Mona Lisa - Mona Lisa
Regia: | Neil Jordan |
Vietato: | No |
Video: | Cdi |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Spazio critico |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Neil Jordan, David Leland |
Sceneggiatura: | Neil Jordan, David Leland |
Fotografia: | Roger Pratt |
Musiche: | Michael Kamen |
Montaggio: | Lesley Walker |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Bob Hoskins (George), Cathy Tyson (Simone), Michael Caine (Diny Mortwell), Rod Bedall (Torry), Joe E. Brown (Dudley), Robbie Coltrane (Thomas), Sammi Davis (May), Kate Hardie (Cathy), Pauline Melville (Dawn), Zoe Nathenson (Jeannie), Clarke Peters (Anderson) |
Produzione: | Patrick Cassavetti e Stephen Woolley per Handmade |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Gran Bretagna |
Anno: | 1986 |
Durata:
| 101’
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Trama:
| Uscito di prigione dove ha scontato sette anni per un reato di cui continua a proclamarsi innocente, George cerca lavoro. La moglie lo respinge violentemente, impedendogli di vedere la figlia che egli ama molto e all'uomo, ormai solo, non resta che bussare alla porta del suo amico Diny. Farà l'autista a Simone, una squillo negra di gran classe, accompagnandola là ove clienti la richiedono. Lentamente un rapporto di simpatia e di amicizia, da brusco qual era, si instaura tra i due; poi un giorno Simone chiede a George di cercarle e trovarle Cathy, una prostituta quindicenne che ha perduto di vista e alla quale lei vuole molto bene. George indaga, ingolfandosi nei pericolosi e sordidi meandri della prostituzione londinese e frequentando locali e luoghi malfamati, scopre ad un certo momento che la ragazza, ormai ridotta ad un mezzo straccio, non è che una delle tante pedine da cui l'amico Diny ricava lucrosi guadagni. George riesce a strappare Cathy dal giro in cui è invischiata e l'affida a Simone, constatando però amaramente, ad operazione compiuta che il rapporto tra le due ragazze è di natura ben altrimenti gratificante. Alla fine della penosa vicenda, George si ritrova solo e senza lavoro, ma sempre con l'affetto di un caro amico (Thomas, un meccanico che l'ha generosamente accolto) e con quello della figlia, che ora ha fiducia nel suo papà.
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Critica 1: | George, un autista balordo, ingenuo e vulnerabile, dopo sei anni di carcere crede di essere diventato un duro. Simone, prostituta nera d'alto bordo, crede di avere assimilato la lezione spietata del mondo crudele in cui vive. Film appassionato, energico, veloce, con più di una ridondanza: è la tumultuosa attraversata del labirinto infernale della prostituzione londinese. Inedita l'immagine di Londra, memorabile l'interpretazione di B. Hoskins. Il miglior noir britannico del decennio. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | (…) Mona Lisa non è intellettuale, ma tranquillamente colto, sul piano cinematografico e, più in generale, mitico. Esibisce un repertorio cromatico e di inquadrature che rimanda immediatamente al thriller e al noir, che cita esplicitamente attraverso la trasmissione televisiva di La donna del bandito (The Live by Night, 1949) di Nicholas Ray. Non è letterario, nel senso che la parola non opprime (e non sostituisce) il tessuto narrativo costruito dalle immagini; è però molto «scritto», nel senso che frasi, battute, riferimenti (il «coniglio bianco con le orecchie lunghe», per esempio) si inseguono in velocità e con disinvolto spreco. Non è visionario, ben attento a non lasciarsi andare a orrori e psicanalismi di vario tipo, eppure solleva in certe scene un'inquietudine sottile, un disagio palpabile che si fa strada da un retaggio iconografico profondo. E su questo vale la pena di soffermarsi, perché è l'elemento che determina lo scarto di Mona Lisa rispetto a un professionale prodotto medio e la riconoscibilità d'autore. Se il principale modello di riferimento del film è il noir, con i tratti tipicamente inglesi dello humour nero e del piccolo impressionismo quotidiano (gente comune, abbozzi