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Misteri del giardino di Compton House (I) - Draughtsman's Contract (The)

Regia:Peter Greenaway
Vietato:No
Video:General Video, San Paolo Audiovisivi
DVD:General Video
Genere:Drammatico
Tipologia:Spazio critico
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Peter Greenaway
Sceneggiatura:Peter Greenaway
Fotografia:Curtis Clark
Musiche:Michael Nyman
Montaggio:John Wilson
Scenografia:Bob Ringwood
Costumi:Sue Blane
Effetti:
Interpreti:Anthony Higgins (Mr. Neville), Janet Suzman (Mrs Herbert), Anne Louise Lambert (Mrs Talmann), Hugh Fraser (Mr. Talman), Neil Cunningham (Mr. Noyes), Nicholas Amer (Mr. Parkes), Suzanne Crowley (Mrs. Pierpoint), Michael Feast (la statua), David Grant (Mr. Seymour), Dave Hill (Mr.Herbert), Lynda Marchal (Mrs. Clement)
Produzione:David Payne per British Film Institute - Channel Four Television
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Gran Bretagna
Anno:1982
Durata:

106'

Trama:

Ambientato alla fine del Seicento, in una villa immersa nel verde della campagna inglese, il film racconta la vicenda di un intrigo mortale. La signora Herbert, moglie di un ricco proprietario terriero, padrone di Compton House, chiede a Mister Neville, paesaggista alla moda, di eseguire dodici disegni della sontuosa dimora. Vuol farne dono simbolico di pace al marito che l'ha sposata per interesse e sembra mostrare maggior cura per le serre ed i giardini che affetto per la moglie. I disegni devono essere eseguiti per il ritorno del signor Herbert, partito per un breve viaggio di due settimane. Nel contratto la dama, per convincere il riluttante pittore, inserisce la singolare clausola, in carattere con l'epoca libertina, che la impegna ogni giorno a concedere i suoi favori a Neville. Fiero del successo, l'artista si mette al lavoro, imponendo con arroganza le sue regole agli abitanti di Compton House: mentre egli disegna, essi devono sparire, lasciando libera la visuale del paesaggio e, quando il lavoro è finito, la signora Herbert, deve essere pronta a ciò che egli vuole. Dopo il sesto disegno, anche la figlia degli Herbert, moglie insoddisfatta di un tedesco borioso e di scarsa virilità, chiede al pittore un secondo contratto intimo ed egli accetta di buon grado. Nella pace del paesaggio campestre appaiono, nel frattempo, oggetti inquietanti: una camicia lacerata, un paio di stivali, un farsetto con uno strappo all'altezza del cuore e, alla fine, anche un cavallo che attraversa i campi senza cavaliere; quasi una pista che sembra ricondurre alla figura di Herbert facendone sospettare la morte. Ma Neville assapora l'illusorio trionfo e sembra non accorgersi, mentre disegna la villa e la campagna con precisione maniacale, di mettere insieme, nei suoi paesaggi, gli indizi e le tracce di un delitto; in tal modo i dodici disegni diventano documenti rivelatori di un oscuro intrigo. Scoperto il cadavere del signor Herbert in un canale del giardino e, ottenuto con la gravidanza della figlia degli Herbert che il patrimonio resti in famiglia, Neville è ormai strumento inutile e testimone pericoloso. Quando egli si accorge del suo ruolo, è, ormai, troppo tardi: i potenti che egli ha sfidato lo uccideranno per salvare i loro interessi. I dodici disegni saranno bruciati e nessuna traccia rimarrà del pittore nel tragico gioco di morte.

