Grande Nord (Il) - Dernier trappeur (Le)
Regia: | Nicolas Vanier |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | Cecchi Gori |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Natura e ambiente |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Nicolas Vanier |
Sceneggiatura: | |
Fotografia: | Thierry Machado |
Musiche: | Krishna Levy |
Montaggio: | Yves Caput |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Norman Winther, May Loo, Alex Van Bibber, Ken Bolton, Denny Denison, Robert Lafleur, Alain Lemaire, Christopher Lewis, Roy Ness, Kaori Toreai |
Produzione: | Mc4 – Tf1 Films Productions – Mikado Films – Pandora – Jmh – Office National du Film du Canada (Onf) – Canal+, –Sogecinema – Sofica Valor 6 – Fondation Gaz de France |
Distribuzione: | Mikado |
Origine: | Canada – Francia – Germania – Italia – Svizzera |
Anno: | 2004 |
Durata:
| 94’
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Trama:
| Sfidando condizioni metereologiche difficili, il regista Nicolas Vanier realizza un documentario in cui, narra la storia di Norman Winther, uno degli ultimi cacciatori ad abitare le fredde terre delle Montagne Rocciose, in Canada. Norman vive con la moglie Nebaska e i suoi sette fedeli cani da slitta, una vita scandita dal ritmo delle stagioni e dai pericoli del territorio.
Con Il grande nord, Vanier pone all'attenzione dello spettatore temi importanti, come il ruolo della donna al fianco del cacciatore e l'amicizia che nasce tra l'uomo e i suoi cani.
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Critica 1: | Il grande nord è quello delle Montagne Rocciose fra il Canada e l’Alaska. Lo ha scelto come splendida cornice un noto documentarista, scrittore e viaggiatore tra le nevi, Nicolas Vanier, per raccontarci di uno degli ultimi cacciatori, Norman Winther, nella parte di se stesso (come tutti nel film). Fin dall’inizio, così, affidandogli la voce narrante, ce lo mostra, perfettamente inserito nella natura — che rispetta — costruirsi, insieme con la moglie indiana, una casa fatta solo di tronchi d’albero da lui stesso segati ed adattati, vestendo le pelli degli animali di cui va a caccia e cibandosi di quelle stesse carni o dei pesci sempre abbondanti nei fiumi e nei laghi attorno. Con uno scopo fondamentale, la ricerca, anche nelle stagioni più impervie, di quegli animali — linci, martore, orsi, castori — di cui poi andrà a vendere le pelli. Fidando solo nel proprio vecchio fucile e nella muta di cani che tirano la sua slitta, così pronti a sostenerlo in tutto che, a un certo momento, in una delle pagine più drammatiche di questa sua storia, li vediamo impegnarsi a fondo per aiutarlo ad uscire da un lago la cui superficie ghiacciata aveva improvvisamente ceduto. Vanier segue da vicino il suo cacciatore, con naturalezza e sapori costanti di cronaca: sia quando, punta la selvaggina, sia quando incontra, tra le nevi, un vecchio amico dedito da tempo immemorabile al suo stesso mestiere, sia quando, pacatamente, ragiona con la moglie su quello che potrà essere il loro futuro dato che la modernità, incapace di adeguarsi alla natura, rischia di disboscare tutta la regione azzerandone, come conseguenza, anche il patrimonio zootecnico. L’approccio della regia, anche se la cifra è quella del documentario, è soprattutto la documentazione: non solo delle cornici attorno seguite attraverso il mutare delle stagioni, pur privilegiando l’inverno, ma anche — e soprattutto — di quegli uomini che così strettamente vi sono legati, capaci di vivere come se non fossero stati sfiorati dal progresso ma, proprio per questo, in grado di armonizzare i propri ritmi con tutta quanta la natura, sia vegetale sia animale. Conquistandosi senza sforzo l’equilibrio con ogni elemento attorno. Dopo l’ultima immagine – su un abbacinante paesaggio nevoso – si resta in compagnia di quanto Vanier ci ha mostrato sollecitando in più momenti perfino una nostra adesione commossa, e Norman Winther, la sua moglie indiana, il suo amico Alex e, non da ultimi, i suoi cani da slitta mettono radici nella nostra memoria. Con maggiore intensità che non in un film di finzione. Perché scaturiti dalla verità. |
