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Fahrenheit 451 - Fahrenheit 451

Regia:François Truffaut
Vietato:No
Video:Cic Video, L'unita' Video
DVD:Universal
Genere:Fantascienza
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Gli Anni Della Fenice" di Ray Bradbury
Sceneggiatura:Jean Louis Richard, François Truffaut
Fotografia:Nicholas Roeg
Musiche:Bernard Herrmann
Montaggio:Thom Noble
Scenografia:Syd Cain
Costumi:
Effetti:Charles Staffel
Interpreti:Oskar Werner Guy Montag, Julie Christie Linda/Clarissa, Cyril Cusack Il capitano, Anton Diffring Fabian, Jeremy Spenser L'uomo con la mela, Michael Balfour "Il Principe" di Machiavelli, Annie Belle Doris, Yvonne Blake "Questione Ebraica", Arthur Cox Infermiere, Frank Cox "Pregiudizio", Fred Cox "Orgoglio", Judith Drinan "Repubblica" di Platone, Bee Duffel La donna – libro, Xevin Elder Secondo bambino, Joan Francis La telefonista bar, Denis Gilmore "Cronache Marziane", Caroline Hunt Helen, Mark Lester Primo bambino, Gillian Lewis Annunciatrice Tv, Roma Milne La vicina, Michael Mindell Allievo Stoneman, Donald Pickering Secondo annunciatore Tv, John Rae "Chiusa di Hermiston", Anna Ralk Jackie, Alex Scott Giornale di H.Brular, Tom Watson Sergente istruttore, Chris William L'allievo Black, Earl Younger "Nipote della chiusa"
Produzione:Lewis M. Allen per Anglo Enterprise, Vineyard Film
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Francia - Inghilterra
Anno:1966
Durata:

117'

Trama:

In un ipotetico paese è assolutamente proibita la lettura dei libri, in quanto questi snaturano i fatti, abbelliscono la realtà, costringono alla riflessione e impediscono alla gente di essere felice. Il capitano dei vigili del fuoco, ai quali è affidato il compito di scovare i libri, bruciarli e castigare i colpevoli, tiene in particolare considerazione Montag, il più solerte dei suoi subalterni. Ma questi, che nella moglie Linda trova un evidente modello della spersonalizzazione prodotta dal sistema del quale egli stesso è un difensore, incomincia a dubitare della validità del suo operato quando incontra casualmente Clarissa, una giovane istitutrice, la quale risveglia in lui il naturale desiderio di sapere e di conoscere. A poco a poco Montag, dopo aver incominciato a nascondere libri ed a leggerli, riconquista il dominio della propria mente: ma, tradito da Linda, viene condannato a distruggere la sua casa ed i suoi libri. Allora si ribella, uccide il suo comandante e si rifugia nei boschi, dove alcuni uomini vivono in comunità imparando a memoria il contenuto dei libri, decisi a tramandare ai posteri queste opere di valore universale.

