Lisbon Story - Storia di Lisbona - Lisbon Story
Regia: | Wim Wenders |
Vietato: | No |
Video: | Mondadori Video |
DVD: | |
Genere: | Allegorico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Wim Wenders |
Sceneggiatura: | Wim Wenders |
Fotografia: | Lisa Rinzler |
Musiche: | Madredeus |
Montaggio: | Peter Przygodda, Anne Schnee |
Scenografia: | Maria Jose' Branco |
Costumi: | |
Effetti: | Jaime Brito |
Interpreti: | Rudiger Vogler (Phillip Winter), Patrick Bauchau (Friedrich Monroe), Teresa Salgueiro (se stessa), Pedro Ayres Magalhaes (se stesso), Ricardo Colares (Ricardo), Elisabete Cunha Rocha (Beta), Vera Cunha Rocha (Vera), Sofia Benard Da Costa (Sofia), Manoel De Oliveira, Gabriel Gomes, Rodrigo Leao, Jose' Peixoto, Francisco Ribeiro |
Produzione: | Road Movies Filmproduktion |
Distribuzione: | Mikado - Cineteca Lucana |
Origine: | Germania |
Anno: | 1994 |
Durata:
| 106'
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Trama:
| Phillip Winter riceve una cartolina da Lisbona: l'amico regista Friedrich Monroe lo invita come tecnico della sonorizzazione per il film che vi sta girando. Durante il lungo trasferimento per la vecchia Europa, l'automobile di Winter va in pezzi, ed in Portogallo la rivende ad un tale purché trasporti col suo furgone lui e le valige con le attrezzature nello scalcinato appartamento del regista assente. In compenso quattro ragazzini lo tormentano e lo deliziano con le loro videocamere ed un quinto, Zè, appare e scompare misteriosamente. Winter viene anche truffato, nel quartiere della mala dove si è recato in cerca di suoni, da un giovane che gli promette notizie sull'amico Friedrich. Nella stessa casa del cineasta prova il gruppo musicale dei "Madredeus", Teresa Salgueiro, colpisce con la sua grazia Phillip. Infine, seguendo il misterioso Zè, che lascia come traccia una videocamera nascosta in una busta di plastica, trova finalmente l'amico che vive come uno zingaro nella sua vetturetta abbandonata in un quartiere stravolto dall'avanzata della Lisbona moderna, che stride pesantemente con la suggestione delle immagini in bianco e nero girate da lui e che Phillip passa e ripassa in moviola. Il suo scopo, aiutato da vari ragazzini, è di filmare, senza alcun intervento culturale, immagini in libertà che solo i posteri potranno apprezzare. Phillip protesta, con un messaggio registrato dall'amico, che un simile procedimento è in realtà la negazione del cinema "puro" cui egli allude, e che gli occhi dell'uomo e soprattutto la sua partecipazione emotiva ed affettiva rendono le immagini veramente vive. Phillip rinuncia a partire ed i due si mettono a filmare la rumorosa ed agitata vita di Lisbona con la vetusta cinepresa.
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Critica 1: | Non è un film difficile: si può conoscerlo meglio anche leggendone la sceneggiatura pubblicata da Ubulibri a cura di Mario Sesti. I concetti danno corpo a una storia. Richiamato con urgenza dall'amico regista Friedrich Monroe (stesso nome e stesso interprete, Patrick Bauchau, de Lo stato delle cose) il tecnico del suono Philip Winter (stesso nome e stesso interprete, Rudiger Vogler, di Fino alla fine del mondo e Così lontano cosi vicino) si mette in macchina, arriva a Lisbona; l'amico è scomparso, restano la città bellissima e i suoi suoni da vedere e registrare, gangsters e bambini da incontrare, una cantante affascinante da amare sinché il regista non riappare. Citazioni di Pessoa, epifania aggraziata e spiritosa di Manoel De Oliveira. Lisbon Story si apre e si chiude con un saluto a Fellini che se n'è andato, 'Ciao Federico': può essere l'espressione d'un rimpianto o un'allusione al protofilm di crisi d'un regista, '8 e ½', speriamo che non sia un addio al cinema. |
Autore critica: | Lietta Tornabuoni |
Fonte critica | La Stampa |
Data critica:
| 17/3/1995
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Critica 2: | Finalmente un omaggio a Fellini che esula dai rituali d'obbligo e assume un significato concreto. Nella prima scena di Lisbon Story di Wim Wenders il tecnico del suono Winter (impersonato da Rudiger Vogler) intravede in mezzo alla posta ammonticchiata all'uscio di casa una copertina del 'Wochenpost' con il titolo 'Ciao Federico'. Nell'ultima scena la stessa scritta appare e scompare, biblicamente, su un muro dello studio che il protagonista è andato a occupare nella capitale portoghese. Il significato del duplice segnale appare chiaro nel contesto della vicenda, che è la descrizione di una crisi: quella del regista Fritz Monroe (Patrick Bauchau nel personaggio già apparso in Lo stato delle cose) che non se l'è sentita di proseguire il suo film e si è dato alla macchia. |
Autore critica: | Tullio Kezich |
Fonte critica: | Il Corriere della Sera |
Data critica:
| 5/3/1995