Autore critica: | Gian Luigi Rondi |
Fonte critica | Il Tempo |
Data critica:
| 26/4/ 2006
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Critica 2: | Il regista Nicolas Vanier è un artista avventuriero che sembra uscito dalle pagine di Jack London, ha scritto diversi libri e ha girato altrettanti documentari prima di incontrare Norman Winther, l'ultimo cacciatore del grande Nord, e di trasformare la sua vita in un film. Norman Winther nella finzione cinematografica è dunque se stesso, un cacciatore di pellicce che vive sulle Montagne Rocciose insieme alla sua compagna Nebaska, un'indiana Nahanni, e alla sua muta di sette cani. Al centro del film c'è l'uomo e il suo rapporto con la natura, quella indomita e selvaggia, con cui il cacciatore si confronta dominando o soccombendo, e quella addomesticata e familiare in cui si rifugia. Da una parte le foreste frequentate da grizzly, lupi e linci, i laghi ghiacciati, i precipizi rocciosi e le basse temperature, dall'altra una casa costruita con gli alberi e i cani che in queste regioni sono davvero qualcosa di più di amici fedeli, addestrati a battere le piste dei cacciatori con cui condividono rischi e successi. Norman vive in simbiosi coi suoi sette cani stabilendo il suo posto "al lato della muta e non al di sopra". Apache è la splendida femmina husky che guida la muta, diva dai fieri occhi blu, per sua natura impellicciata, che non mancherà di conquistare il cuore di Norman e naturalmente del co-capitano, Voulk.
Questo inno alla natura, sospeso tra documentario e fiction, riflette sul posto che l'uomo occupa nell'ambiente e sull'importanza della sua attività di predatore che, al contrario di quanto si pensi, contribuisce al ripopolamento e alla riorganizzazione delle foreste. Norman non intende riferirsi alle grandi società forestali o alle stragi indiscriminate di animali, la sua filosofia è quella della natura: "l'uomo è l'animale messo in cima alla scala evolutiva, quello cui spettava controllare il sistema intervenendo in modo intelligente e ragionato". |
Autore critica: | |
Fonte critica: | MYMovies |
Data critica:
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Critica 3: | "Preferirei essere cenere che polvere! La natura dell’uomo è vivere, non esistere. Non ho intenzione di sprecare i miei giorni nel tentativo di prolungarli, voglio viverli".
Jack London
Norman Winter vive nel cuore delle Montagne Rocciose, insiema a Nebaska, un'indiana Nahanni, e ai suoi cani da slitta. Lontano dalle necessità create dalla società moderna, Norman si nutre dei prodotti della natura, della caccia e della pesca: si fabbrica da solo le racchette, la slitta, la canoa, con il legno fornito dalla foresta e la sua esperienza ed abilità. Una volta all'anno effettua un viaggio fino in città, per barattare le sue pelli con il poco di cui ha bisogno: farina, fiammiferi, candele, pile. Ogni giorno deve fare fronte alle esigenze della sopravvivenza, fra lunghi e avventurosi spostamenti e attacchi di orsi e lupi. Ma la bellezza e le sensazioni che questa natura selvaggia gli dona compensano ampiamente ogni pericolo.
Il regista
Nicolas Vanier è un artista innamorato della natura e della vita, un avventuriero come non ce ne sono più, un "Jack London dei tempi moderni" che si è distinto con le sue spedizioni in Siberia, nel grande Nord canadese o in Alaska. Ha pubblicato numerosi libri, reportage fotografici, romanzi e resoconti delle sue avventure ed ha girato diversi documentari sulle sue spedizioni. Nel corso della sua incredibile "Odissea bianca" (8.600 km tra l'Alaska e il Québec), Nicolas Vanier ha incontrato l'uomo che gli ha ispirato questo film: Norman Winter (un uomo che porta nel significato del suo cognome il suo destino), "l'ultimo cacciatore". È l'occasione per proporre al pubblico una pellicola in cui affrontare i grandi temi che gli stanno a cuore. Si è dedicato alla realizzazione di questo progetto totalmente, per un anno e mezzo, spesso in condizioni estreme di riprese, sostenuto dal suo produttore, Jean-Pierre Bailly (MC4) e dal gruppo TF1.