Critica 1:Da Gli anni della Fenice (1953) di Ray Bradbury: in una società del Medioevo prossimo venturo, condannata all'ignoranza da un potere dispotico che condanna i libri al rogo, il pompiere incendiario Montag incontra Clarissa che ama la lettura, comincia a leggere per curiosità e non smette più, diventando un fuorilegge.
(…) Meditazione sulla passione del fuoco e sulla contrapposizione tra gli uomini schiavi del Moloch televisivo e i liberi uomini-libro. (…) Un commosso omaggio ai libri, alla letteratura, al potere della scrittura.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:In primo luogo, c'è l'ostinazione a voler portare sullo schermo una storia che Truffaut dichiara di amare senza peraltro “sentirla” totalmente. Si intuisce con facilità che cosa può averlo conquistato in questo apologo futuribile su di una società irriducibilmente ostile alla cultura: è la possibilità di esprimere il proprio amore per i libri, l'attaccamento pressoché feticistico per il libro in quanto oggetto, che da sempre Truffaut va dichiarando nei film. La storia stessa, in quanto resoconto appassionato delle difficoltà di accostamento alla cultura da parte di chi ne è stato allontanato, risuona di echi autobiografici neppur troppo fievoli. D'altro canto, Truffaut ha più volte dichiarato di aver bisogno di soggetti “eccezionali”, capaci di spingerlo a filmare situazioni “forti” (nel caso, una vecchia che si lascia bruciare coi libri, l'uccisione del capitano col lanciafiamme), che da solo non oserebbe mai inventare, perché troppo tentato dal realismo, incapace di uscire dall'ambito della quotidianità, da quella prossimità alle cose conosciute e amate che costituisce uno dei tratti più significativi del suo cinema.
Dunque, affrontare un soggetto di fantascienza quale quello proposto dal libro di Bradbury, significa in primo luogo tentare se stesso, forzare i propri limiti per arrivare, attraverso un'operazione che è di mediazione, ad esprimere meglio la propria natura. Ma questo era anche il punto di partenza di Tirez sur le pianiste. Qui, come là, una storia di genere, fortemente codificata, invadente, oppressiva: un soggetto astratto, in definitiva estraneo alla sensibilità dell'autore. Ma è proprio questa estraneità a tentare Truffaut, a indurlo a servirsi di uno schema per ottenere un nuovo dosaggio di elementi preesistenti, spingendolo a dichiarare: “sarà interessante raccontare una storia di quel genere trattandola in un'altra maniera, che non sia quella abituale”.
La dislocazione del genere procede dal rovesciamento dei suoi luoghi topici. Il cinema di fantascienza insiste sullo stupefacente, l'avveniristico, il nuovo a tutti i costi? Fahrenbeit 451 riduce al minimo le invenzioni, anzi introduce oggetti del passato, che non si usano più: un vecchio telefono a cornetta, di quelli che si vedono nei film di Griffith, vestiti in disuso, come quelli indossati sullo schermo da Carol Lombard e Debbie Reynolds, persino una vecchia autopompa dei vigili del fuoco, riverniciata in rosso. Il cinema di fantascienza tenta di sbalordire costruendo macchine straordinarie sempre più perfette e tecnologicamente avanzate? In una scena del film, Linda offre a Montag un superbo rasoio a lama e getta nel cestino il vecchio Philips a pile. “In breve, lavoro a rovescio, un po' come se si trattasse di girare James Bond nel medioevo”. Ma, soprattutto, si tratta di recuperare ciò che il cinema di fantascienza ha perso di vista per occuparsi di meraviglie avveniristiche: l'uomo e i suoi problemi. Per ritrovare questa dimensione umanistica dimenticata, per riscoprire il familiare nel fantastico, Truffaut si sforza di render banali le scene troppo eccezionali e anormali le scene quotidiane. Come in Jules e Jim, si tratta di fare un discorso sul presente avendo l'aria di parlare d'altro: mentre là si fingeva di raccontare una storia del passato, qui ci si maschera dietro una vicenda avveniristica a cui nessuno, tantomento lo spettatore, deve credere troppo.
In entrambi i casi, e la continuità è sintomatica, Truffaut mette in scena personaggi che disubbidiscono, che trasgrediscono le leggi del mondo in cui vivono Montag impara a leggere i libri che gli è stato imposto di distruggere. Poiché ha spezzato l'interdetto, dovrà essere punito: ma si ribella e, dopo aver ucciso il Padre, fugge per raggiungere gli uomini liberi, ovvero gli uomini libro. L'analogia con Jules e Jim è evidente: ma di quest'ultimo, Fahrenheit 451 è il riflesso speculare, cioè rovesciato, trattandosi nel primo caso della progressiva intrusione del negativo (la resistenza della materia) nella positività assoluta (l'utopia realizzata della libertà totale), trattandosi nel secondo caso della progressiva scoperta del diverso (il positivo, la necessità della libertà) nell'uniforme (il negativo, l'oppressione della normalità).
Conviene ora, stabilita una ideale continuità tematica tra i due film, rilevarne le profonde differenze formali. In Jules e Jim, Truffaut procede per addizione: crea un universo caotico ed esorbitante, moltiplica le invenzioni tecnico-linguistiche, enfatizza gli spunti drammatici. In Fahrenheit 451, è un procedimento di sottrazione a istituire l'universo filmico: sottrazione di spessore e complessità ai personaggi, riduzione dello sviluppo drammatico a puro e semplice concatenamento logico di causa ed effetto, svuotamento di ogni sostanza dei dialoghi, improntati a criteri di mera funzionalità. Nessun dubbio che questo “azzeramento” sia, in una certa misura, voluto e che costituisca il principio stesso del film. Il fatto è che si tratta di mettere in scena l'universo freddo e asettico della Legge, di mostrarne tutta la durezza e la disumanità. Nell'universo della Legge non c'è posto per l'amore. L'amore è desiderio dell'altro da sé: nel mondo assolutamente uniforme di Fahrenheit 451 l'altro non esiste, il diverso non è che una copia di se stesso. Montag non si innamora di Clarissa, la giovane che lo tenta con le sue imbarazzanti domande sui libri e sulla felicità, perché essa non è che il doppio di sua moglie Linda: non a caso quindi i due personaggi sono interpretati dalla stessa attrice. L'amore assente è rimpiazzato dal suo logico sostituto; l'amore di sé, il narcisismo. Inquietanti segni del suo profondo radicamento costellano, qui e là, tutto il film, Nell'ufficio del Capitano, un'imponente riproduzione della sua testa è posta bene in vista; per ricompensare i pompieri meritevoli, egli offre loro un medaglione con il suo ritratto. Sulla monorotaia che riporta a casa Montag un viaggiatore si accarezza la guancia, un altro abbraccia il proprio riflesso sul vetro. Linda si tocca il seno, mentre è sola in cucina.
