Città nuda (La) - Naked City (The)
Regia: | Jules Dassin |
Vietato: | No |
Video: | Biblioteca Rosta Nuova |
DVD: | |
Genere: | Poliziesco |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Malvin Wald |
Sceneggiatura: | Albert Maltz, Malvin Wald |
Fotografia: | William H. Daniels |
Musiche: | Milton Schwarzwald |
Montaggio: | Paul Weatherwax |
Scenografia: | John Decuir |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Ted De Corsia (Garzah), Howard Duff (Frank Niles), Barry Fitzgerald (Dan Muldoon), Don Taylor (Jimmy Halloran) |
Produzione: | Mark Hellinger per Universal |
Distribuzione: | Cineteca dell’Aquila |
Origine: | Usa |
Anno: | 1948 |
Durata:
| 95'
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Trama:
| A New York un anziano ispettore indaga sull'omicidio di una ragazza, coordinando il lavoro dei suoi sottoposti. Nel corso degli interrogatori dei vari sospettati scopre che la vittima era coinvolta in una serie di furti. Il colpevole verrà identificato e tenterà una disperata fuga a piedi per le strade di New York.
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Critica 1: | New York, immediato dopoguerra. Una ragazza è stata uccisa da due uomini, uno dei quali è stato poi tramortito dal complice e gettato nel fiume Hudson. La polizia inizia le indagini e comincia a interrogare gli amici della defunta. È così che alla fine scopre che anche la vittima faceva parte di una banda di ladri di gioielli e che quindi l'omicidio è stato un regolamento di conti. Quasi un documentario, un violento atto d'accusa verso le contraddizioni della vita moderna in una metropoli. È la cosa più vicina al neorealismo che gli americani abbiano mai fatto. Oscar alla fotografia di William Daniels. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Virgilio – Cinema e Spettacoli |
Data critica:
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Critica 2: | La città nuda di Jules Dassin (del 1948) è uno dei più significativi film noir americani degli anni '40: girato interamente in ambienti reali per le strade di New York, fra la gente comune, infrange la tradizione codificata del genere privilegiando un assetto semi documentari stico (senza però contraddire, come vedremo, l'assunto fondamentale alla base del sistema-noir), rivaluta la figura del poliziotto "istituzionale" (rispetto a quella romantica del detective free lance ispirata dai romanzi di Hammett e Chandler e appena rivisitata, allora, da Huston e Hawks rispettivamente in Il mistero del falco, 1941 e Il grande sonno, 1946, considerati da sempre, e a ragione, capisaldi irrinunciabili della stagione d'oro del genere), rende protagonista l'intera città, i suoi quartieri, i suoi abitanti, l'ambiente sociale composito e ricco di forti contraddizioni di una metropoli di (allora) otto milioni di abitanti, come viene ricordato dalla voce fuori campo del narratore onnisciente che accompagna tutto lo sviluppo del racconto.(...)
Colpisce innanzitutto, fin dall'incipit, il taglio rigorosamente realistico della rappresentazione: mentre tutti i film noir precedenti erano ambientati in interni ridotti, angusti o in strade deserte rese in modo espressivo dall'illuminazione e dal taglio delle inquadrature, qui vengono date in successione diverse vedute della città attraverso prospettive oggettivate, apparentemente neutre. Con un tono descrittivo ci si sofferma sugli anonimi ambienti di lavoro, sulle situazioni abituali, consuete della vita notturna, prima di giungere all'illustrazione del doppio atto criminoso che conclude la prima sequenza del film e dà il via all'azione della detection, cioè allo sviluppo narrativo del film. Va rilevato l'impianto naturalistico della fotografia di William Daniels, attento più a rendere la molteplicità degli elementi presenti nello spazio raffigurato che ad esaltare i feroci contrasti luce/tenebra tipici del genere (ottenibili soltanto facendo ricorso alle riprese in studio e al controllo assoluto del set), qui impiegati solo episodicamente e in modo funzionale all'azione drammatica (nella visione frammentaria del primo omicidio e nell'eliminazione del complice da parte dell'assassino, ad esempio). La macchina da presa viene portata per le strade, opera attraverso ampi sguardi, limitati movimenti e precisi raccordi di montaggio, riprende con attenzione tutti gli aspetti della vita quotidiana, anche quelli fino ad allora trascurati dal cinema hollywoodiano, si sofferma su dettagli ordinari dell'esistenza (il risveglio al mattino, i giochi dei ragazzi, il via vai della gente nei bar e nelle botteghe): una novità assoluta allora, stimolata senz'altro dall'esempio dato dal neorealismo italiano e soprattutto dalla lezione di Rossellini, ma anche dall'opera del grande fotografo newyorkese Weegee, particolarmente attento ai risvolti duri, spietati della vita reale nella metropoli, all'esistenza quotidiana nei bassifondi, al crimine spicciolo, ai settori marginali della società, alla degradazione patita dagli esclusi dal sogno americano, che assume nelle sue opere le tinte cupe d'un incubo (il titolo del lavoro di Dassin è mutuato da quello di un suo libro dell'epoca). (…)
