Lunga vita alla signora! -
Regia: | Ermanno Olmi |
Vietato: | No |
Video: | Istituto Luce |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Diventare grandi, Il lavoro |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Ermanno Olmi |
Sceneggiatura: | Ermanno Olmi |
Fotografia: | Maurizio Zaccaro |
Musiche: | Georg Philip Telemann |
Montaggio: | Ermanno Olmi |
Scenografia: | |
Costumi: | Francesca Sartori |
Effetti: | |
Interpreti: | Marco Esposito (Libenzio), Simona Brandalive (Corinna), Stefania Busarello (Anna), Simone Della Rosa (Mao), Lorenzo Paolini (Ciccio), Franco Aldighieri, Anna Maria Balestra, Oscar Ballardini, Lucia Bellucci, Tarcisio Tosi (Pigi) |
Produzione: | Cinemaundici - Raiuno |
Distribuzione: | Istituto Luce |
Origine: | Italia |
Anno: | 1987 |
Durata:
| 109’
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Trama:
| Ogni anno una vecchia signora, ricca e potente, ama riunire a cena in un antico castello tra le montagne un gruppo di persone importanti. Per dare una mano al personale nei piccoli servizi, vengono ingaggiati sei giovani provenienti da una scuola alberghiera. Tra loro figura Libenzio, che ha alle spalle la vita semplice di una modesta famiglia dei dintorni e che pensa di aver trovato un'eccellente occasione di lavoro. La cena si svolge secondo il cerimoniale previsto e gradito all'anziana donna e Libenzio appare frastornato dal fasto e dalla ricchezza. A poco a poco, tuttavia, quel mondo perde il suo smalto ed il suo fascino esteriore. Terminata la cena, Libenzio fugge, forse per sempre.
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Critica 1: | Lunga vita alla signora è il dodicesimo lungometraggio del regista bergamasco (…). Come spesso succede nei film di Olmi, specialmente quelli del periodo più maturo, la pellicola sembra un raccontino semplice semplice e invece è denso di significati. Tutto si svolge praticamente nel salone delle feste di un lussuoso hotel, durante un pranzo di gala in onore di una vecchia signora che viene festeggiata da un numeroso e colorito gruppo di alte personalità. Serve a tavola, tra gli altri suoi giovani colleghi, un allievo cameriere, entusiasta ed attento; ma nel succedersi dei piccoli eventi della sera la realtà gli appare ambigua e amara, se non pericolosa. Prima dell'alba, quando i suoi compagni sono addormentati, il ragazzo se ne va da quella specie di castello di Dracula che è l'hotel, solo nella notte. Anzi no: è con lui l'enorme mastino della vecchia signora, sfuggito alla custodia, che terrorizza il ragazzo. Didascalia finale: «Il feroce mastino non azzannò il ragazzo ma aspettò che si rimettesse a correre per giocare con lui». Una dichiarazione sintomatica. Il film incrocia i continui significati metaforici delle immagini ad inviti esterni alla lettura simbolica, le dichiarazioni del regista. È chiaro comunque che nel suo film Olmi vuol rappresentare un processo di iniziazione alla vita (il Pranzo, come il Viaggio, è appunto una metafora dell'esistenza), il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, la maturazione attraverso un'esperienza in cui vengono proposti e imposti a dei ragazzi valori consolidati, gerarchici, rigidi fino alla crudeltà. Uno di loro («il posto non è tutto», commenta Olmi), quello che sembra il più timido e il più malleabile, avrà il coraggio di sottrarsi a quel mondo ipocrita e corrotto. Una pellicola molto significativa e interessante, anche se nella seconda parte annovera qualche dilatazione e qualche ripetizione. (…) |
Autore critica: | Ermanno Comuzio |
Fonte critica | Cineforum n. 268 |
Data critica:
| 10/1987
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Critica 2: | L'aspetto più evidente del film è la dimensione grottesca in cui è racchiuso il racconto. Tutti i dettagli, dalla recitazione alla scenografia, dai piatti preparati (si pensi all'enorme pesce) alle situazioni che si verificano a tavola, sembrano voler spiazzare lo spettatore, mettendolo sempre più nella condizione di osservare gli eventi con gli occhi del giovane Libenzio. In effetti il vero protagonista del film è proprio il neo-cameriere, appena uscito dalla scuola alberghiera e "dato in pasto" al mondo del lavoro con qualche difficoltà di adattamento. Libenzio proviene da una famiglia di modesta condizione, ha frequentato una scuola professionale con ottimi risultati e si trova offerta un'occasione che, sulla carta, appare ideale. Partecipare a una cena come quella organizzata dall'anziana e facoltosa padrona di casa, anche se con un ruolo marginale, può essere il primo passo di una carriera non priva di soddisfazioni. Per questa ragione Libenzio osserva con attenzione i professionisti al servizio della signora, esegue alla lettera le loro istruzioni e ripensa continuamente alle lezioni seguite a scuola (oggetto di numerosi flashback). Libenzio appare tranquillo, anche se molto spaesato, e mantiene con abilità la consegna del silenzio, comunicando con i giovani colleghi soprattutto con lo sguardo.
