Stella - Stella
Regia: | Sylvie Verheyde |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | No |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Diventare grandi, Il mondo della scuola - Giovani, Le diversità |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Sylvie Verheyde |
Sceneggiatura: | Sylvie Verheyde |
Fotografia: | Nicolas Gaurin |
Musiche: | NousDeux the band |
Montaggio: | Christel Dewynter |
Scenografia: | Thomas Grézaud |
Costumi: | Gigi Lepade |
Effetti: | Mikael Tanguy |
Interpreti: | Léora Barbara (Stella), Karole Rocher (madre di Stella), Benjamin Biolay (padre di Stella), Melissa Rodriguès (Gladys), Laëtitia Guerard (Geneviève), Guillaume Depardieu (Alain-Bernard), Johan Libéreau (Loïc), Jeannick Gravelines (Bubu), Thierry Neuvic (Yvon), Valérie Stroh (signora Tillier Dumas), Anne Benoît (Signora Douchewsky), Christopher Bourseiller (Signor Larpin). |
Produzione: | Les Films Du Veyrier-Arte France Cinéma-Wdr/Arte-Canal +-Cinecinema-Cnc |
Distribuzione: | Sacher |
Origine: | Francia |
Anno: | 2008 |
Durata:
| 102’
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Trama:
| Parigi, 1977. Stella è una ragazzina di undici anni che vive in un quartiere operaio. Ammessa a frequentare una prestigiosa scuola parigina, incontra Gladys, sua unica vera amica, figlia di esuli ebrei argentini. Gladys la aiuterà a muovere i primi passi nel mondo reale.
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Critica 1: | Stella ha undici anni, la pelliccetta finta sul collo della giacca, è cresciuta nel bar di mamma e papà, in mezzo agli adulti loro amici, musica e alcol «a rischio di cirrosi» fino a notte fonda, quando si tira giù la saracinesca e si balla. La madre adora i colori vistosi, è lei a fare tutto mentre il padre, «un po' bugiardo, un po' seduttore» (è pur sempre Benjamin Biolay, la star della canzone francese) è lì a farsi bello coi clienti. Stella sa tutto di carte e di calcio ma non sa nulla dei «classici» francesi, e tra le nuove compagne di scuola dello snobissimo liceo parigino, quella pelliccetta scatena risatine imbarazzate. Siamo nel 1977, la ragazzina scrive male, studia poco, è la proletaria tra le molto «perbene» che vanno a dormire alle otto di sera e non guardano la televisione. Ma come insegna Peter Whitehead, geniale cineasta della controcultura inglese (e unico proletario da ragazzo in una scuola di nobili), è sveglia, carina, abbastanza ironica per guardare quel mondo dietro la facciata, e conquistarlo. Professori compresi, pure quelli più ottusi, che sostengono la scuola di classe. Stella, terzo film di Sylvie Verheyde, è un racconto quasi classico di formazione, che narra con semplicità e anche qualche difetto (ma averceli film così nel cinema nazionale) l'adolescenza sul confine dell'infanzia, la scoperta di orizzonti anche aspri, nei quali lo scintillio dei sogni di bimbi sembra perdere di luce. Parla di amicizia e di amore, di tenerezza e di complicità, del dolore che arriva quando una persona cara ti tradisce – c'è una scena in cui uno dei tanti avventori del bar con cui Stella è cresciuta tenta di violentarla. E del trauma che comporta entrare in una realtà sconosciuta.
