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Bosco di betulle (Il) - Brzezina

Regia:Andrzej Wajda
Vietato:No
Video:San Paolo Audiovisivi
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Diventare grandi
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Jaroslaw Iwaszkiewicz
Sceneggiatura:Andrzej Wajda
Fotografia:Zygmunt Samosiuk
Musiche:Andrzej Korzynski
Montaggio:Halina Prugar-Ketling
Scenografia:Maciej Putowski
Costumi:Renata Wlasow
Effetti:
Interpreti:Olgierd Lukaszkiewicz (Stanislaw), Daniel Olbrychski (Boleslaw), Emilia Krakowska (Malina), Marek Perepeczko (Michal), Elzbieta Zolek (Ola), Jan Domanski (Janek), Mieczyslaw Stoor (Heir), Danuta Wodynska (Katarzyna)
Produzione:Zespol Filmowy "Tor"
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Polonia
Anno:1970
Durata:

90’

Trama:

Nel clima romantico di inizio secolo un giovane ammalato di tisi, Stanislaw, va a trascorrere un periodo di convalescenza dal fratello, Boleslaw, guardia forestale, vedovo, che vive solitario con la giovane figlia. La narrazione gravita attorno al bosco di betulle dove è sepolta la moglie di Boleslaw, al suo ricordo e allo scontro tra i due fratelli. In questo confronto-scontro si innestano due figure femminili: la figlia di Boleslaw, Ola, affascinata dai racconti dello zio e la giovane Malina che risveglia il desiderio di Boleslaw ma che sarà attratta dai modi raffinati del fratello... Colori, stati d'animo e situazioni si fondono e danno vita all'eterno conflitto tra amore e morte, tra silenzio e vita, tra sogno e realtà. E proprio nel silenzio del bosco di betulle anche la morte esprime tranquillità: la tranquillità di "ultimo sogno".

Critica 1:Dal romanzo omonimo di Jaroslaw Iwaszkiewicz (1894-1980). Malato gravemente di tbc, Stanislaw s'installa, deciso a godersi gli ultimi mesi di vita, nella casa del fratello Boleslaw, guardia forestale, chiuso nel suo dolore di vedovo. La morte del fratello ridà a Boleslaw il coraggio di vivere. Giocato sulla cupa e quasi patologica traiettoria di disfacimento e morte, è un ammirevole esempio di cinema letterario.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Brzezina/ Bosco delle Betulle (1971), lirico e vibrante, racconta la fine di un giovane polacco, malato senza speranza, che trascorre l'agonia ospite del fratello in un bosco di betulle; l'incalzare della morte scatena i suoi istinti vitali, in contrasto con le abitudini riservate del fratello, vedovo in lutto e succube dei ricordi. Ma il morituro riesce a far capire che c'è una figlia da crescere, che la vita continua. Wajda ha ripiegato definitivamente sui temi privati della vita, della morte e dell'amore. La muta eternità del bosco di betulle domina con il cipiglio affettuoso e severo del tempo.
Autore critica:
Fonte critica:www.scaruffi.com
Data critica:



Critica 3:(…) Ne Il bosco di betulle non sono presenti i drammi della storia, i conflitti dell'individuo contro la resistenza dell'oggettività, le passioni violente che colorano il «destino» di grandi esistenze, la retorica dell'eroe in disperata lotta con se stesso e con gli altri. Nel film c'è il dipanarsi, ora tranquillo ora sofferto, di trame interpersonali, quotidiane nella loro evidenza immediata, all'interno delle quali anche i decisivi argomenti dell'umana vicenda sono ridotti alla semplice concatenazione del ciclo vitale. La vita, l'amore, la morte e la loro «guerra» non costituiscono il tema del film, che non si limita ad un'arida dialettica di opposti, ma consiste nell'insieme delle relazioni rappresentate, la cui complessità comprende anche l'aspetto esistenziale decisivo, corretto però dalla osservazione fenomenica. Essi piuttosto fungono da ingranaggi, momenti propulsori che condizionano il tono della vicenda, ma non ne esauriscono in modo assoluto il significato. Sono costanti attorno alle quali si muovono i fatti più semplici, che da essi prendono luce, ma ad essi impongono una terrena concretezza. Il bosco di betulle è un film interiore; calato in una storia particolare, separata dal resto del mondo, dove vive un mondo di affetti, che è visto nel suo comporsi e disgiungersi, nei suoi moti, nel suo mescolarsi e nelle sue fratture. Dove si determina una rete di rapporti tra soggetti conviventi, che vengono assorbiti dalla loro stessa sentimentalità, la quale non risparmia nemmeno i luoghi fisici, l'ambiente della loro interpresenza. La storia del film emerge più dalla sincronia delle reazioni affettive che dallo svolgersi di una serie di fatti conseguenti. Per questo l'elemento espressivo più tangibile è dato dal tono, dall'atmosfera che accompagna i vari momenti. La cui composizione è resa maggiormente percepibile dall'esposizione cinematografica dei colori, che caricano l'energia degli scambi e la rendono visualmente concreta. Il film di Wajda è un accostamento di impressioni, un sovrapporsi di tinte, una tela dove si depositano i diversi componenti cromatici.
L'arrivo di Stanislaw alla casa del fratello guardiacaccia è già un indizio, che si esplica nel contrasto tra il viso bianco, il pallore mortale, l'incarnato marmoreo dell'uomo e l'oscurità densa, con predominante ocra, degli alberi tra cui il calesse si muove. Lo sguardo di Stanislaw è profondo e teso di contro alla staticità assente della natura, che alterna nascita e morte con l'indifferenza della trasformazione necessaria. La morte, irreversibile per l'uomo che ne fa oggetto di pensiero, è solo un modo d'essere dell'evoluzione naturale. Essa è dentro i personaggi come misura umana, e produce il dramma sotto diversi travestimenti. In Boleslaw vive nella dimensione della memoria, nel ricordo assillante della moglie scomparsa; essa condiziona il suo atteggiamento verso l'esterno, è un filtro che deforma oggetti e persone. Boleslaw ha l'esperienza della morte come possibilità continuamente presente, che si interpone tra sè e il mondo, non come paura ma come ostacolo.(...)
Il film è la visione di un microcosmo nel suo fermentare, nelle relazioni che lo compongono, nello sviluppo che lo caratterizza fino a raggiungere lo stadio di massima trasformazione. Se in un composto chimico viene introdotto un reagente, esso provoca una sequenza di processi che portano il composto a stabilizzarsi secondo nuove caratteristiche. Allo stesso modo l'ingresso di Stanislaw nella piccola comunità che orbita attorno al fratello guardiacaccia sovverte l'insieme dei comportamenti, provoca una reazione a catena che rompe l'agglomerato secondo linee di frattura irreversibili.
Stanislaw penetra nel mondo degli altri acutamente, poichè è portatore reale di un'esperienza, quella della morte, che rompe la normalità del vivere. Non solo egli, quale valore «vivente», condiziona il rapporto degli altri con la sua persona, ma incide pure nei rapporti che essi hanno tra di loro. La presenza di Stanislaw esercita come un effetto di induzione sullo spazio circostante e lo scioglimento dell'insieme avviene dopo la sua morte, quando ogni elemento si ricompone secondo un nuovo ordine. Egli agisce come catalizzatore di significato, perchè fa emergere I'«interiorità di coloro che lo attorniano. Stanislaw è un personaggio diverso in un mondo estraneo. Cittadino per educazione, si trova calato in un mondo «primitivo»; razionalista per necessità, è avvolto da passioni