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Critica 3: | Non ci sono immagini nuove in Lisbon Story. Tutto è già avvenuto. Tutto è già stato mostrato. Wenders sembra quasi giocare con la consapevolezza di questo obbligato déjà-vu, stimolandolo spettatore sui labirinti della propria personalissima memoria, quasi un percorso all'indietro sugli ultimi vent'anni, vent'anni di cinema, "nel corso del tempo"... Proprio il capolavoro wendersiano di due decenni fa è il riferimento immediato di questo film. E, nel corso del tempo, tanto è cambiato. Wenders è invecchiato insieme al suo alter ego Rüdiger Vogler, ma non ha perso la voglia e il gusto di girare, e di giocare con le ambiguità questo termine, girare... il mondo, la pellicola, la visione... Tutto il film è una citazione continua della sua filmografia; si potrebbero citare decine di esempi, quasi Wenders fosse stato preso dal terrore di non aver filmato il suo "testamento cinematografico", il luogo dove riassumere il suo cinema, le sue idee, le sue immagini. Ma non è più il bianco e nero di vent'anni fa, grigio e freddo, disperato e ottimista nello stesso tempo. La grinta è sempre quella, la riflessione pure; ma in giro "fino alla fine del mondo", Wenders ha scoperto i colori caldi e sensuali della civiltà mediterranea, il vecchio centro del mondo, il luogo dove tutti vorrebbero vivere. Ed ecco i colori forti, pastosi, non solo della Lisbona vista e cercata con tutte le forze, ma anche degli interni, alla ricerca di quello che il cinema ancora non può "dare" direttamente, e cioè i sapori, gli odori di una determinata realtà. Ma tra suoni immagini colori sguardi e commozioni Wenders comunica "totalmente" il suo cinema, fatto di tutti i sensi possibili, mixati in un concentrato di riflessione, teoria, emozione, passione, deliberata dichiarazione d amore, per il cinema, per la vita. (…)
Wenders ci parla di cinema, visione, di una città magica, ma non rinuncia a mettere in scena il fulcro, da
sempre, del suo cinema. L'amicizia per Friedrich "smuove" Phillip verso Lisbona, nonostante abbia un piede ingessato e difficoltà di movimento. L'amore per la bella Teresa lo tratterrà in città, nonostante la sua presenza sia "inutilizzata" da Friedrich, perduto tra i mille rivoli di una città magica. E nella splendida scena dell'incontro con i Madredeus (che non sono una scoperta wendersiana, essendo già da qualche tempo nei primissimi posti della hit-parade portoghese - merito di Wenders comunque averli "mostrati" al resto del mondo...), che possiamo vedere la "lezione" del cineasta di Düsseldorf. La dolce melodia proviene da lontano e Phillip la insegue per i corridoi, fino a "trovarla" in una stanza spoglia, dove il gruppo sta suonando Guitarra. Winter la ascolta, affascinato. Splendidamente Wenders non "taglia" o "dissolve" la canzone, ma ce la restituisce nella sua interezza, meraviglioso atto di devozione e al contempo di rispetto per la musica, in un'epoca dove il frammento regna sovrano, e dove ormai le canzoni sono dei piccoli jingle raccolti dentro spot televisivi. Ma Wenders va oltre e, quasi provocatoriamente, ci invita all'ascolto - totale - di Ainda, 10-15 minuti di film-musica integrale, che travolge le passioni di Phillip e dello spettatore. Non c'è bisogno di "mostrare" oltre, per capire il fascino delle emozioni: i sentimenti esplodono lì, in un attimo, dentro/attraverso una canzone, mentre i suoni, la voce di Teresa e gli sguardi di Winter si perdono e si confondono.
Tutto il film è costruito sull'assenza. Sull'assenza di Friedrich, su quella del suono nelle immagini da lui girate. E sul suono, il lavoro di Phillip, in un vortice metaforico/teorico pazzesco: musicare immagini girate "mute" con una vecchia cinepresa degli anni Venti. Phillip non si perde nel pasticcio teorico del suo amico regista e vagabonda per la città alla ricerca dei rumori "assenti" nelle immagini registrate da Friedrich. Il quale gira immagini mute con l'aiuto di un bambino muto. Fino a che Phillip inciderà un silenzioso "suono dell'assenza di Friedrich", quasi a spezzare il vizioso circolo in cui si stava cacciando.
«Io ascolto senza guardare e così vedo» scrive Pessoa e Wenders aggiunge: «Lo scopo di questo film è stato quello di dimostrare che i suoni aiutano a vedere le cose in modo diverso». E Phillip ci mostra, con l'aiuto dei bambini, quello che il suono può farci vedere attraverso l'immaginazione. Nostalgia di immagini che raccontavano più di quello che mostravano, di un cinema capace di andare oltre la "visione". Ma anche riflessione sulla pratica cinematografica dei nostri tempi. Ancora Wenders: «Oggi il suono ha un peso che non aveva in passato. Attualmente qualsiasi film che abbia bisogno di una post-produzione in stereo impegna diversi mesi perché il lavoro sul suono sia completato. Quindici o venti anni fa erano sufficienti quattro mesi per il montaggio e un paio di settimane per il sonoro; oggi, al contrario, il montaggio si effettua in un paio di settimane e il sonoro richiede mesi e mesi di lavoro...». (…) |
Autore critica: | Federico Chiacchiari |
Fonte critica: | Cineforum n. 342 |
Data critica:
| 3/1995
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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