Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto -
Regia: | Petri Elio |
Vietato: | No |
Video: | Ricordi Video, Panarecord, L'unita' Video |
DVD: | Edigramma |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Elio Petri, Ugo Pirro |
Sceneggiatura: | Elio Petri, Ugo Pirro |
Fotografia: | Luigi Kuveiller |
Musiche: | Ennio Morricone |
Montaggio: | Ruggero Mastroianni |
Scenografia: | Carlo Egidi |
Costumi: | Enrico Job, Angela Sammaciccia, Gabriele Mayer |
Effetti: | |
Interpreti: | Gian Maria Volonte' (L'ispettore), Florinda Bolkan (Augusta Terzi), Gianni Santuccio (Commissario), Orazio Orlando (Ispettore Biglia), Sergio Tramonti (Antonio Pace), Filippo Degara (Agente all’ interrogatorio), Arturo Dominici (Mangano, capo della omicidi), Vittorio Duse (Canes), Vincenzo Falanga (Pallottella), Ugo Adinolfi (Una dei due fermati), Massimo Foschi (Signor Terzi), Aleka Paizi (Cameriera dell'ispettore), Salvo Randone (Lo stagnaio), Aldo Rendine (Nicola Panunzio), Gino Usai (Un'altro dei due fermati) |
Produzione: | Davide Senatore e Marina Cicogna per la Vera Film |
Distribuzione: | Cineteca Nazionale - Istituto Luce |
Origine: | Italia |
Anno: | 1970 |
Durata:
| 114'
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Trama:
| Il capo della Squadra Omicidi di una grande città, soprannominato il "dottore", viene promosso per i suoi meriti dirigente dell'Ufficio Politico della Questura. Proprio nel giorno della promozione, l'alto funzionario, che sotto l'apparente sicurezza e disinvoltura nasconde una psicologia normale, uccide Augusta Terzi, la propria amante, dalla quale è stato deriso. Anzichè preoccuparsi di non lasciare tracce del delitto, l'assassino, certo di essere al di sopra di ogni sospetto in forza della posizione di potere che occupa, si impegna paradossalmente a moltiplicare gli indizi a proprio carico: le indagini intraprese dai suoi collaboratori - come egli aveva previsto - non lo sfiorano neppure. In seguito allo scoppio di una bomba nella centrale stessa della polizia, vengono fermati alcuni contestatori; tra questi c'è uno studente, Antonio Pace, che rivela al "dottore" di riconoscere in lui l'autore del delitto. Dopo essersi autodenunciato ai suoi superiori, il funzionario, ritiratosi nel proprio appartamento, immagina nella sua fantasia esaltata la più probabile soluzione del caso: per quanto numerose e schiaccianti possano essere le prove del suo crimine, i suoi superiori, più timorosi di uno scandalo che desiderosi di servire la giustizia, le smantelleranno ad una ad una, perchè egli, come poliziotto, non può essere che al di sopra di ogni sospetto.
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Critica 1: | Invenzione alla Borges per il primo film italiano sulla polizia con uno straordinario G.M. Volonté. Calibrata costruzione all'americana del racconto in cui si fondono le due anime, realistica ed espressionistica, di E. Petri. Sceneggiato con Ugo Pirro, musiche di Ennio Morricone. Oscar 1970 per il film straniero e Nastro d'argento a G.M. Volonté. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Una delle colpe della mia generazione - dice il quarantenne Elio Petri - è di non avere contribuito abbastanza alla costruzione di una società veramente democratica». Evidentemente insoddisfatto della brava battaglia combattuta contro la mafia con A ciascuno il suo, Petri sbarca dunque, armi e bagagli, nel cantiere in cui si stanno gettando le fondamenta della democrazia: nel costume civile italiano e nei meccanismi psicologici che ragioni storiche e sociali hanno alimentato. Poiché, secondo Petri e il suo sceneggiatore Ugo Pirro, una delle falle più gravi è rappresentata dagli arbitrii che comporta il principio d’autorità e dalla corrispettiva paura dei cittadini nei confronti della legge, ecco un film, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, che prende il problema di petto, chiamando a protagonista nientemeno che un immaginario funzionario della questura di Roma.
Segniamo in rosso questa data: piaccia o meno il film, è la .prima volta che il cinema italiano si butta a capofitto sull’ambiente della polizia e che la censura se ne rallegra. Se si pensa alla libertà con cui il cinema americano, da tempo immemorabile, porta sullo schermo poliziotti corrotti e scopre ignominiosi altarini perfino nella Casa Bianca, è difficile negare che l’uscita del film, nonostante la strumentalizzazione che ne sarà fatta, costituisce un importante passo avanti verso una società più adulta, tanto sicura di sé e della democrazia da potersi permettere di criticare istituti tenuti per sacri senza doversi continuare a difendere dietro al medievale paravento del reato di vilipendio. E questo si dica anche nei confronti di chi dà un’immagine apocalittica dell’Italia postsessantotto, augurandole quale toccasana regimi in cui il regista comunista Elio Petri, con un soggetto come questo fra le mani, andrebbe diritto in un Lager.