Non è mai una materia facile, quella dei sentimenti, e diviene ancor più sfuggente quando si tratta di adolescenti, col rischio del luogo comune, del catalogo abusato di stereotipi, frasi fatte, letture prevedibili, imposte dalla lente degli adulti. Si è parlato per Stella di Truffaut e dei suoi Quattrocento colpi, senz'altro vale per la delicatezza con cui la regista si avvicina ai suoi personaggi, a cominciare dalla protagonista, la magnifica Léora Barbara, sguardo incantato e grinta. C' è però qui un diverso mettersi in gioco, qualcosa di personale che entra nel film e lo rende «vero» anche nei suoi toni quasi fiabeschi. Sylvie Verheyde ci ha mescolato un po' della sua biografia di ragazza cresciuta in provincia catapultata a Parigi, e al film ha pensato osservando suo figlio, oggi undicenne come Stella, cresciuto invece nella capitale francese. E c'è una dimensione tutta femminile, specie nel raccontare il legame tra Stella, e la sua compagna di classe-amica del cuore, figlia di una borghesia intellettuale che le fa scoprire libri, con cui diventa più forte e meglio attrezzata alla vita, anche alle brutte sorprese, agli smarrimenti, alle battaglie di ogni giorno. Leggere Cocteau ha lo stesso gusto che inventarsi un look più personale e carino. O ballare alle feste i lenti con Ti amo di Umberto Tozzi. Stella, infatti, è anche un film sulla scuola come luogo di scontri e al tempo stesso di importanti scoperte, specie se si ha la fortuna di incontrare docenti come la bella professoressa di Storia nel film. Necessario per crescere perché permette la dimensione collettiva del confronto. (…) |
Autore critica: | Cristina Piccino |
Fonte critica | Il Manifesto |
Data critica:
| 5/12/2008
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Critica 2: | Parigi, 1977. La classe operaia che ciondola nell'inferno di un Caffè caotico, preso da feste scatenate quanto disperate, partite del Saint Etienne di un giovanissimo Platini, sentimenti spesso brutti, sporchi e cattivi. L'alta borghesia in una scuola d'elite fa tutto questo con maggiore eleganza e forse perfidia. In mezzo a questo panorama avvilente crescono Stella e Gladys. Ecco la location, geografica e sociale, di Stella . La prima è una "somara" che vive nel caffè dei genitori (Karole Rocher e Benjamin Biolay, facce da cinema), la seconda è figlia di intellettuali argentini esiliati. Cresceranno insieme, due piccole nerd in mezzo a una giungla d'avvoltoi. La piccola argentina (Melissa Rodrigues) insegnerà alla sodale operaia (Leora Barbara) il piacere di leggere Balzac e di cercare l'affetto in una risata e in una stretta di mano più che in una partita a carte e in ammiccamenti più adulti di lei, l'altra attraverso gli occhi di Stella scoprirà qualcosa in più del mondo vero che la circonda e da cui è protetta. Sylvie Verheyde, qui al terzo lungometraggio, attinge alla sua autobiografia per ricostruire l'educazione sentimentale di una bimba fragile che sta diventando donna, di una troppo povera per le compagne di classe, e troppo ricca e "parigina" per le terre d'origine (il nord…chez le ch'tis).
Un'opera di formazione che sa essere ruvidamente sensuale con sua madre, triste e malinconica con il suo sogno d'amore Alain-Bernard (un intenso e inusualmente dolcissimo Guillaume Depardieu, in una delle sue ultime interpretazioni), violenta e infine romantica quando una scena da "tempo delle mele" viene sottolineata imprevedibilmente dalla canzone "Ti amo" di Umberto Tozzi, parte di una colonna sonora varia e strana ma coinvolgente (c'è anche la regista e la sua band, i NousDeux, a cantare). Con il gusto della semplicità, una regia pulita e una fotografia sempre adeguata, il racconto si sviluppa con poesia e realismo che hanno conquistato pubblico e critica alle ultime Giornate degli autori di Venezia dirette da Fabio Ferzetti (lacrime e applausi in Sala Perla). Il segreto sta tutto nella normalità di una storia e negli universi che racconta: famiglia, scuola, classi sociali hanno cambiato componenti e struttura, ma le dinamiche rimangono le stesse e così i trent'anni di distanza non si sentono se non nella ricostruzione di ambienti e costumi, perfetta nonostante il piccolo budget. Lasciatevi conquistare da Stella – lo distribuisce Nanni Moretti – e dalla sua capacità di inoltrarsi con pe(n)sante leggerezza su temi forti e difficili, anche se solo per qualche secondo: la prof traumatizzata dai campi di sterminio, l'Argentina dei generali e dei desaparecidos, abusi e traumi sull'infanzia. |
Autore critica: | Boris Sollazzo |
Fonte critica: | Liberazione |
Data critica:
| 5/12/2008
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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