A complicare le cose, tuttavia, interviene l'abissale differenza tra il mondo contadino in cui Libenzio è nato e cresciuto e quello delle classi sociali (l'alta borghesia e la nobiltà) alle quali appartengono gli ospiti della signora. I loro comportamenti, a prima vista raffinati ma in realtà assai volgari, risultano incomprensibili per il ragazzo che osserva gli adulti con sguardo sempre più attonito. La cena, a poco a poco, finisce per diventare una recita, una pièce teatrale cui la signora assiste seduta su di una poltrona antica (molto simile a quelle presenti nei palchi d'opera) con l'aiuto di un binocolo (anch'esso utilizzato tipicamente durante gli spettacoli lirici). Libenzio deve anche vedersela con un'attempata nobildonna che più volte si fa accendere la sigaretta e che tenta maldestramente di sedurlo. Il giovane sprofonda in una situazione di crisi sempre più grave cui non può porre rimedio nemmeno l'inaspettata e fugace visita del padre, passato a salutare il figlio e del tutto ignaro della grottesca messinscena voluta dalla signora.
La mente di Libenzio comincia ben presto a fantasticare, aprendosi un varco verso una fuga dal reale che diventa l'unica possibilità di salvezza. Lo sguardo del ragazzo viene rapito dal volto di una contessina, forse l'unica convitata ad avere più o meno la sua stessa età. Le fantasticherie del protagonista non hanno nulla di sensuale: più volte Libenzio accosta le fattezze della ragazza a un quadro religioso visto da bambino e raffigurante un angelo. La contessina rappresenta un'ideale di purezza non ancora contaminata dal denaro e dalle convenzioni sociali, anche se un suo gesto ripetuto fa sorgere dei dubbi. La ragazza, infatti, in più occasioni sfiora la mano del suo commensale di destra, un uomo anziano e corpulento che non sembra essere suo padre. Il racconto, tuttavia, non fornisce alcun tipo di informazione al riguardo, nemmeno quando i due lasciano la sala da pranzo al termine dell'inconsueta "cerimonia".
L'esperienza lavorativa di Libenzio si configura comunque come un'importante momento di crescita, sia professionale che individuale. Dopo aver assistito, turbato ma incrollabile, al rito quasi religioso celebrato dalla signora e dal suo poderoso staff di collaboratori, Libenzio - non senza qualche titubanza - decide di fuggire. Abbandonata la divisa da cameriere, indossa i suoi abiti, prepara il bagaglio e lascia il minaccioso castello per darsela a gambe lungo il fianco della montagna. All'alba, con il cielo azzurro e le montagne a far da cornice, Libenzio respira finalmente un po' d'aria fresca e pulita, riassaporando quella libertà che sembrava assente nella dimora della nobildonna. |
Autore critica: | Stefano Boni |
Fonte critica: | Aiace Torino |
Data critica:
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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