violente, viscerali. Intellettuale per formazione, è costretto a vivere una naturalità spietata nel suo automatismo. Egli vive il proprio passato come commemorazione, come oggetto di racconto, come ultima possibilità di coscienza soggettiva ed è assorbito da un passato senza tempo, immutabile. Oppone la propria ricercatezza, la propria «finesse» alla semplicità di un accadere reiterato, dove anche l'uomo tien dietro al ciclo delle stagioni. Personaggio artistico, sfoga nella finzione un'inutile illusione; l'immagine del viso che l'acqua gli restituisce è già un'apparenza di vita, l'impossibilità della sostituzione. Nel pianoforte può consolare la rinuncia a credere; l'oggetto risponde ai gesti di Stanislaw, gli restituisce il movimento delle mani, gli dà la fiducia del fare. Lo spettacolo è la reazione all'irresistibile movimento delle cose, quando la mente sposta la realtà dando vita a forme proprie, immagini combinate di entità fittizie.
Stanislaw gioca con la rassegnazione; conosce il proprio futuro e ciò gli consente di alienarsi, di uscire da sè, di esistere in una apparente inconspevolezza. Cede all'esterno l'impulsività, l'incoscienza, si abbandona all'agitazione cellulare, anche se in tal modo si condanna all'esaurimento energetico. Non è padrone del proprio corpo, macchina ormai guasta destinata a fermarsi, e cerca la salvezza liberandone le ultime effervescenze. Dissociandosi annulla il pensiero, che lo porterebbe all'immobilità, e, benchè annaspi nel mondo dei vivi, riesce a scrollarsi di dosso l'ansia della coscienza. Di fronte a lui una natura crudele, ma accogliente nel suo produrre combinazioni successive, è l'estremo rifugio per l'accettazione dell'indifferenza. Tra finzione e incoscienza Stanislaw giustifica il proprio destino staccandosene, come un altro da sè dimenticato, che continua a sussistere in qualità di fine, non di contradditorio. La morte è dentro il comportamento di Stanislaw, ma questi è costretto ad aggirarla, se vuole accoglierla. Non può farsene un'idea, perchè allora dovrebbe prepararsi a morire; la sola scelta possibile è il contatto immediato col mondo dei fenomeni, con le cose, gli animali e le persone, che non hanno la morte dentro di sè poichè non la conoscono. Malina non è il simbolo della vitalità, ma è questo non pensare al possibile venir meno del proprio essere, questo essere al di qua dell'evento mortale. Quando Malina si accosta al corpo di Stanislaw, lo accetta nella sua esteriorità di organismo che si esprime anche attraverso il piacere. Stanislaw le cede le prestazioni che il rendimento della sua macchina fisica può ancora offrire. In questo scambio può comunque sentirsi muovere, reagire al torpore del cedimento, al fatalismo dell'avvenimento che è atteso come prossimo. L'unica soluzione è nell'estraniarsi con la mente e col corpo; non c'è l'esigenza di ricomporre l'unità, ma di non permettere che i contrari si tocchino, interagiscano. La dialettica in Stanislaw scompare dietro l'esasperazione della positività. Wajda aderisce a tale universo accentuandone il movimento. Si è già visto come l'uso del colore dipinga impressioni, cioè accresca l'effetto sensoriale delle immagini, dilatandone le potenzialità espressive, col formare una connotazione cromatica. Il paesaggio naturale è artefatto, pittorico (il quadro nella casa del guardiaboschi è del pittore polacco Malcewski e si intitola «Thanatos»; esso viene riprodotto filmicamente quando Boleslaw si incontra con Malina che falcia nel campo allagato) gli interni presentano toni non naturali, come la stanza della ragazza morente, pervasa da un azzurro fluido mortale. O la stanza di Stanislaw, dove il viola e il blu danno un'atmosfera da cabaret alle sue esibizioni pianistiche. La macchina da presa rimane comunque all'esterno, osservatrice fedele degli avvenimenti; essa entra nello spazio esistenziale di Stanislaw solo nei momenti in cui la morte afferma la propria presenza. Durante la prima crisi della malattia, nel suo movimento in avanti, veloce e aggressivo, a bloccare le immagini che fuggono, c'è il delirio di Stanislaw, l'estremo tentativo di attaccarsi al mondo che si allontana. Nel momento della morte, la carrellata che lo accompagna nel viaggio attraverso le betulle, dove la morte già riposa da tempo, esprime ormai la tranquillità dell'ultimo sogno. Il cinema interviene con le sue qualità» oniriche a sostituire la rappresentazione della morte; allo stesso modo di Stanislaw, Wajda allontana il momento definitivo collocandolo in una dimensione artificiale, ma in tal modo trasfigurandolo. Come Stanislaw si abbandona alla fenomenicità del vivente, Wajda rimane nella superficialità dell'immagine. L'esigenza di continuare a vivere è unita alla possibilità di continuare a formare immagini. Anche Wajda interviene a trattenere l'angoscia, sublimandola in un'insistenza di finzione. La morte rimane presente, attraverso il silenzio, nella muta lontananza del bosco di betulle.
