Commedia sexy in una notte di mezza estate (Una) - Midsummer Night’s Sex Comedy (A)
Regia: | Woody Allen |
Vietato: | No |
Video: | Warner |
DVD: | Mgm Entertainment |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Woody Allen |
Sceneggiatura: | Woody Allen |
Fotografia: | Gordon Willis |
Musiche: | |
Montaggio: | Susan E. Morse |
Scenografia: | Mel Bourne |
Costumi: | Santo Loquasto |
Effetti: | Kurtz And Friends |
Interpreti: | Woody Allen (Andrew), Mia Farrow (Ariel), Jose’ Ferrer (Leopold), Julie Hagerty (Dulcy), Tony Roberts (Maxwell), Timohy Jenkins (Reynolds) |
Produzione: | Orion Pictures Corporation |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Usa |
Anno: | 1982 |
Durata:
| 98’
|
Trama:
| In una villa abitano Andrew - un inventore dilettante un po' svitato - e la moglie Adrian, noiosa e trascurata dal marito, perso dietro i suoi congegni, ora saltuariamente volanti, ora magici. Per un fine settimana arrivano altre due coppie: Leopold, un anziano professore di filosofia, materialista dichiarato, presuntuoso e pedante, che sta per sposare la giovane e disinibita "fidanzata" Ariel, e Maxwell, un medico libertino, con la sua infermiera tuttofare Dulcy, tanto belloccia quanto oca e facile di costumi. La casuale convivenza di questo campionario di gente senza reali interessi nè perché di vita genera un gioco divertito - e in qualche momeno divertente - di scambi, equivoci e appuntamenti al chiaro di luna, con composizioni e scomposizioni di coppie, schermate da raffinati passatempi di società, fino alla conclusione, più comica che tragica: la morte dell'anziano filosofo, in un soprassalto amoroso con Dulcy.
|
Critica 1: | Primi anni del Novecento. In una villa di campagna a nord di New York coniugi in crisi ospitano d'estate due coppie di amici. Scambio di dame, equivoci piccanti, occasioni perdute, appuntamenti segreti, entrate e uscite dalle camere da letto. Un quasi pacificato W. Allen ha messo un fresco cataplasma sulle nevrosi dei suoi personaggi. È una commedia pastorale, pagana ed erotica, calata nelle raffinate immagini agresti di Gordon Willis. (…) |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
|
|
Critica 2: | Dopo la spietata autoanalisi di Stradust Memories Allen ha bisogno di “divertimento”. Ma si tratta, come sempre, di una “vacanza” soltanto apparente. Già le dinamiche produttive dovrebbero metterci sull’avviso. Il regista gira questo film contemporaneamente a Zelig (a cui la critica americana presta comunque più attenzione). Completato il copione di Zelig, mentre la produzione ne stima il budget, un Allen “disoccupato” scrive in due settimane Commedia sexy. Si ritrova quindi a fare i casting e a scegliere gli esterni in contemporanea e i due film giungono insieme ai nastri di partenza. Allen continuerà a passare da un set all’altro anche se poi Zelig richiederà tempi di lavorazione decisamente più lunghi. Mentre in questo secondo film, come vedremo, il regista prosegue il suo lavoro di sperimentazione anche sull’uso del bianco e nero e delle possibili elaborazioni cromatiche, in Commedia sexy il bisogno di tornare a lavorare sul colore si fa evidente. Con Willis sceglie un luogo di campagna che possa restituire il calore della luce solare e in cui la natura sfugga a quella sorta di regola non scritta per cui Allen gira quasi sempre in autunno, che è la stagione che preferisce. Qui, invece, quando le foglie cominceranno a perdere la loro naturale brillantezza, si provvederà a verniciarle. La campagna dunque (rigorosamente a quaranta minuti d’auto da Manhattan per poter far ritorno a sera nell’adorata metropoli) e una natura che, per una volta, Woody si sforza di trovare attraente. Senza però rinunciare a un tocco di tenera ironia quando, per descriverne la bellezza, inanella una serie di inquadrature degne del miglior documentario disneyano anni Sessanta (ha dichiarato a Time nel 1979: “Preferirei morire piuttosto che vivere in campagna”, non dimentichiamolo).
