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Topo (El) - Topo (El)

Regia:Alexandro Jodorowsky
Vietato:18
Video:Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Alexandro Jodorowsky
Sceneggiatura:Alexandro Jodorowsky
Fotografia:Rafael Corkidi
Musiche:Alexandro Jodorowsky
Montaggio:Federico Landeros
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Alfonso Arau, Juan Jose' Gurrola, Alexandro Jodorowsky, Robert John, Berta Lomeli, Mara Lorenzio, Jacqualine Luis, Paula Romo, David Silva
Produzione:Panic
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Messico
Anno:1971
Durata:

125’

Trama:

Protagonista di questa parabola sulla vita umana è un abilissimo pistolero, soprannominato "El Topo". A lui è affidato Miguel, che celebra i suoi 7 anni, seppellendo i giocattoli ed il ritratto di sua madre. Insieme i due compiono la "vendetta di Dio" sopra "il colonnello", che ha sterminato un villaggio nel Messico e si è poi regolarmente insediato nella Missione dei Frati Francescani. Il pistolero lo sfida a duello, lo mutila, lo espone al ludibrio dei suoi sudditi. Rapisce pure la ragazza che egli teneva come schiava ed amante. Con lei affronta la dura esperienza della traversata del deserto, dopo aver abbandonato a se stesso Miguel. La ragazza, per legarsi a lui con amore eterno gli chiede di dimostrare di essere il migliore tra tutti. Così il pistolero accetta di misurarsi con i "4 maestri" e li batte. La ragazza però lo tradisce. Anzi è lei a perforargli con le pallottole il petto ed i piedi e ad abbandonarlo su di un lungo, scricchiolante ponte per poter così fuggire con un'altra donna. Così il pistolero si risveglia, nel cuore di una montagna, trascinato colà per volontà della "Anziana" di una comunità di deformi. Egli, preso il nuovo volto di un bonzo, diventa il loro protettore. Con una ragazza nana, esce dal "pertugio alto", unico spiraglio verso la luce e diventa giocoliere nella vicina città. Ivi una sonnecchiosa e ridanciana borghesia copre a stento, sotto il velo dell'onorabilità, il razzismo più esasperato, la sessualità più aberrante, una religiosità alienata e alienante. Chiedono poi ad un frate di sposarli. Ultimata la galleria attraverso la quale potranno uscire liberi i suoi protetti, l'opera è alla fine compiuta: l'esercito degli esseri deformi si precipita dalle falde della montagna verso la città. La borghesia è schierata con le armi in pugno per decimarli. "El Topo" accorre. Trova informi ammassi di cadaveri all'impazzata, poi, restato tutto solo, si dà fuoco. Miguel abbandona quel luogo di morte con la ragazza nana ed il bambino che ella ha avuto da "El Topo".

