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Momenti di gloria - Chariots of Fire

Regia:Hugh Hudson
Vietato:No
Video:20th Century Fox Home Entertainment
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Diventare grandi, Il mondo della scuola - Giovani
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Colin Welland
Sceneggiatura:Colin Welland
Fotografia:David Watkin
Musiche:Vangelis
Montaggio:Terry Rawlings
Scenografia:Len Huntingford, Anne Ridley, Andrew Sanders
Costumi:Milena Canonero
Effetti:
Interpreti:Ben Cross (Harold Abrahams), Ian Charleson (Eric Liddell), Nigel Havers (Lord Andrew Lindsay), Ian Holm (Sam Mussabini), John Gielgud(Rettore Di Trinity), Lindsay Anderson (Rettore di Caius), Yves Beneyton (George Andre), Cheryl Campbell (Jennie Liddell), Dennis Christopher (Charle Paddock), Nigel Davenport (Lord Birkenhead), Brad David (Jackson Seholz), Peter Egan (Duca di Sutherland), Nicholas Farrel (Aubrey Montague), Daniel Gerrol (Henry Stallard), Alice Krige (Sybil Gordon), Patrick Magee (Lord Cadogan), Stuan Rodger (Sandy McGrath), David Yelland (Principe di Galles)
Produzione:David Puttnan per Enigma Productions Limited
Distribuzione:Cineteca dell’Aquila - Zari
Origine:Gran Bretagna
Anno:1980
Durata:

124’

Trama:

La preparazione atletica, il cameratismo universitario e l'avventura olimpica, a Parigi nel 1924, di due atleti britannici: Eric Liddel, cattolico religiosissimo , che corre per la gloria e la gioia del Signore, e Harold Abrahams, ebreo, che gareggia contro il pregiudizio della società protestante.

Critica 1:Olimpiadi di Parigi 1924. I 100 e i 400 metri piani sono vinti da due atleti britannici: Harold Abrahams, figlio di un banchiere lituano, corre per superare il complesso di ebreo; Eric Liddell, figlio di un missionario scozzese, per la maggior gloria di Dio. È un film sincero, sostenuto da un trasparente fervore morale, che sa conciliare gli intenti spettacolari con le ambizioni d'autore, la nostalgia per un'epoca di solidi ideali con una rappresentazione che sa essere anche critica, il vecchio e il nuovo. Ebbe quattro Oscar: film, sceneggiatura (Colin Welland), musica (Vangelis), costumi (Milena Canonero). Il tema di Vangelis divenne un hit e il produttore David Puttnam un eroe dell'imprenditoria britannica. Non male per un regista esordiente che veniva dal documentario e dalla pubblicità.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) È una storia che funziona. Parla di sport, ma in modo tale da attrarre anche chi di sport non se ne intende punto. È la storia (più o meno vera) di due tizi, Harold Abrahams e Eric Liddell, che corrono svelti e che partecipano per i colori della Gran Bretagna alle Olimpiadi di Parigi del 1924, e vincono ciascuno per la propria specialità. Ma la vicenda accoglie nelle sue pieghe diversi motivi interessanti, lasciando stare quelli ovvii tipo «sport metafora della vita» e simili (secondo il produttore, David Puttnam, lo sport sarebbe anche metafora del cinema: i «filmmakers», secondo lui, sono veri e propri atleti, e la vittoria dei due
eroi può essere comparata col trionfo di un cineasta che riesce a realizzare il suo film vincendo le difficoltà opposte dalla struttura del cinema come industria). C'è anche, bisogna dirlo, il messaggio romantico: l'ideale del Barone de Coubertin, la fiaccola dello sport disinteressato, il carro di fuoco della vittoria, per sè stessi, per la bandiera, per la religione (per Liddell lo sport è praticato «ad majorem Dei gloriam»). Non per niente il film si intitola nell'originale «Chariots of Fire», espressione tratta da un famoso poema visionario del poeta William Blake, Jerusalem, che ha come esergo la massima: «Gli uomini hanno dimenticato che tutte le divinità risiedono nel petto umano» («Bring me my bow, of burning gold / Bring me my arrows of desire / Bring me my spear, oh clouds unfold / Bring me my chariot of fire...»). Ma c'è anche il motivo della vittoria del singolo sugli spettri del nazionalismo, dell'intolleranza, dell'opportunismo politico. Se Liddell corre per la religione (è figlio di un missionario scozzese e diventerà lui stesso missionario in Cina: morirà nel 1945 prigioniero dei giapponesi), Abrahams (figlio di un ebreo lituano: poi diventerà giornalista sportivo e organizzatore. Morirà nel 1978) lotta perchè pur essendo un ebreo «arrivato» sente sempre attorno a sè il pregiudizio ostile degli «ariani» nei suoi confronti, si batte insomma contro il potere del Protestantesimo inglese. Raffrontati agli sportivi d'oggigiorno - oggi che le Olimpiadi sono dominate dalle ragioni dell'opportunismo e del nazionalismo, quando non dalle bombe - appaiono creature d'altri tempi, eppure sono personaggi esemplari proprio perchè così integri, così «fuori tempo». Poi, se vogliamo, c'è anche il motivo del passaggio dal dilettantismo al professionismo sportivo: rivelatrice è la bella scena in cui Abraham è invitato a pranzo dai decani dell'Università di Cambridge (del Caius College, per la precisione) i quali in fondo lo accusano di violare, accettando di farsi allenare da un professionista, i sacri principi dell'amatorismo. Il vecchio e il nuovo sono di fronte; i decani vorrebbero che i loro amministrati (i loro protetti, i loro allievi, i loro figli) si comportassero secondo le vecchie regole, ma le cose si evolvono, cambiano, si adeguano alle nuove esigenze. Questi temi sono ben calati nella dinamica del racconto. Di dinamica nel film ce n'è senz'altro. Benchè sia un debuttante nel campo del lungometraggio, il regista Hudson (classe 1936, già attivo nel campo del documentario e della pubblicità) dimostra di avere polso. La gara di corsa fra i due protagonisti, lungo il perimetro del «college», è ritmata benissimo; così come gli allenamenti dei due atleti e le fasi dell'Olimpiade sono raccontati con senso dello spettacolo. (…)
Autore critica:Ermanno Comuzio
Fonte critica:Cineforum n. 213
Data critica:

4/1982

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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