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Sottile linea rossa (La) - Thin Red Line (The)

Regia:Terrence Malick
Vietato:No
Video:20th Century Fox
DVD:Panorama
Genere:Guerra
Tipologia:La guerra, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Dal romanzo "The Thin Red Line" di James Jones
Sceneggiatura:Terrence Malick
Fotografia:John Toll
Musiche:Hans Zimmer
Montaggio:Billy Weber, Leslie Jones, Saar Klein
Scenografia:Jack Fisk
Costumi:Margot Wilson
Effetti:
Interpreti:Sean Penn (il sergente maggiore Edward Welsh), Adrien Brody (il caporale Fife), James Caviezel (il soldato Witt), Ben Chaplin (il soldato Bell), George Clooney (il capitano Charles Bosche), John Cusack (il capitano John Gaff), Woody Harrelson (il sergente Keck), Elias Koteas (il capitano James “Bugger" Staros), Nick Nolte (il tenente colonnello Gordon Tall), John C. Reilly (il sergente Storm), Arie Verveen (il soldato di prima classe Dale), Dash Mihok (il soldato di prima classe Doll), John Savage (il sergente McCron), Kirk Acevedo (il soldato Tella), Penny Allen (la madre di Witt), Benjamin (un malese), Simon Billig (il tenente colonnello Billig), Mark Boone jr. (il soldato Peale), Norman Patrick Brown (il soldato Henry), Jarrod Dean (il caporale Thorne) John Travolta (il generale di brigata Quintard)
Produzione:Robert Michael Geisler, John Roberdeau, Grant Hill per Phoenix Pictures/Geisler Roberdeau prod.
Distribuzione:20th Century Fox
Origine:Usa
Anno:1998
Durata:

171'

Trama:

Prologo: il soldato Witt e un suo commilitone si sono defilati dalla loro unità e vivono una pausa dentro il conflitto, a stretto contatto con le popolazioni indigene di Guadalcanal e con la natura esuberante e sublime dell'isola. I due vengono rintracciati e, insieme ai loro compagni, destinati allo sbarco che dovrà dare inizio alla riconquista dell'isola, ora occupata dai giapponesi, e importantissima strategicamente per gli sviluppi della guerra.
Lo sbarco avviene senza resistenza da parte dei nemici ma, una volta all'interno, le cose cambiano. Quando i soldati americani arrivano ai piedi di un'altura, la cui conquista sarà determinante per l'occupazione dell'isola, vengono investiti dal fuoco di sbarramento e inchiodati alle loro posizioni. Il colonnello Tall, che vede nella riuscita dell'attacco il riscatto di una carriera trascorsa nell'anonimato, cerca di spingere il capitano Staros a gettare i suoi uomini nel più feroce dei combattimenti; Staros, però, si rifiuta. Tall organizza una pattuglia di volontari, comandata dal capitano Gaff, suo pupillo, che riesce a sgominare i difensori asserragliati nei bunker sulla sommità e ad aprire la strada all'avanzata.
Witt ha combattuto nell'azione decisiva e non si tira indietro nella battaglia successiva; il sergente Welsh, che lo aveva rintracciato all'inizio e ricondotto al plotone, continua però a considerarlo inaffidabile: il cinismo di Welsh male si accompagna, infatti, all'idealismo venato di misticismo che caratterizza il comportamento di Witt. Al termine della battaglia, Staros viene destituito dal comando da parte del colonnello e rispedito negli Usa, al Ministero della Guerra. Il plotone viene mandato nelle retrovie per un periodo di riposo. Proprio durante questi giorni di spensieratezza, il soldato Bell riceve la lettera in cui sua moglie (a cui aveva sempre pensato nel corso della battaglia per darsi forza) gli chiede il divorzio.I soldati vengono poi rimandati al fronte. Nel corso di una perlustrazione nella giungla, Witt si lascia uccidere dai giapponesi per permettere al suo commilitone di raggiungere il plotone e avvisare della vicinanza del nemico. Sulla sua tomba, il sergente Welsh si sofferma a meditare. Arriva un nuovo capitano, che arringa il plotone: Welsh commenta dentro di sé sarcasticamente le sue parole.
Epilogo: dopo la conquista dell'isola, i soldati vengono reimbarcati per una nuova destinazione.