Norman Winter
Con questo film magico, che si snoda fra paesaggi grandiosi, Nicolas Vanier ci porta a scoprire un rapporto unico e profondo di comunione con la natura.
Chi non ha mai sognato di percorrere le vaste distese vergini del Grande Nord, a bordo di una slitta trainata dai cani? Chi non ha mai sognato, da bambino, di diventare un giorno un cacciatore proprio come quelli nei libri d'avventura? Norman Winter è proprio uno di loro, un uomo profondamente innamorato della natura. In effetti, questo film è stato definito "una storia d'amore fra l'uomo e la natura". Lui e i suoi cani vivono esclusivamente grazie a ciò che ottengono da caccia e pesca. Norman ha costruito la sua slitta, racchette, capanno, e canoa con il legno e le pelli che ha preso nella foresta e che Nebaska ha conciato secondo la tradizione, così come facevano gli indiani Sekani nell'antichità. Per spostarsi Norman usa i suoi cani: con loro è pronto ad agire al minimo segno di vita, ma sempre affascinato dalla maestosità dei territori che attraversa. È per questo che Norman Winter è un cacciatore. Il Grande Nord è dentro di lui, e anche Nebaska lo porta con sé, ce l'ha nel sangue: la taiga è la madre della sua gente. Norman e Nebaska sanno che una terra vive solo attraverso l'intimo contatto con gli animali, le sue piante, i fiumi, i venti e perfino i colori. La loro saggezza proviene dal profondo e dallo speciale rapporto che hanno con la natura. Quando Norman Winter segue le tracce di un animale le osserva per lungo tempo, per arrivare a comprendere la sua esatta percezione dell'ambiente. Norman sa come liberarsi dall'immobilità evocata da questa immensa landa, ma anche come "entrarvi" attraverso la comprensione di ciò che essa è veramente. Comprendere tutto questo significa percepire l'inconfondibile respiro della terra, spiegarsi perché Norman Winter è l'ultimo cacciatore e perché ha voltato le spalle alla vita moderna, che lui paragona ad un pendio lungo il quale scivoliamo ciecamente. Norman è una sorta di filosofo, convinto che la condivisione e lo scambio con la natura siano essenziali all'equilibrio di quello strano animale all'apice della catena alimentare: l'uomo. Questo è quanto il film, realizzato in oltre dodici mesi, vuole mostrare, accostando viaggi a cavallo durante l'estate indiana a quelli in slitta nei recessi dell'inverno, una discesa in canoa fra le rapide di un fiume al fondo di un maestoso canyon agli attacchi di orsi e lupi.
La caccia
Per la maggior parte di coloro che vivono in citta', del tutto estranei alla realtà della natura, il cacciatore è un uomo che uccide gli animali. In base a questa visione, in un territorio non sfruttato dai cacciatori ci sarebbe dunque una densità maggiore di animali. Il che naturalmente è completamente falso. Questo è uno dei motivi che ha fortemente invogliato Winter a partecipare a questo documentario, per un uomo come lui che vive per e con la natura, la sola idea di passare per un distruttore del creato è insopportabile. Un cacciatore di pelli come Norman con la sua azione di predatore intelligente, interverrà sulle popolazioni di animali. Questi si metteranno a riprodurre maggiormente, poiché la natura ha orrore del vuoto, e gli animali saranno più sani. Questo è un compito che spetta all'uomo il quale, checché se ne dica, appartiene alla natura e vi ha un suo posto ben definito. Certo, la natura può 'riorganizzarsi' senza l'uomo, ma così entrambi vi hanno da perdere. Di conseguenza, perché non convivere? Perché creare un mondo artificiale con la natura da un lato e l'uomo dell'altro, mentre potrebbero vivere così bene insieme? Questo è quanto ci rivelano i cacciatori e che noi dobbiamo imparare di nuovo. L'idea secondo cui l'uomo deve adattarsi alla natura era la cosa più bella nel modo di vivere di quegli uomini (indiani, Inuits e cacciatori) che abbiamo voluto eliminare, inculcando loro il cosiddetto modo di vivere 'moderno'.