Il mondo di Fahrenheit è il mondo della solitudine, dello scacco, della paura. “Ho da raccontare una storia la cui essenza è piena d'orrore...”: è un passo dei Racconti straordinari di Edgar Allan Poe, che Montag recita nelle ultime immagini del film, per impararlo a memoria. Ma potrebbe essere l'esergo che apre il film. L'orrore è quello di un mondo in cui è proibito leggere, dunque è proibito conoscere, amare, ricordare. Il passato, nella società dei pompieri incendiari, non esiste. Nessuno ricorda nulla: Montag non rammenta che sia mai stato spento un incendio, non ricorda neppure il giorno in cui ha conosciuto sua moglie. Il tempo di Fahrenheit 451 è un eterno, drammatico, oppressivo presente, perché chi detiene il potere sa che controllare la memoria di un popolo significa controllare la sua stessa esistenza: chi non ha passato, non può avere nemmeno un futuro. La perdita della memoria è dunque condizione e sintomo di uno stato di oppressione, l'esercizio del quale appare inestricabilmente legato alla possibilità di controllare la pratica della scrittura. La società di Fabrenheit 451 non è una società che ignora la scrittura, ma è una società in cui ad un certo punto è stato proibito di scrivere. “I pazzi che leggono diventano insoddisfatti. Cominciano a desiderare di vivere in modi diversi, il che non è... mai possibile”, spiega il Capitano a Montag. La scrittura non è bandita perché scompaia, ma per divenire privilegio di una élite che si arroga il diritto di stabilire ciò che è bene per gli altri. La scrittura è principio di corruzione, di infelicità, di insoddisfazione: per questo va interdetta. Ma il vero motivo è un altro: l'accesso al segno scritto è sma-scheramento della violenza del potere, comprensione che questo non é l'unico modo possibile di esistere, possibilità di rovesciare la violenza della scrittura contro chi ne ha fatto strumento di dominio, di oppres-sione di classe. Film sulla mancanza del libro, Fahrenheit 451 è dunque un film sul potere della scrittura: scrittura come asservimento, quando questa è privilegio di pochi, scrittura come liberazione nelle mani di chi libero non è. Montag, pompiere modello e marito ottusamente soddisfatto, scopre nello sguardo di Clarissa la possibilità di altri mondi, l'esistenza del diverso. È il dubbio che essere tutti uguali non costituisce l'unico modo per essere felici. Così ruba un libro e il film racconta la sua difficile e appassionante riconquista, attraverso la scrittura, della soggettività espropriata. Impossibile dimenticare la scena in cui Montag - per la prima volta - sfoglia un libro, nella solitudine della propria casa, con la complicità della notte: il primitivo smarrimento, gli sforzi per imparare a sillabare, la curiosità crescente con cui scorre le pagine di David Copperfield, la passione infantile che lo anima insieme con l'ansia di recuperare il tempo perduto, sono tra le cose più commoventi e più belle non solo del film, ma dell'intera opera di Truffaut. Quest'immagine di uomo-bambino che per la prima volta si accosta alla scrittura, che per la prima volta posa gli occhi su di una pagina scritta, deve veramente ossessionare Truffaut se, dopo pochi anni, vi dedicherà un secondo film: L'enfant sauvage, ovvero la storia di Victor, il “bambino-lupo” trovato nella foresta dell'Aveyron, che impara a leggere e a scrivere sotto la guida del dottor Itard e cioè di Truffaut stesso. Montag, giunto alla conoscenza e dunque alla vita attraverso la riscoperta della scrittura, non trova però la felicità. La libertà, conquistata con la fuga, si rivela non meno illusoria di quella che Antoine raggiunge nel finale dei Quattrocento colpi. In un epilogo altrettanto disperato, Montag vaga sotto la neve, in mezzo a uomini e donne solitari e stracciati, in un bosco desolato, condannati a ripetere l'un l'altro, senza posa, i libri che hanno imparato perché non vada perduta la memoria nel mondo. Il futuro non è ancora incominciato.
Fahrenheit 451 è l'arte di fondere i contrari: “fredda meditazione sulla passione del fuoco”, combina l'antico e il nuovo, la realtà e la fantascienza, l'attualità e la finzione, l'astrazione e il lirismo, la solennità di una storia drammatica e la leggerezza di un racconto fiabesco. Per questo, Fahrenheit 451 è, a pieno diritto, un film di Truffaut: ma, fors'anche, il
meno riuscito. (…)
Gli intoppi nella lavorazione del film; i disagi della grossa produzione a cui il regista non era abituato, il disaccordo - manifestatosi quasi subito - tra lui e Oskar Werner sull'impostazione da dare alla figura del protagonista (tanto che Truffaut taglierà, al montaggio definitivo, numerose scene in cui compare Montag), non sono forse sufficienti a giustificare il senso di disagio che si prova a film concluso. L'impressione è che Fahrenheit 451 sacrifichi, contro le intenzioni esplicite dell'autore e gli sforzi compiuti in questo senso, la complessità della condizione esistenziale dei suoi protagonisti alla bellezza dell'assunto che informa il film, la ragione dei personaggi all'efficacia (narrativa, ideologica) del postulato, privilegiando un livello unico, per di più univoco, di lettura. “Ho da raccontare una storia la cui essenza è piena di orrore. La sopprimerei volentieri se non fosse una cronaca di sensazioni piuttosto che di fatti”.
Autore critica:Alberto Barbera
Fonte critica:François Truffaut, Il Castoro Cinema
Data critica:

3/1976

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Gli anni della Fenice
Autore libro:Bradbury Ray

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