Critica 1:Libera versione del romanzo omonimo (1962) di James Jones (1921-77), autore anche di Da qui all'eternità (1951). Filosoficamente sotto il segno del trascendentalismo americano dell'Ottocento (R.W. Emerson, ma anche brani musicali di Charles Ives) con echi di M. Heidegger, Malick (1945) ha scelto la guerra come la porta attraverso la quale passare per dire qualcosa di radicale (di indicibile?) sull'estensione dello spettro morale di cui è capace l'uomo e porre alcune domande: perché la guerra? che posto ha l'uomo sulla Terra? che cosa lo spinge alla violenza, a perdere il senso della natura, della pietà, della bellezza? perché soltanto gli animali, i bambini e pochi uomini saggi sono apparentati con sé stessi, cioè sanno qual è il loro posto? Questo film panteista - dove la guerra è fatta da insetti che strisciano tra l'erba contro talpe nascoste sotto la terra - è una preghiera di fine millennio, una invocazione d'aiuto, "un poema triste, soffocato e malinconico sulle cose della natura e sulla natura delle cose, uomo compreso" (Bruno Fornara).
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) Prima di tutto, non so se sia corretto parlare di questo film come di un film "contro la guerra", "antimilitarista", e via recitando nell'ovvia sottolineatura di una componente spendibile senza eccessive richieste di spiegazioni ulteriori, che innanzitutto si desidera trovare, di questi tempi, nei film che affrontano il tema. Mi sembra innanzitutto più produttivo considerare il motivo della guerra come la porta attraverso la quale Malick ha scelto di passare per poter(ci) dire qualcosa di radicale (e forse, in definitiva, di indicibile) sull'irriducibilità dell'altro: condizione da cui il soggetto ricava la solidità che lo rassicura del suo esserci, ma, contemporaneamente, il destino della sua dissoluzione. Irriducibilità dell'altro: nelle prime inquadrature, in tutta la sequenza introduttiva, dove vediamo Witt che cerca il modo per entrare in contatto con una civiltà a lui estranea e ascoltiamo le sue riflessioni sulla possibilità di percepire l'eternità nella calma con cui bisognerebbe saper affrontare la morte, “l'esser cosa della cosa” si afferma con forza irrevocabile. Parlo della natura, l'eterno coprotagonista con cui l'umanità ha dovuto confrontarsi, con esiti alterni e sempre, finora, provvisori: la foresta, le nervature dei tronchi, le foglie, i rami, la luce del sole che ne attraversa la trama, l'acqua. Si delinea un ambiente che riassume in sé la quintessenza di un radicalmente altro, depositario principale di quel silenzio che chiama a sé Witt come chiunque altro (dentro e fuori dal film) e a cui ognuno cerca di rispondere - ma quasi sempre soltanto per trovare conferme al già detto.
In modo particolare, è a prima vista emblematico il fatto che Malick abbia scelto di mostrarci la guerra nelle isole dell'Oceano Pacifico: non esiste fetta del pianeta che, più di questa, abbia alimentato sogni di utopia nell'uomo occidentale degli ultimi due secoli; cinquant'anni prima degli avvenimenti narrati dal film, Paul Gauguin abbandonava il nostro continente per andare a trovare a Tahiti rifugio e un senso nuovo alla sua arte. In nessun altro luogo potevano apparire altrettanto empie le conseguenze dell'applicazione del binomio tecnica/guerra, che nel corso del nostro secolo si è imposto come elemento fondamentale nello sviluppo cognitivo e tecnologico della società a cui apparteniamo. Tutta la parte del film che prende avvio con lo sbarco sulle spiagge di Guadalcanal e si conclude con la conquista delle postazioni giapponesi ne è la dolente, straziante raffigurazione. La battaglia condotta a livello dell'erba lungo i fianchi della collina, sulla cui sommità stanno i nemici da distruggere, mette in scena con i vari personaggi, immobilizzati o striscianti in questo fluttuante mare di verde, e attraverso le loro soggettive "macro", la vertigine dello scarto irrimediabilmente introdotto tra il mito di un nuovo eden e l'imposizione reale di un luogo in cui misurarsi soltanto con la ricerca della sopravvivenza. Gli uomini concentrati soltanto su se stessi, sul calcolo delle possibilità di vita o di morte conseguenti al gesto che stanno per compiere, in realtà si perdono, sono già perduti a se stessi: ciò che stanno facendo è prodotto (e origine) di un fatto collettivo che li contiene e li annulla, in quanto persone. E la natura che li attornia riprende per loro le uniche sembianze allora possibili: quelle che la tecnica applicata al metodo di uccidere le assegna. Nella messa in scena di questo rovesciamento, soltanto lo sguardo dell'arte può ritrovare, talvolta e per caso, la traccia di ciò che sembrerebbe irrimediabilmente cancellato: per esempio, in un ralenti di soldati buttati sotto il fuoco nemico, che lascia intravedere per un attimo, sul bordo del fotogramma, il lampo azzurro di una farfalla.
Il film racconta un episodio storico che ebbe un peso determinante all'interno di un evento (la seconda guerra mondiale) cruciale per la storia del nostro secolo, ma alla fine la sensazione che se ne ricava è che ci abbia parlato d'altro - e naturalmente ciò non potrà che deludere quanti abbiano cercato di farlo rientrare a ogni costo entro categorie interpretative antropocentriche. La guerra, la storia, faccende che riguardano l'umanità in tutti i suoi aspetti (etici, politici, economici ecc.), e che dunque dal punto di vista di tale soggetto vanno considerate: la sua centralità non può essere in discussione, se non a rischio di vedersele scivolare tra le mani come acqua.
