna d'Arco afghana. "Figlia figlia, non voglio che tu sia felice, ma sempre contro finché ti lasciano la voce": la frase della canzone di Roberto Vecchioni sembra essere il mantra di Ziauddin, e la chiave del rapporto fra i due. L'importanza di far sentire la propria voce, costi quel che costi, è centrale nella loro storia affettiva, tantopiù che il padre è leggermente balbuziente (come lo è il suo doppiatore italiano, Filippo Timi), e rivendica (anche attraverso la figlia) il diritto ad esprimersi comunque, senza mollare mai.
Là dove il documentario si rivela più debole è invece nella costruzione della storia pubblica di Malala che, a cominciare dalla leggenda di Malalai raccontata a disegni animati, assume un tono agiografico che toglie potenza alla vicenda, di per sé sufficientemente eroica. Se Guggenheim avesse attenuato gli accenti epici e la retorica dei discorsi pubblici Malala ne avrebbe guadagnato in fluidità cinematografica e sarebbe entrato maggiormente nell'intimità della famiglia, che invece resta in qualche modo celata dietro ai sorrisi enigmatici della ragazza e dei suoi genitori.
Il film sostiene, per bocca della sua protagonista, che Malala avrebbe potuto essere chiunque, ma si contraddice nel mostrare come Malala sia un caso unico, in quanto sostenuto e protetto dalla comunità internazionale grazie alla sua enorme visibilità mediatica, mentre sono milioni le sue coetanee invisibili che non hanno diritto ad alcun tipo di istruzione e che non vengono curate in un ospedale britannico se qualcuno attenta alla loro vita. Sarebbe stato importante sottolineare anche questo aspetto, non certo per sminuire il coraggio di Malala, ma per evidenziare il silenzio che circonda intere comunità dove l'oppressione femminile si consuma senza che nessuno osi alzare la voce. |
Autore critica: | Paola Casella |
Fonte critica: | mymovies.it |
Data critica:
|
|
Critica 3: | |
Autore critica: | |
Fonte critica: | |
Data critica:
|
|
Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | |
Autore libro: | |
|