Ciò che la critica americana sembra non aver colto è quanto quest’opera sia, ancora una volta nella filmografia alleniana, imbevuta di cultura cinematografica, letteraria, pittorica e musicale. Anzi, si tratta forse di uno degli esempi più alti in cui la fusione di questi diversi aspetti dà luogo a una nuova riflessione sulle dinamiche del sentimento e sul senso della vita dotata di una leggerezza incantevole. A partire proprio dalla musica di Mendelssohn che “marca” il film con la marcia nuziale di apertura e accompagna, con altri brani dello stesso autore, lo svolgersi della vicenda. È una scelta rigorosa e, al contempo, lieve che rende ancor più consapevolmente brillante il contesto narrativo. I riferimenti cinematografici sono espliciti: Sorrisi di una notte d’estate e Il volto di Ingmar Bergman a cui ci si richiama anche con il trucco scenico di José Ferrer e Tony Roberts. Non dimentichiamo poi un’altra fonte di ispirazione, quel La regola del gioco di Jean Renoir che Allen ben conosce. Il riferimento del titolo è ovviamente una parafrasi dello shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate mentre le atmosfere, ricostruite magistralmente grazie anche alla collaborazione dell’abile costumista Loquasto e dello scenografo Mel Bourne, rinviano alla pittura impressionista e alle illustrazioni di Edmond Dulac per La tempesta. Come non individuare poi la riflessione sulle dinamiche di messa in scena proprie del teatro di Feydeau di cui Allen rivaluta, al di là dell’aprirsi e chiudersi a tempo delle ormai classiche porte, la capacità di analisi lucida dei comportamenti di una classe sociale del proprio tempo?
In questo microcosmo che si riunisce in campagna portandosi dietro tutte le nevrosi urbane (e contemporanee) siamo infatti di fronte a un’operazione di attualizzazione condotta in modo rigoroso. I costumi d’epoca, i macchinari leonardeschi, le vecchie auto più o meno sferraglianti costituiscono un’operazione mimetica simile (e al contempo diversa) a quella di Amore e guerra. Là l’esercizio di stile trasferiva il “sentire” newyorkese wasp contemporaneo nell’antica Madre Russia, qui invece è l’Europa, con la sua arte e cultura, che cerca un connubio con una Manhattan in vacanza. Non è un caso che allo spettatore nasca, magari dettata solo dalla coincidenza numerica, l’idea di una parentela anche con il pirandelliano Sei personaggi in cerca d’autore. I sei protagonisti di Commedia sexy sono tutti, nessuno escluso, dei personaggi in ricerca di se stessi. Leopold nasconde dietro il proprio rigore razionalistico e un troppo esibito autocompiacimento culturale il bisogno di riaffermare la concretezza e, al contempo, l’alterità della vita. Quello che avrebbe potuto divenire, sotto un’altra penna, il classico cocu da farsa si trova invece a riassumere in sé i timori e le ansie di chi sente che la vita potrebbe sfuggirgli da un momento all’altro e, avendola spesa a negare qualsiasi possibilità di immortalità dell’anima, muore tra le gambe di chi può regalargli un ultimo, vero sorriso. Non è epicureismo quello di cui si fa portatore dopo aver sperimentato la “realtà” dell’immaterialità. È invece una forte riaffermazione della vita e della necessità di non sprecarla. (…) |
Autore critica: | Giancarlo Zappoli |
Fonte critica: | mymovies.it |
Data critica:
|
|
Critica 3: | Atteso al varco, Allen offre con Una commedia sexy un primo (e, ovviamente, soggetto a ulteriore verifica) indizio di positivo superamento della propria crisi di cineasta. Probabilmente, in futuro Una commedia sexy entrerà nel novero dei film di transizione, momento di passaggio tra fasi diverse: ma oggi può essere valutato solo nella sua impalpabile omogeneità, in quanto dimostrazione della completa maturità stilistica del suo autore.