La sottile linea rossa trasforma questo rischio nel suo obiettivo principale, va in cerca di un punto di vista per quanto possibile "disumano", per mostrarci uomini (e donne) in una situazione estrema, di fronte alla quale la parola (il pensiero, la domanda "fondamentale", il discorso, la lettera, l'invocazione, l'ordine, il rifiuto) tradisce immancabilmente la propria originaria oscurità, dunque la propria impotenza a fare luce “Dov'è adesso la tua scintilla?” domanda il sergente maggiore Welsh di fronte alla tomba del soldato Witt: ma il suo cinismo - ormai è chiaro - non è altro che la risposta nichilista a domande verosimilmente non troppo dissimili da quelle che leggeva, e rimproverava, nel comportamento dell'amico caduto).
La struttura drammatica e visiva è costruita per opposizioni che spesso si intrecciano, rafforzandosi: natura/guerra, soldati americani/soldati giapponesi, bene/male, il presente della battaglia/il passato di una storia d'amore, vita/morte, visibilità del comportamento imposto dalle circostanze/disincanto segreto espresso nel monologo interiore dai personaggi anche più insospettabili (il tenente colonnello Tall, il sergente maggiore Welsh). Di fronte ad antitesi tanto laceranti, Malick non assume il punto di vista di chi ne ricerca ad ogni costo una soluzione: la sua scelta è quella della convivenza o, per meglio dire, della complementarità degli opposti, che soltanto se mantenuti insieme possono ricomporre la sfera dell'esistenza. La disumanità del punto di vista a cui accennavo consiste proprio nella decisione di non mirare al superamento dei conflitti che via via si delineano, con la scelta di una delle alternative a cui sembrano costringerci: così facendo, il ruolo dell'Uomo (del Pensiero, del discorso) sarebbe ancora centrale, discriminante. E proprio questa eventualità che, invece, viene qui negata. La logica del giudizio va sostituita accogliendo la fecondità di una visione che permetta ai termini contrapposti di permanere, in una relazione reciproca che dà senso all'esperienza.
Sul piano del linguaggio delle immagini, è in questa direzione che mi pare vada considerato il modo in cui Terrence Malick utilizza la dissolvenza incrociata; segno linguistico già di per sé abbastanza desueto nel cinema odierno e dunque già "sospetta” al suo solo apparire, non funziona per Malick né in senso analogico, né come liaison spazio-temporale da indirizzare a scopi meramente narrativi. Il perdurare delle singole dissolvenze e la brillantezza della trasparenza che caratterizza la sovrapposizione delle immagini le eleggono, invece, a momenti privilegiati in cui emerge e si fa figura una visione della realtà che sceglie di procedere per aggregazioni, non per sentenze.
In
La sottile linea rossa, utilizzando coerentemente le opportunità fornite dal contesto bellico, quanto appena rilevato si trasferisce anche nella struttura narrativa: Malick introduce in scena i personaggi e li fa poi scomparire senza che il loro passaggio risulti mai veramente decisivo; come individui sono tutti in qualche modo superati e metabolizzati in quell'evento totalizzante che è l'esistenza stessa, qui manifestantesi sotto le forme feroci dello scontro armato. Solo in qualche caso è la morte a sottrarceli; quasi sempre è semplicemente un trasferimento di attenzione, a prima vista solo momentaneo, nel flusso degli avvenimenti a strapparceli definitivamente da sotto gli occhi - e sempre nel momento in cui eravamo arrivati a formularci alcune domande su di loro, alle quali aspettavamo che il film potesse rispondere, prima o poi, secondo logica consuetudine.
Al termine di questa catena di dissolvenze di personaggi, mi sembra ancora più significativo il modo in cui Malick ci restituisce improvvisamente, nell'epilogo, il soldato che avevamo visto in piena crisi da panico durante la fase preparatoria allo sbarco. Dopo la battaglia, a cui è sopravvissuto, gli viene affidato l'unico "consuntivo" (se così possiamo chiamarlo), che però, ancora una volta, non è un giudizio su quanto avvenuto, ma un'apertura su ciò che in futuro, dopo l'esperienza appena provata, si sente in grado di affrontare. Una prospettiva progettuale. Ancora una volta viene in mente Heidegger, e la sua idea che soltanto affidandoci, in quanto mortali, all'appello che trascende qualsiasi tentativo di risposta (anche quello di Witt, la sua "scintilla"), si può restare aperti alla storia, che continua comunque sotto forma di progetto in tal modo autorigenerantesi. Non mi meraviglierei se all'immagine finale che il film ci consegna di questo soldato, Malick stesso avesse voluto affidare l'idea che coltiva di sé e del proprio posto nel mondo.
Autore critica:Adriano Piccardi
Fonte critica:Cineforum n. 382
Data critica:

3/1999

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Sottile linea rossa (La)
Autore libro:Jones James

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