La città nuda propone, col suo taglio realistico, una concezione della metropoli come spazio del disagio quotidiano, del più prosaico, ordinario degrado criminoso (degno di lasciare un segno solo sulle pagine di cronaca nera dei giornali: «vi sono otto milioni di vicende nella città nuda», ripete la voce fuori campo): il volto della città appare anonimo, indifferente e insieme minaccioso. Nel giudizio muto del vecchio investigatore e in quello esplicito dei genitori della ragazza uccisa è la città stessa che risulta colpevole per aver catturato e divorato la sua vittima dopo averla attratta con le proprie mediocri, illusorie seduzioni. Perfino il clima descritto (il caldo torrido dell'estate newyorkese) viene utilizzato come elemento capace di sostenere e stimolare tensioni: l'aria del mattino è subito afosa, ognuno cerca ristoro come meglio può (i ventagli, gli idranti, i tuffi nel fiume dove affiora un cadavere) e il sudore bagna il corpo dell'assassino, mentre gli interni rivelano gli ambiti ristretti nei quali si agitano i personaggi, ne definiscono il carattere e il destino (dalla casa lussuosa della ragazza interrogata allo studio del medico, dall'abitazione piccolo-borghese del giovane investigatore alla cucina disordinata del vecchio poliziotto, dal seminterrato vociante della palestra alla stanza ammobiliata dell'assassino). Ma l'insieme della metropoli - percorsa a piedi, incessantemente, dai protagonisti, resa nella sua complessità urbanistica attraverso le vedute dall'alto, scrutata in ogni angolo nascosto - ha un fascino titanico, esaltato dallo stile secco e brusco di Dassin, che si sofferma a rappresentare in modo frammentario, disgregato lo spazio urbano durante tutte le fasi dell'inchiesta (i pedinamenti, le attese, le ricerche a lungo senza esito) per poi renderlo di nuovo in modo sintetico, compatto nel finale.
L'ambiente viene privilegiato rispetto alla presenza dei protagonisti, che perdono qui il loro alone romantico, le loro caratteristiche mitiche per diventare quasi degli impiegati della detection: il film pone l'attenzione infatti, come dicevamo, non sul detective privato ma sul poliziotto "istituzionale", una figura del tutto diversa da quella offerta dalla letteratura hard boiled e dalla tradizione del film noir di quegli anni. Ciò che prevale qui è il metodo dell'indagine (registrato da Dassin in maniera minuziosa): un lavoro tenace, continuo, condotto in squadra, basato su un'interminabile serie di pedinamenti, interrogatori, sull'osservazione minuziosa della realtà, sulle analisi di laboratorio effettuate dalla scientifica. Il compito specifico del poliziotto "istituzionale" è quello del coraggio quotidiano, non gli competono atti gratuiti d'eroismo: i protagonisti conducono le loro ricerche a piedi, con fatica, attraverso la città, sono obbligati a malincuore a stare lontano da casa. In particolare, mentre al vecchio Barry Fitzgerald viene concesso qualche scatto d'inventiva e di briosa bizzarria, il giovane investigatore è rappresentato come una figura mediocre, piattamente tranquillizzante, appannata rispetto alla rappresentazione a tinte forti che viene data dell'assassino, stretto in una morsa implacabile nella sequenza dell'inseguimento finale (condotto anche questo a piedi per le strade della città), splendida per l'efficacia delle riprese e la secchezza del montaggio. Troviamo qui un doppio movimento: ascensionale (il bandito si arrampica sulla struttura del ponte) e discendente (il suo crollo rovinoso al suolo). È lo sguardo dell'assassino ad allargarsi sulla città dalla quale verrà escluso: l'attenzione è tutta concentrata su di lui, l'eroe negativo rappresentato in uno sforzo folle, disperato, e dotato di irruenti tensioni (anche di natura sensuale, come rivela la sua prestanza fisica), capaci di rimandare al senso delle forze profonde in agguato nella città del crimine, all'oscurità insondabile del male, rispetto al quale non c'è rimedio o soluzione possibile. |
Autore critica: | Pierpaolo Loffreda |
Fonte critica: | Cineforum n. 356 |
Data critica:
| 7-8/1996
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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