Quanto a intreccio, tipologia dei personaggi e dinamica narrativa, Una commedia sexy in una notte di mezza estate ricalca piuttosto puntualmente i film precedenti di Allen; la qual cosa avvalorerebbe quelle annoiate critiche che hanno rimproverato a Allen di essersi limitato a modificare l'ambientazione storica e geografica dei propri nevrotici newyorkesi, affogando ricercatezze, anacronismi e bella fotografia in discorsi usurati. Se la storia narrata è sempre la stessa, sorge il dubbio che ciò che conta realmente in sede di giudizio siano i modi della narrazione, la capacità di rinnovare sempre l'attenzione intorno a psicologie e dinamiche esistenziali abituali, di ricreare ogni volta la magia dello spettacolo cinematografico. Oltre che, naturalmente, la capacità personale dell'autore di crescere e modificarsi; ma anche questa, soprattutto in periodi squallidamente ripetitivi e scarni come il nostro, va forse ricercata di più nell'evoluzione linguistica che non in quella contenutistica. In questo senso, non c'è dubbio che Una commedia sexy si presenti (senza essere certamente il miglior film di Allen) come compatto risultato di uno sforzo evolutivo che, se ha richiesto la soppressione di forti connotazioni personali, apre probabilmente la strada a un cinema di stampo più narrativo. Costruito come Amore e guerra in chiave di lettura aggiornata di un universo culturale storicamente determinato e circoscritto (in questo caso, più letterario che cinematografico), Una commedia sexy supera in primo luogo la tentazione più lusinghiera e più immediatamente effettistica che si presenta a un comico acculturato come Allen, quella della parodia. L'amabile presa in giro delle convenzioni figurative, letterarie ed esistenziali di un certo periodo (una fine secolo tanto vicina da avere precisi riscontri anche nel mondo contemporaneo) passa qui attraverso poche selezionate immagini e attraverso un numero ancor più ridotto di parole. Il sottotono costante in cui è tenuto il personaggio di Allen contribuisce naturalmente al raggiungimento di questo nuovo equilibrio; l'autobiografismo critico che ha connotato tutto il primo cinema di Allen, via via stemperatosi, appunto da Amore e guerra in poi, in una dinamica più collettiva, sembra a questo punto definitivamente superato; non solo il suo personaggio è in secondo piano, ma non rappresenta neppure più la chiave di volta della narrazione, il metro attraverso il quale valutare le azioni degli altri personaggi (definitivamente soppiantato in queste funzioni dal personaggio femminile). Eliminata la parodia, superato il proprio personaggio senza dover per questo ricorrere alla totale autoeliminazione (come era accaduto, quasi a preventiva tutela della drammaticità del soggetto, in Interiors), concluso con Io e Annie e Manhattan il ciclo di avvicinamento alla commedia, si imponeva come scoglio inevitabile per Allen
la costruzione di un plot che riequilibrasse il peso dell'autobiografismo pur senza prescinderne, di un contesto filmico finalmente scindibile dalla presenza dell'autore, di un ritmo narrativo meno condizionato dall'incessante monologare (verbale e figurativo) che caratterizzava il suo stile. Come detto, Allen non va lontano da se stesso per cercare la propria storia: prende tre coppie (da Manhattan o da Interiors) e decide di mischiarne l'assortimento. L'idea alla quale si appiglia per dare uno sviluppo più narrativo e, almeno all'apparenza, più concluso al film è quella della concentrazione spazio-temporale: a parte la breve presentazione iniziale dei personaggi, l'azione si svolge in un solo giorno e in un solo luogo. Il che significa, per l'autore, essenzializzare al massimo i passaggi narrativi, e, per lo spettatore, un senso (probabiImente, contraddittorio) di maggiore determinatezza della storia a cui ha assistito. Una commedia sexy, in pratica, è il primo film di Allen che potrebbe essere definito «a lieto fine», dando naturalmente a questa definizione il senso di transitoria pacificazione del tutto legata all'occasionalità momentanea; un lieto fine, in sostanza, che non esce dai confini di quella, e magari, di qualche successiva notte di mezza estate, ma che viene percepito in quanto tale proprio perchè tutta la narrazione è stata racchiusa in un ristretto ambito temporale. È come se Allen avesse lasciato Ike Davis e Mary Wilke la sera del loro incontro sulla panchina sull'Hudson: sappiamo quello che può accadere in seguito, perchè proprio lui ce l'ha tante volte raccontato, ma questa consapevolezza toglie ben poco alla preziosa felicità di quel momento, uguale a tanti altri raccolti e consegnati conclusivamente alle ultime inquadrature del cinema classico. Allen non ha fatto un film felice, ma, per la prima volta, ha fatto un film «concluso», ha ricomposto, secondo lo schema tradizionale delle storie cinematografiche, gli equilibri spezzati nel corso della narrazione. Ma non per questo ha fatto un film tradizionale; il suo sforzo è invece se mai consistito nel riuscire a dare, attraverso la scansione ritmica, un'apparenza tradizionale a una struttura anomala (un giorno e un luogo sono nel cinema tentazioni ricorrenti, ma certamente non norme abituali), trasportando all'interno di quest'ultima l'identica immagine dell'esistenza come successione, a volte slegata, di momenti, a volte felici, che era solito trasmettere attraverso una narrazione fortemente spezzettata nel tempo e un accostamento di lunghe, impercettibili modificazioni descrittive. (…) |
Autore critica: | Emanuela Martini |
Fonte critica: | Cineforum n. 219 |
Data critica:
| 11/1982
|
Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | |
Autore libro: | |
|