di piccola collettività e solidarietà, ambientazione parzialmente naturalistica), un altro universo immaginifico, attinente il noir, ma vagamente distorto rispetto ad esso, riemerge ciclicamente. È l'universo della fiaba e dell'incubo, dell'allucinazione notturna e malsana, intesa comunque come quest, viaggio iniziatico, discesa nel ed eventuale risalita dal Maelström. È questo un universo con cui il noir (e mi riferisco al versante «realistico» del noir, cui Mona Lisa appartiene, e non a quello fantastico, tipo Cat People) ha molto da spartire, nei comuni richiami psicanalitici, in certi simbolismi, nelle radici mitiche e, soprattutto, nel percorso narrativo. Ma, mentre il noir tende di solito alla dannazione dell'eroe (quanto all'eroina, è dannata in partenza), la favola (e con lei l'horror) tende alla sua salvezza. Riflessi della stessa passione sensuale e amorosa, il primo scarica il cadavere dell'eroe in una piscina o ai piedi del patibolo, mentre la seconda lo conduce o lo spinge fuori dalla foresta o dal castello maledetto. Forse solo Hitchcock è riuscito per tre quarti della sua carriera a risolvere il nero in chiave di favola; ma anche lui, infine, ha ceduto alle pulsioni più oscure, uccidendo le eroine (Vertigo, Psyco, Frenzy), elevando a eroi i mostri (ancora Psyco e Frenzy), o addirittura lasciando finali aperti sull'incubo (Gli uccelli). Neil Jordan assume come portante il meccanismo dell'indagine, che si palesa a poco a poco come spinta motrice dell'azione, sopravanzando altri spunti narrativi abbozzati in precedenza (la commedia d'ambiente, malinconicamente drammatica, presagita dal ritorno a casa di George e dal suo reinserimento nel «mondo del lavoro»; il dramma sociale a sfondo metropolitano che le due differenti disperazioni di George e Simone richiamano; la piccola, malinconica storia di un amore impossibile tra due disgraziati, che pure serpeggia lungo tutto il film, tingendosi però, inespressa com'è, di più morbosa passionalità). L'indagine, classicamente, nasconde una verità vagamente truccata, a danno dell'eroe: «Mi sono venduto per una coppia di lesbiche», sbotta George al colmo dello sconforto e della tensione, sul lungomare desolato di Brighton, dove cerca di spiegare a se stesso e a Simone gli inganni della loro vicenda (e Bob Hoskins con gli occhialini a forma di stella assurge qui a una rara dimensione drammatica). Le visite a King's Cross evocano volute dell'inconscio. Il ciclico ritorno su un percorso obbligato sembra un incubo ricorrente («Questa notte ho sognato di tornare a Manderley...»): la luce si fa incerta, i colori cupi e pastosi, l'atmosfera imprecisa, fumosa quasi, e opprimente; i gesti e la scansione sono sempre uguali e aleggia l'impressione che i protagonisti, isolati all'interno dell'auto, una volta o l'altra possano venir assorbiti dall'incubo. Non si tratta della pura e semplice impressione di «malattia» percettibile nella faraonica sauna dove George segue Mortwell e Anderson; né dell'ovvio squallore degli interni di Soho, alleggerito anzi da una serie di notazioni di carattere, che danno a tratti più l'impressione di una degradata realtà aziendale che di un mondo tentacolare (persino Mortwell, in una delle sue apparizioni in «ufficio», riesce ad assomigliare al bonaccione che si finge). King's Cross è davvero un sogno malvagio, una sorta di foresta maledetta, popolata di mostri ostili e oppressa di vapori di palude. L'altra faccia del percorso, il luogo della salvezza, è altrettanto antinaturalistico e «fiabesco»: quella specie di antro dello stregone benefico dove vive Thomas. Invaso dai ferri del mestiere di Thomas e da partite di spaghetti e madonne di plastica, il garage è una zona franca, dove i cattivi non entrano inspiegabilmente nella dinamica del thriller, ma con logica esemplare in un contesto fiabesco, dove i territori del bene e del male sono separati da invalicabili confini. E Thomas, con il suo divagare bizzarro su trame poliziesche, assume un po' la fisionomia di un Merlino moderno e scalcagnato, che, per enigmi, addestra l'eroe.