L'idea della morte è intimamente connessa all'esperienza del tempo. La vita della comunità è fatta di gesti che si ripetono da sempre in numero limitato. Boleslaw vive la scomparsa della moglie dentro di sè e con sè, senza intaccare le manifestazioni esterne della sua funzione tra gli altri. Egli interiorizza il tempo, coinvolgendolo nella regressione di un ricordo incancellabile, perchè vissuto nella circolarità dell'attrazione: egli ritorna di tanto in tanto nel bosco di betulle non per innovare un atto di fede, l'amore per la moglie, ma per conservare un intervallo di vita «fondamentale», che non intende cedere ad alcuno o rinnovare con altre persone. In caso contrario cadrebbe nel tradimento e quindi nella colpa, ma anche nella possibilità di rivivere l'esperienza dolorosa del venir meno della persona amata. Solo immobilizzando i moti dell'animo, racchiudendosi nella staticità dell'affetto irreversibile, pur tuttavia investendo un'ombra, può continuare a vivere in un'apparente tranquillità. Nel fratello vede la minaccia che questo equilibrio venga rotto, ne detesta la vitalità, perchè non vuole più abbandonarsi al piacere, che farebbe affiorare immagini antiche, ma allo stesso tempo le renderebbe vuote costringendolo a dimenticare. Anch'egli è attratto fisicamente da Malina, ma ciò è per lui un'esperienza dolorosa, perchè dovrebbe uscire da sè, cedere ad altri l'intimità della sofferenza, portare alla luce il passato per superarlo in un gesto di vita. E questo lo porterebbe ad uscire dalla sicurezza del già vissuto per gettarlo in un nuovo movimento, del tutto imprevedibile.
Per Boleslaw il legarsi a cose morte è il modo per sfuggire l'esistenza e quindi l'instabilità del suo svolgersi. Non interiorizza tanto il tempo quanto la temporalità, che può controllare anche nel suo sviluppo futuro, perchè ne anticipa le possibilità. Il periodico ritorno nei luoghi della sepoltura non è altro che la fuga ripetuta da se stesso, come essere vivente. Egli vive la morte come negazione senza movimento, in una dimensione affatto umana di controllo della vita, sovradeterminandone il corso.
Stanislaw al contrario esteriorizza il tempo, nella sua dimensione coscienziale,cedendolo ad una temporalità più vasta, più «generale», ma anche più anonima, senza sofferenza, neutra. Egli non attende la morte, cioè non forma tra sè e l'evento una distanza determinata, anche se solo ipotetica, non misura la differenza di vita. Cancella la spiegazione, lasciandosi andare ad una durata non connotata. Per Boleslaw il tempo è una questione di economia, per Stanislaw è un rapporto di forza; entrambi lottano contro di esso ed entrambi ne sono posseduti. Essi sono dominati dalla paura: paura di vivere per l'uno, paura di morire per l'altro. Per questo non riescono a rompere la propria sensibilità, rispetto alla quale agiscono in modo istintivo. La loro «irrazionalità» li rende completamente dipendenti dalle forze che sprigionano, ora in netta opposizione ora in temporaneo equilibrio. La situazione si risolve solo attraverso un intervento esterno; la morte elimina la figura di Stanislaw ed ogni cosa ritorna alla tranquillità, sebbene con rapporti cambiati. Boleslaw riacquista la compagnia della figlia, recuperando l'affettività di una volta, ma si allontana da quel luogo, dove un'ennesima presenza mortale si è aggiunta e si è intromessa tra lui e il ricordo della moglie. Malina resta, indifferente agli spazi, soggetta tanto alla gioia quanto alla violenza degli altri, non toccata dal tempo, pronta ad accettare la compagnia dei vivi come quella dei morti. Personaggio che non sceglie per naturale rifiuto, esce indenne dal triangolo. E forse la sola che può sopportare la vicinanza del luogo di morte, come la macchina da presa che per l'ultima volta contempla il silenzioso riposo del bosco di betulle.
Autore critica:Angelo Signorelli
Fonte critica:Cineforum n. 183
Data critica:

4/1979

Libro da cui e' stato tratto il film
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