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A qualcuno piace caldo - Some Like It Hot

Regia:Billy Wilder
Vietato:No
Video:Warner Home Video (Gli Scudi) - Twentieth Century Fox
DVD:MGM
Genere:Commedia
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Michael Logan, Robert Thoeren
Sceneggiatura:I.A.L. Diamond, Billy Wilder
Fotografia:Charles B. Lang Jr.
Musiche:Adolph Deutsch, A. H. Gibbs, Matty Malneck, Herbert Stothard
Montaggio:Arthur Schmidt
Scenografia:Ted Haworth
Costumi:
Effetti:Milt Rice
Interpreti:Marilyn Monroe Sugar Kane, Tony Curtis Joe, Jack Lemmon Jerry, George Raft Spats Colombo,Pat O'brien Mulligan, Joe E. Brown Osgood Fielding Iii, Nehemiah Persoff Bonaparte, Edward G. Robinson Jr. Johnny Paradise, Joan Shawlee Sweet Sue, George Stone Toothspick Charlie
Produzione:Billy Wilder per United Artists - Mirisch
Distribuzione:Istituto Luce - Cineteca del Friuli
Origine:Usa
Anno:1959
Durata:

122'

Trama:

A Chicago, al tempo del proibizionismo, e precisamente il 29 febbraio 1929, gli uomini di Al Capone uccidono sei gangsters di una banda concorrente. Il massacro avviene all'interno di un'autorimessa e due musicanti, Joe, suonatore di sassofono e Jerry, suonatore di contrabbasso, ne sono involontari testimoni. Braccati dai banditi, i due riescono a far perdere le loro tracce travestendosi con abiti femminili ed aggregandosi ad un'orchestra di donne, con la quale collabora come cantante l'avvenente Sugar. Costei è una strana ragazza, che vorrebbe fare un ricco matrimonio, ma nello stesso tempo accarezza il sogno di dare il suo cuore ad un appassionato del jazz. Joe s'innamora di Sugar, ma si deve fingere donna, cosicchè i loro rapporti sono quelli di due affettuose amiche; Jerry, nelle vesti di un' affascinante vamp dai riccioli d'oro, fa innamorare un vecchio ma arzillo ganimede. La vita dei due amici, già abbastanza complicata per questa paradossale situazione, subisce la minaccia di un nuovo scompiglio: in quei giorni si svolge a Miami l' annuale congresso dei gangsters e tra gli intervenuti ci sono gli autori della strage, di cui Joe e Jerry sono stati involontari testimoni. Riconosciuti dal capo della banda Spot Colombo, Joe e Jerry sono nuovamente costretti a fuggire e riusciranno a mettersi in salvo solo dopo aver assistito, sempre involontariamente, ad una nuova e più sanguinosa sparatoria. Grazie ad un improvviso colpo di scena, l'amore che Joe nutre per Sugar giungerà ad una felice conclusione.