I cani
Oltre a Norman gli altri che hanno deciso di vivere a contatto con la natura sono la moglie Nebaska, il suo amico Alex, e gli inseparabili cani da slitta e da caccia. Ci sono valutazioni tecniche dietro la scelta di Norman di continuare ad utilizzare i cani per muoversi durante l'inverno. I cani vanno dappertutto, in posti che resteranno sempre inaccessibili alle slitte, in particolare nel caso di pendenze troppo forti. Per questa ragione numerose aree delle Montagne Rocciose sono riuscite a conservarsi incontaminate, dal momento che è quasi impossibile che le condizioni climatiche permettano alle motoslitte di raggiungerle. Inoltre, un gruppo di cani da slitta dà meno fastidio alle bestie. Anzi, linci, tassi americani, volpi, coyote amano seguire le tracce dei cani ed utilizzare i sentieri che hanno battuto, perché la neve – schiacciata dalla slitta È è più dura, il che richiede agli animali selvaggi uno sforzo minore e un ridotto dispendio di energia. Sono calorie preziose che aiutano a combattere il freddo durante il lungo inverno, e non vengono sprecate in spostamenti faticosi o inutili. Inoltre, siccome il cane rappresenta per loro un animale come tanti altri, le bestie non ne sono spaventate, anzi, ne vengono piuttosto incuriosite. Andando contro ogni tendenza e ogni suggerimento, Norman ha, a ragion veduta, da tempo fatto la sua scelta, e per una ragione molto semplice: il legame reciproco, l'insostituibile complicità che lo lega ai suoi cani. È per questo che Norman cerca di mantenere una relazione stretta con gli animali: perché il gruppo funzioni egli deve certamente essere obbedito e rispettato, ma l'uomo non deve assumere una posizione troppo dominante, che susciti più timore che rispetto. Un rapporto basato sulla fiducia gli permette di ottenere molto dai suoi cani. Norman ha stabilito il suo posto, al lato della muta e non al di sopra. È una sfumatura importante poiché gli permette di differenziarsi dai suoi cani per non suscitare gelosie, per creare con ciascuno di loro una relazione personalizzata, che gli permette di capire anche chi di loro richiede più attenzione o incoraggiamento. Questo scambio fra uomo ed animale fa parte della vita di Norman. Senza i cani, le motivazioni della caccia non sarebbero più le stesse. Norman Winter ha accettato di partecipare a questo film come un testimone, per lasciare una traccia meno effimera di quelle che fino ad ora ha così spesso lasciato sulla neve.
Montagne rocciose nello Yukon
È qui che vive Norman Winter, qui dove scorre il fiume Klondike. E chi non si ricorda le memorabili gesta di zio Paperone quando proprio nel Klondike cominciò la sua fortuna trovando l'oro. Nel 1896, sul bordo di un ruscello non lontano dal fiume Klondike, si alzò un grido: "Oro, oro!" La scoperta di un filone aurifero a Bonanza Creek scatenò la più grande corsa all'oro di tutti i tempi.
Le Montagne Rocciose sono una delle principali catene montuose della Terra e si trovano in Nordamerica: si estendono dall'Alaska fino al confine tra gli Stati Uniti e il Messico. Lo Yukon è uno dei 3 territori e delle 10 province che costituiscono il Canada. Posto all'estremo Nord Ovest del paese, confina a sud con la Columbia Britannica, a ovest con l'Alaska, a est con i Territori di Nord-Ovest e a Nord con il mare di Beaufort. Lo Yukon si estende per 483.450 km quadrati (più di una volta e mezza l'Italia) e può contare su una rete stradale di 4.700 km che lo collega all'Alaska, ai Territori di Nord-Ovest, al Sud del Canada ed agli Stati Uniti. Lo Yukon beneficia inoltre di un accesso al mare grazie al porto commerciale di Skagway, in Alaska, che è anche il principale attracco delle navi da crociera. Whitehorse, la capitale, dispone di un aeroporto internazionale dove atterrano i voli provenienti dall'Europa. |
Autore critica: | Nicoletta Gemmi |
Fonte critica: | Primissima scuola |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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