D'altra parte, i tratti irrisolti sono troppi per essere casuali «errori» di sceneggiatura rispetto alla struttura del poliziesco; soprattutto nel caso di una sceneggiatura tanto dettagliata e accurata. Non solo l'immotivata sicurezza offerta dalla «caverna» di Thomas, ma anche la repentina fine dell'attacco di Anderson, che si dilegua senza tentare di bloccare George e Simone all'uscita dell'ascensore e senza attenderli (come ci si aspetta) vicino all'appartamento di lei (e Jordan sa che ce lo aspettiamo, tanto è vero che fa arrivare improvvisamente una vicina di casa). Che sortilegio hanno compiuto i due? Forse basta tornare sui propri passi perché l'incubo svanisca. Anche nel ritrovamento di Cathy, il mattino alla villa di Mortwell, c'è qualcosa di oscuro; George arriva là per puro istinto, come avesse sempre saputo che proprio quello è il castello stregato. Poi, ci sono il coniglio bianco, i nani sul lungomare di Brighton, quell'arabo sorridente e gentiluomo con il quale Simone sembra perfettamente al sicuro e a proprio agio, e, forse, è una specie di corrispettivo ricco ed orientaleggiante di Thomas. Infine, c'è quella sorta di «risveglio» di George, che, alla fine della sua storia di mortale amour fou, si ritrova al sicuro a narrarla a Thomas, come se si trattasse dell'ennesimo libro giallo. Sconfitti i cavalieri del male (ma anche l'eroina, in rispetto al noir, ci ha rimesso le penne), il mondo torna al solito ordine. I piedi minacciosi che si avvicinano all'auto sotto la quale George e Thomas stanno lavorando e chiacchierando sono quelli, amichevoli, della figlia adolescente di George. Un tratto ambiguo, quest'ultimo, che ritorna spesso nel film, nelle battute meravigliate di George rispetto all'età delle giovanissime prostitute tra le quali Simone cerca Cathy («Ho una figlia di quell'età!»). Un tratto che potrebbe dischiudere ulteriori discese nell'inconscio e negli abissi edipici; che certamente non è casuale, ma semplicemente schizzato, con estrema eleganza e pudore.
D'altra parte, la discesa nella favola non è né gratuita rispetto alla concezione del noir(con cui condivide, appunto, le radici mitiche), né occasionale nell'opera di Jordan. Mona Lisa è il suo terzo film. Prima aveva diretto il thriller Angel e la saga fiabesca In compagnia dei lupi, scritto insieme ad Angela Carter (il più disorganico e deludente, per quanto intrigante, dei suoi film). I conti, come si vede, tornano perfettamente; sembra addirittura che, nella commistione, Jordan abbia trovato il proprio registro più equilibrato. Una sottolineatura, brevissima ma doverosa, per il livello dell'interpretazione e lo studio attento della colonna musicale. Per quanto riguarda gli attori, a parte Bob Hoskins (che è probabilmente il più impressionante attore inglese del momento, in grado di far soffrire e ridere nello stesso attimo e con la stessa intensità), e Michael Caine (genio del male assoluto, viscido e insinuante nei minimi gesti della mano o del capo, in campo lungo e lunghissimo), vanno rilevate l'esattezza millimetrica del casting e l'aderenza mimetica e fisionomica dei protagonisti ai personaggi. Per quanto riguarda la colonna musicale, studiatissima negli immediati riferimenti mitici delle sonorità da Into Deep dei Genesis a Madama Butterfly, non si può non citare la canzone che da il titolo al film, che ritorna come un tormentone (e con un tocco di magistrale romanticismo) lungo tutto il film, per esempio, ogni volta che i protagonisti percorrono le strade notturne di Londra in auto e con la radio accesa; la Mona Lisa di Nat «King» Cole: Are you warm,/Are you real,/ Mona Lisa?/Or are you just a cold, lonely work of art? |
Autore critica: | Emanuela Martini |
Fonte critica: | Cineforum n. 258 |
Data critica:
| 10/1986
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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