Critica 1:Parlare di A qualcuno piace caldo, uno dei più perfetti e complessi film-commedia di Wilder, costituisce l’occasione migliore per precisare e approfondire il discorso sulle strutture stesse della commedia wilderiana.
Cominciamo, come sempre, dall’inizio: perché l’avvio alla serie di avventure, fughe e travestimenti dei giovani suonatori d’orchestra Joe (Tony Curtis) e Jerry (Jack Lemmon), viene dato da un avvenimento tragico e sanguinoso come la strage del giorno di San Valentino? In questo stesso volume, nel “Piccolo dizionario wilderiano”, si può leggere la risposta di Wilder: per rendere credibile il fatto che due giovanotti, travestiti da donna, innamorati di Marilyn Monroe, resistano alla tentazione di rivelarsi come uomini, occorreva un impatto traumatico e violento, qualcosa che li avesse spaventati per bene; dunque, niente di più leggero d’un massacro avrebbe fatto al caso.
Questa risposta è molto chiara, anche se andrà, come vedremo, approfondita; per intanto, significa che la commedia di Wilder, per “pazza” che possa essere (e questa indubbiamente lo è), non rinunzia mai a munirsi d’un solido punto di partenza ancorato nella verosimiglianza. Alieno da ogni suggestione “surrealistica” o “dada”, anche nel senso marxiano (dei fratelli Marx), Wilder riesce a scatenare la fantasia solo se è cautelato alle spalle con un effetto-realtà che sia saldamente basato sulle convenzioni proprie al “genere”: così, per esempio, l’incubo di Lost Week-End è supportato dal suo presentarsi come visione d’un alcoolizzato, le buffe sequenze di “seduzione” o di “assassinio” in Seven Year Itch si giustificano come “fantasticherie” di Tom Evell, ecc.. In questo, Wilder sembra aver profondamente introiettato le cautele e le auto-censure del cinema hollywoodiano, ma i suoi film non sarebbero quello che sono, e ci interesserebbero molto meno, se le cose fossero così semplici: in realtà, ciò che in altri costituirebbe il semplice spunto o pretesto, più o meno verosimile, per l’avvio del meccanismo comico, in Wilder risulta legato al suo svolgimento da profonde affinità strutturali. Cos’è che rende terribile la scena del massacro di San Valentino, tanto terribile da indurre due giovanotti a fuggirsene travestiti da donna? Sono i morti, il sangue, la ferocia dei gangster, la paura di essere a loro volta uccisi? Noi diremmo solo che quello che spaventa Joe e Jerry è l’essere stati testimoni d’una scena proibita, l’aver violato l’interdetto dello sguardo su ciò che non doveva essere veduto: con ciò, non diciamo nulla di più di quello che è esplicitamente contenuto nella lettera della motivazione della fuga e del travestimento, e al tempo stesso diciamo qualcosa di più, se è vero che la connotazione mascherata d’ogni scena proibita è il fantasma freudiano della scena primaria. La paura di Joe e Jerry che i gangaster li uccidano, diventerebbe dunque angoscia di castrazione del piccolo testimone indiscreto sorpreso dai genitori, sicché l’esorcismo simbolico contro questo pericolo non potrà che consentire nel diventare donna.
Questa struttura “forte”, come se non lo fosse abbastanza, viene, con tipico procedimento, raddoppiata: nel momento in cui “Ghette” (George Raft) e i suoi scherani vengono fatti fuori dal killer di “Bonaparte” (Nehemiah Persoff), nascosto in quell’ennesimo involucro gravido wilderiano che è la grande torta di compleanno, la morte dei loro persecutori dovrebbe definitivamente liberare Joe e Jerry; ma è proprio allora che essi si ritrovano nell’identica situazione di testimoni nascosti (sotto il tavolo, e qui la suggestione infantile non ha bisogno di essere sottolineata) di un’altra scena proibita, che li risospinge alla fuga e al travestimento, ribadendone fino in fondo (specie in Jerry-Daphné-Lemmon) la perdita d’identità. L’esperienza angosciosa della scena primaria dunque si ripete, rinsaldando il cerchio d’un incubo déjà vu: ma nello stesso tempo le tappe di questa ripetizione, la possibilità stessa di metterla in scena, riposano sull’efficace mascheramento offerto a Wilder dalle strutture canoniche del film comico, a loro volta basate, del resto, su arcinoti archetipi classici (il travestimento, l’inseguimento ecc.). Wilder non farebbe mai un film “psicoanalitico”, cioè d’un genere la cui convenzione sarebbe l’assunzione stessa dell’atto di smascheramento; si costruisce invece pazientemente un reticolo di “giustificazione”, che corrisponde punto per punto al reticolo offertogli dal genere “commedia”, in modo di poter arrivare a liberare il discorso dell’ambiguità con apparente (e illusoria) “innocenza”.
Autore critica:Alessandro Cappabianca
Fonte criticaWilder, Il Castoro Cinema
Data critica:

1976

Critica 2:
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Data critica:



Critica 3:
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Fonte critica:
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