Critica 1:Inghilterra della Restaurazione, 1694: signora chiede a pittore di eseguire dodici disegni della sua residenza da donare al marito che l'ha sposata per interesse, purché ogni giorno, finito il lavoro, si sollazzi con lei a letto. Ma il marito viene trovato annegato in un fosso. All'insegna di una sofisticata e secca stilizzazione, racconto di figure in un paesaggio, commedia grottesca dell'assurdo, è un film sull'arte e sul sesso, rappresentati entrambi come lavoro e subordinati agli interessi economici. E anche un saggio critico sul diritto di proprietà come motore della vita sociale. A modo suo, è un film perfetto per la precisa e calcolata congruenza delle parti con il tutto. Bella colonna musicale di Michael Nyman. Premiato alla Mostra di Venezia, diede a P. Greenaway rinomanza internazionale.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Ha scritto Robert Brown che i film di Greenaway sono o documenti di finzioni o finzioni di documenti. I misteri del giardino di Compton House, pur assommando in qualche modo entrambi i caratteri, ci sembra partecipi in misura maggiore al primo.
Anche se forse non varrebbe la pena di sottolinearlo, non ci troviamo di fronte ad un film storico, con tanto di volontà «fantascientifica» di ricostruire con buona approssimazione un passato, nella sua dinamica sociale e immaginaria. La collocazione — nel 1694, in Inghilterra, in ambito agrario - borghese — ci pare qui suggerita, oltre ché dal fascino di un décor attraente anche nella sua sgradevole fisicità (si ha talora l'impressione di percepire i cattivi odori che promanano da quei volti incipriati e imparruccati), dall'esigenza geometrica di avere a che fare con un ordine rigidamente codificato, quello appunto di una classe che esce da una rivoluzione combattuta e vinta e della quale sta godendo i privilegi.
A maggior ragione, quindi, il film è ben lontano da quella che Greenaway chiama la chimera del realismo, un'ossessione filmica tipicamente inglese, a sovvertire la quale interviene un dialogo sovrabbondante e rapidissimo che, come in certi film di Mankiewicz, tende spesso più ad occultare l'oggetto che non a chiarificarlo. Certamente più pertinente, anche se non esaustiva, ci sembra la lettura del film come metafora del rapporto tra il regista e la realtà, fisica e sociale. È vero, infatti, che lo strumento usato da Neville rinvia a quello, analogo, del direttore della fotografia, che la pretesa esattezza del disegno si scontra con l'inoggettivabilità del reale, o, che è lo stesso, col mistero, che la funzione del disegnatore, che inizialmente sembra arrogantemente autonoma, si rivela poi ingabbiata in ferree determinazioni sociali, tanto da piegarsi fatalmente alle loro esigenze. È molto probabile che Greenaway, pittore e tecnico del montaggio, regista insieme d'avanguardia e inserito nel mercato, abbia proiettato la propria ombra su Neville. (…)
Ci pare eloquente, in tal senso, la definizione che il regista dà della sua opera: «a figures - in - a - landscape - movie». In effetti, uno degli elementi del film che colpiscono maggiormente è il rapporto alterato tra personaggi e paesaggio. Come in una sorta di Arcimboldo alla rovescia, le figure umane non hanno spesso altra rilevanza che quella di elementi costitutivi di un tutto composito, minuziosamente determinato eppure indecifrabile nella sua totalità. È la grande tradizione del paesaggismo inglese del sei-settecento, certo, ma anche quella del trompe-l'oeil, del landscape rifinito in ogni particolare che, magari visto di sghimbescio, nasconde una persona o un animale, e viceversa. A sottolineare questo concetto, in modo forse eccessivo, comunque non sempre convincente, il regista ha escogitato la figura del mentecatto che si atteggia a statua, che funziona non soltanto come contrappunto ironico, o come intrusione irrazionale e «incolta» in un contesto sottoposto a drastiche regole «civili» (significativamente, è lui a «chiudere» la vicenda con una smorfia di disgusto di fronte all'ananas, frutto esotico da tutti apprezzato come una raffinatezza), ma anche come simbolo vivente dell'impossibilità della rappresentazione, di una sfuggenza corporea parallela a quella oggettuale.
