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Maestro di marionette (Il) - Puppetmaster (The)

Regia:Hou Hsiao-Hsien
Vietato:No
Video:Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede - Mondadori Video, Medusa Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Spazio critico
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Li Tianlu
Sceneggiatura:Wu Nien-Jen, Chu Tien-Wen
Fotografia:Mark Lee
Musiche:Chen Ming-Chang
Montaggio:Liao Ching-Song
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Lin Chiang (Li Tien Lu), Hwang Ching-Ru (Tan Die), Li Chuan-Tsan (Tan Ah Lai), Gao Dong-Hsiu (Li Nee), Tsai Jen-Nan (Ko Pang Dang), Wu La-Yun (Tan Shing), Yang Li-Yin (Lai Hwat)
Produzione:City Films Ltd.
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Taiwan
Anno:1992
Durata:

142'

Trama:

Il film presenta la storia del più grande animatore di marionette taiwanese, Li Tien Lu. Dall'infanzia felice passata dietro il palcoscenico ai tempi bui dell'occupazione giapponese (che ne reprimeva l'espressione artistica), il maestro burattinaio ci conduce ad una riflessione sul senso della storia e degli eventi. E sullo sfondo di un suggestivo affresco di mezzo secolo di storia, matura l'amaro sospetto che anche il più abile burattinaio sia una marionetta nelle mani di qualcuno che ne manovra i fili.

Critica 1:Il film, Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 1993, narra la vita del maestro di marionette Li Tien Lu, uno degli artisti più famosi e popolari di Taiwan.
La voce narrante, dello stesso Li Tien Lu, illustra le vicende della sua avventurosa vita, dalla nascita fino al termine della seconda guerra mondiale che ha sancito la fine dell'occupazione giapponese a Taiwan. Dai primi spettacoli negli anni dell'infanzia, alla nascita di una sua compagnia di teatro, al travaglio della dominazione culturale giapponese che proibiva le rappresentazioni di teatro tradizionale, la vita di Li Tien Lu si intreccia con le vicende storiche del suo paese, creando un affresco suggestivo e appassionante.
Il fascino magico dei fili e delle marionette porta il maestro a formulare alcune riflessioni esistenziali sul suo lavoro e sulle similitudini tra la vita ed il teatro, fino a sospettare, come lui stesso dice: "che ci sia qualcuno che tira i fili sopra di me, e sono anch'io una marionetta".
Autore critica:
Fonte criticaProvincia di Brescia - Mediateca
Data critica:



Critica 2:Il maestro di marionette del titolo è in realtà un burattinaio, si chiama Li Tien Lu ed è un'autentica gloria nazionale, molto celebre anche all'estero (una foto del 1985 contenuta nel press-book ce lo mostra insieme all'allora governatore dell'Arkansas Bill Clinton). I conoscitori del cinema di Hou Hsiao Hsien, tra l'altro, lo hanno visto all'opera anche come attore: era il nonno in Ripercorrendo con nostalgia il commino della vita e La figlia del Nilo, nonché il patriarca di Città dolente. Pubblicata a puntate sull'«Independent Morning Post» di Taipei, col titolo Vita di una marionetta, tra marzo e novembre '90, la storia della sua vita ha permesso al regista di raccontare un periodo estremamente controverso e delicato della storia del suo paese, quello dell'occupazione giapponese, aggiungendo così un altro tassello (il primo, in realtà) a quella trilogia sulla storia moderna di Taiwan di cui Città dolente costituisce il secondo capitolo (il terzo, che ci condurrà sino ai giorni nostri, è già annunciato col titolo Un uomo chiamato Putao Tailang). Il film inizia nel 1909, anno di nascita di Li Tien Lu, e finisce dove inizia Città dolente, nel 1945, quando la disfatta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale mette fine a mezze secolo di presenza nipponica nell'isola, segnando al contempo il ricongiungimento tutt'altro che pacifico di Taiwan alla Cina continentale. Trentacinque anni della vita di un uomo, il percorso esemplare di un individi colto nelle sue interrelazioni con tre sfere che compongono l'esisten (corrispondenti ad altrettanti live tematici del film): familiare, professionale, sociale.
La prima, innanzitutto. Hsimen Rensheng ribadisce con forza il ruolo centrale rivestito nel cinema di Hi Hsiao Hsien dalla famiglia, punto partenza e di arrivo di ciascun individuo, microcosmo che riflette i mutamenti del sociale facendosi nello stesso tempo garante del legame con tradizione.
Ecco allora che l'esemplarità del personaggio Li viene affermata attraverso lo sviluppo delle sue vicende familiari: gli eventi luttuosi (una costante nel cinema di Hou), il matrimonio, ma anche l'evolversi apparentemente insignificante del quotidiano. Proprio a questo punto si colloca l'originalità del progetto rievocativo del regista. Perché di quell'epoca ciò che a Hou interessa recuperare sono soprattutto i segni minimi, le dinamiche familiari, i gesti di tutti i giorni. Così come trova spiegazione in questo presupposto la rivalutazione dei giapponesi troppo frettolosamente scambiata per astuta mossa commerciale: alla base, in realtà, c'è la volontà di riannodare i fili con la propria storia nazionale, di recuperare la memoria di un'epoca che il Kuomintang volle a tutti i costi rimuovere e nella quale, come si incarica di dimostrare Città dolente, non si viveva peggio che sotto Chang Kai-shek. E naturalmente, le soluzioni stilistico-espressive messe a punto dal regista nei film precedenti, e qui radicalizzate, si rivelano quantomai funzionali agli intenti citati: il piano-sequenza, l'immobilità della macchina da presa, l'assenza di primi piani in favore di totali con sfolgorante e densissima profondità di campo, sono gli strumenti più adeguati alla restituzione della dimensione spazio-temporale di un'esistenza quotidiana fondata su ritmi lenti e reiterati, lavorando allo stesso tempo in funzione di un congelamento della componente drammatica. Assolutamente antitetico sotto il profilo della costruzione stilistica e drammaturgica (il film di Hou Hsiao Hsien non concede nulla al gusto occidentale), Hsimeng Rensheng condivide comunque col film di Chen Kaige il ruolo metaforico assegnato alla forma spettacolare cui si fa riferimento. Dall'alto della saggezza dei suoi 84 anni, Li Tien Lu può oggi dichiarare: «Le mie mani hanno infuso la vita alle mie marionette. Io le ho create, ho guidato i loro destini, come se fossi stato Dio in persona. Ma la verità è che, dietro di me, c'era qualcun altro a tirare i fili e che anch'io non ero nient'altro che una marionetta». E anche in questo caso, il tragitto individuale non fa che riflettere quello di un intero paese, la cui storia ha sempre visto altri muovere i fili del suo destino.
Autore critica:Filippo D’Angelo
Fonte critica:Cineforum n. 325
Data critica:

6/1993

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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