Critica 1:Spinto da una donna ambiziosa, "El topo" (cioè "la talpa") corre nel deserto per uccidere i Quattro Maestri e dimostrare che lui è Il Più Grande. Lavora bene con la macchina da presa l'attore-regista cileno di origine russa A. Jodorowsky, traducendo in immagini e suoni i suoi (non sempre chiari) messaggi poetici e filosofici di anarchico narcisista, alchimista manipolatore di simboli. Per qualcuno questo è "il primo western surrealista".
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Si tratta di El Topo, cioè La talpa, forse a tutt'oggi l'opera di Jodorowsky in cui è più evidente la presenza misteriosa e sconcertante di quello che potremmo definire il genio. La talpa deriva il suo titolo da una enigmatica parabola relativa all'animale che dopo tanto scavare sottoterra finalmente trova la luce e ne viene accecato. A parte il fatto che le talpe in realtà non restano affatto accecate dalla luce e che l'Uomo-talpa è uno dei nemici storici dei Fantastici Quattro, in quanto signore di un regno sotterraneo di umanoidi, il film è una tale foresta inestricabile di simboli che conviene limitarsi al catalogo che più ci interessa, quello cinematografico. La storia potremmo definirla un viaggio iniziatico, una specie di «Siddhartha» che procede per sberleffi e parodie, ma prendendosi molto sul serio. Il tono è, per rendere l'idea, sul genere Zen, molto giapponese. Come il samurai della serie televisiva, il protagonista va incontro alle sue prove con un
bambino. Solo che Kurosawa a Jodorowsky è arrivato attraverso lo spaghetti western, e così estetica e ambientazioni del film sono quelle di un qualsiasi Django, di cui il cileno si professa estimatore (senza contare che si fa vanto di aver lavorato con la troupe del Mucchio selvaggio, nel periodo in cui Peckinpah stava montando il film). Così il pistolero salva un villaggio in mano a un gruppo di feroci banditi: «Chi
sei tu per fare giustizia?» gli chiede il Generale spodestato. «Sono Dio», taglia corto il pistolero, e poi evira il suo avversario. Al posto del bambino, compagni di viaggio della talpa diventano due lesbiche che paiono uscite da un Russ Meyer deteriore e si entra nel caos. Poi ci sono i quattro maestri che vanno affrontati (uno di loro respinge le pallottole con un retino da farfalle). Il pistolero li sconfigge e ne è sconfitto. Medita, diventa un bonzo, accudito da una nana. Si scontra con una civiltà corrotta e libera una tribù di freaks solo per vederli uccisi dai normali, contro i quali si scaglia la sua vendetta. Poi si dà fuoco. In mezzo, un'infinità di idee, di riferimenti, allusioni, morali e simboli, buttati alla rinfusa, gli uni sugli altri, più che altro per capire cosa succede. Succede che il film ha dei momenti inaccettabili ma anche attimi sublimi. Ad un certo punto il prete invita i fedeli a testimoniare la fede giocando alla roulette russa: ogni colpo andato a vuoto si grida al miracolo, ma tanto la pistola è caricata a salve. Arriva il figlio del Topo, ora giovane contestatore, che alza la posta usando pallottole vere. Prova il colpo e si salva, prende la pistola un bambino e si spara in testa. Cosa vuol dire? Tutto e niente, una perfetta rapprensentazione panica, forse la più alta raggiunta dal movimento. È semplicemente una bella scena, divertente con perfidia, espressiva e poetica, come lo erano il Cristo sadiano di Buñuel o il funerale burlesco di Clair e Picabia.
(…) El Topo è un film importante, comunque lo si voglia vedere, insopportabile, per certi aspetti, e importante. Un film che afferra l'attimo (siamo nel 1971) come una fotografia diabolica scattata da una distanza siderale e lo restituisce intero, completo di ogni particolare, in tutta la sua bellezza e bruttezza, con tutta la sua ricchezza e la sua miseria. E infatti El Topo sbarca in America, come Fievel, in quella specie di tempio della sur-religione contemporanea che è il cinema di John Lennon, l'Elgin di New York. Nonostante lì si proiettino intere rassegne dedicate all'underground americano ed europeo, per il film di Jodorowsky bisogna inaugurare il fuori-orario delle proiezioni di mezzanotte. E in quell'ora da vampiri che il film viene visto da tutti e da tutti apprezzato (parliamo dei Beatles e dei Rolling Stones, di Mekas, Warhol, Fuller Post-Godard, Kael, Hopper e Fonda e chi più ne ha più ne metta) per oltre sei mesi di tenitura. La cosa stupefacente è che Jodorowsky, a differenza di Buñuel, sembra non solo partecipare ma anche credere fino in fondo, aderire perfettamente all'infinità di puttanate di cui il suo film è insieme il ritratto fedele, il manifesto e la feroce parodia. C'è già un aspetto "realistico" in questo cinema improbabile e grottescamente barocco, che lo apparenta a Tod Browning e ne fa in qualche modo un capostipite.
Che poi diventi una specie di guru dell'underground è un incidente di percorso che lui stesso sintetizza in un proclama paradossale e felice: «Voglio diventare il Cecil B. De Mille dell'underground». Travisazione utile fra settori liminari. Fedele ai presupposti, non sembra che Jodorowsky voglia rappresentare esattamente qualcosa o contro qualcosa, non sembra che voglia raccontare una ricerca quanto, piuttosto, che stia conducendo la sua ricerca, le sue meditazioni, usando il cinema come uno specchio. (…)
Autore critica:Giacomo Manzoli
Fonte critica:Cineforum n. 398
Data critica:

10/2000

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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