Ancora, il landscape, il giardino, rimandano all'idea del labirinto, con tutte le sue implicazioni simboliche e psicoanalitiche, antropologiche e alchemiche. Siamo dalle parti del Borges maggiore, quello di Il giardino dei sentieri che si biforcano, soprattutto di La morte e la bussola, ma anche, nelle panie della coazione a ripetere (Neville ritorna a Compton Anstey per consumare l'ultimo atto, ma la sua potrebbe essere una serie di incubi concentrici, il film ricominciare là dove è terminato), abbastanza vicini a certe produzioni «di genere» tipicamente britanniche, leggi Hammer e antenati, come il bellissimo Dead of night (1945), di Dearden, Cavalcanti, Hamer e Crichton, oltre ché a Shining di Kubrick, regista che è stato tirato in ballo in maniera piuttosto esterna (l'ambientazione) per Barry Lyndon, che assomiglia semmai a I misteri del giardino di Compton House per il destino del protagonista, per la sua progressiva decadenza in quanto rivelazione di umanità e «sentimento», oltre ché per un analogo rapporto tra paesaggio e personaggi.
Piuttosto, da un punto di vista strutturale, il film, nella sua ricerca di verità inizialmente orientata in maniera apparentemente univoca, che poi si capovolge e viene drasticamente smentita, nella presentazione di personaggi che vengono connotati in maniera precisa, come carnefici o vittime, e poi ribaltano i loro ruoli, segue uno schema che ha una sua tradizione, marginale ma consistente, che va da Benito Cereno di Melville al notevole e sottovalutato La conversazione di Coppola, passando attraverso numerose tappe intermedie, tra le quali il celebre Borges del Tema del traditore e dell'eroe. Anzi, diremmo che, tra tutti gli esempi citati, questo è forse il più calzante, in quanto Melville e Coppola operano il rovesciamento in modo repentino (la scialuppa di Amasa Delano, la toilette nel motel), Greenaway divide il film in segmenti che corrispondono grosso modo ai singoli disegni ed agli indizi in essi disseminati, ed opera una graduale inversione di tendenza, che parte appunto dal compimento del sesto.
Ma l'organizzazione dei materiali, percettivi e immaginari, la differenziazione dei punti di vista, l'interpretazione dello statuto delle cose, del loro «carattere di alterità autosufficiente rispetto all'uomo, dal quale le separa una distanza incolmabile» (Bertetto), avvicina I misteri del giardino di Compton House anche al clima culturale del nouveau roman, di uno Husserl filtrato da Sartre e Merleau-Ponty, soprattutto al cinema di Alain Resnais (per inciso, Greenaway, prima di iniziare a girare ha voluto mostrare a tutti, attori e tecnici della troupe, L'anno scorso a Marienbad). L'assimilazione di queste suggestioni si innesta però su un ceppo tradizionalmente solido: da un lato c'è l'inguaribile romanticismo dell'animo britannico (ricordate Losey?), dall'altro la sua refrattarietà ad un esoterismo comunque offensivo, sia per il pubblico che per la committenza. Sotto questo aspetto scatta veramente l'identificazione Greenaway-Neville: entrambi, infatti, vivono la contraddizione insanabile tra autore romantico di una finzione e finzione strutturalista di un autore, divisi come sono tra lucidità del disvelamento e fascino della narrazione, tra freddezza dell'enunciato e calore della partecipazione, tra distrazione dello sguardo e attrazione dell'eros. Da questo atteggiamento schizoide, che percorre ogni elemento della messa in scena, dalla recitazione dello splendido Anthony Higgins alla funzionale colonna sonora di Michael Nymann, che spazia da Henry Purcell a Philip Glass, è nato, rara avis, un film classico in forme d'avanguardia o, se si preferisce, un film d'avanguardia in forme classiche.
Autore critica:Paolo Vecchi
Fonte critica:Cineforum n. 230
Data critica:

1/1985

Critica 3:
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Data critica:



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