D’altra parte il film, partendo dall’analisi d’una situazione locale, va ben oltre i nostri confini. Sollevatosi dallo choc derivatogli dal vedere colpito un tema a lungo considerato tabù, lo spettatore intelligente (ce n’è, ce n’è) non avrà difficoltà a comprendere che la polemica di Pirro e Petri, pur rabbiosissima, è qualcosa di diverso, da un pamphlet contro la polizia italiana: è il «diario d’uno schizofrenico», la denuncia di una nevrosi che la cornice storica ha portato a estreme conseguenze e che si sta trasferendo dal privato al collettivo. Più in generale, è un lamento sulla deformazione morale e mentale cui conduce l’esercizio del potere quando è privo di controlli. A un livello filosofico (non a caso il film si chiude con una citazione da Kafka) è la contemplazione della miserabile condizione dell’uomo, servo d’un Principio superiore, del mito della Legge e dell’Ordine, cui sacrifica la propria libertà e quella altrui.
Non impressionatevi. Il film di Petri, dopotutto, è un «giallo» tanto più saporito quanto più l’assassino, preso al laccio della paranoia, dissemina il terreno di indizi quasi per provocare se stesso. Il «ragionamento» fatto dal capo della squadra omicidi testé nominato capo della squadra politica (o meglio l’alibi che gli fornisce il suo inconscio devastato dal delirio professionale e dalle aberrazioni della sua amante) è all’incirca il seguente: per sapere se la macchina poliziesca di cui io sono una ruota è oliata a dovere, e se dunque io vivo nella realtà, vediamo cosa accade quando un poliziotto del mio rango compie un omicidio, e fa di tutto per mettere i colleghi inquirenti sulla buona strada. Se le indagini, arrivate al suo nome, deviano spontaneamente, vuoi dire che i conti tornano, che la funzione di tutore dell’ordine comporta come automatico appannaggio la certezza del diritto. Identificandosi l’autorità con la verità, anche il rovescio si realizza: lo studente che vuol cambiare sistema sociale, e manifesta in piazza, è un sovversivo, un criminale, un folle che vive nell’irrealtà. Dunque, giù botte.
La verifica si compie puntualmente. Il questurino uccide con una lametta l’amante, una sadomasochista che lo tradiva e lo umiliava, e sparge a bella posta tutta una serie di prove che lo accusano, ma nessuno lo sospetta, e chi ha qualche dubbio se lo tiene per sé. Poi l’assassino si accorge d’essersi spinto troppo avanti, e comincia a temere di essere scoperto, ma a questo punto è la macchina che gli viene in soccorso: fermato un gruppo di studenti per lo scoppio di certe bombe, al nostro sembrerà facile manovrare le cose in modo da far convergere i sospetti proprio su un capellone che potrebbe testimoniare contro di lui. Se qualcosa s’inceppa è perché il ragazzo, inconsapevole alter ego del poliziotto, ragiona come lui, limitandosi a ribaltare i termini del sofisma: io non ti denuncio perché al mio assolutismo fa comodo credere che quanti dirigono la repressione politica sono tutti criminali come te. Ormai poco importa come la cosa finisca (che il nostro confessi il crimine, sogni di non essere creduto, e il pubblico venga dimesso su un punto interrogativo): il sugo del film sta per noi in questo confronto tra due posizioni estreme, nella giustapposizione di due fanatismi demenziali che rischiano di bloccare la crescita razionale del consorzio civile e di trasformarlo in una rissa sanguinosa.
Petri, preso alla gola dall’attualità, e probabilmente compiaciuto del suo ruolo scandaloso, ha insistito su un solo versante, forzando le tinte nella pittura dei metodi polizieschi.
Ma basta scalfire con l’unghia il suo film, ricordare il timbro esistenziale che accompagna la sua opera precedente, per toccarne il tessuto più vero, intinto di angoscia storica espressa in forme di paradosso. Impressione accentuata dalla struttura narrativa, da quell’aprirsi e chiudersi del film su toni grotteschi (il delitto iniziale, il rinfresco sul finire) che stringe in una tenaglia di sarcasmo il cuore realistico del racconto. Sicché dovremo guardarci, e dovrà guardarsi soprattutto lo spettatore allarmato, dal collocare l’indagine tra gli esempi d’una pubblicistica d’opinione che fa esclusivo riferimento alla cronaca italiana. Questo è senza dubbio cinema politico, ma il suo discorso è a raggio più largo di quanto non voglia sembrarci: ha più parenti in certo beffardo cinema dell’Est, soprattutto cecoslovacco e ungherese, impegnato nell'analisi degli arbitrii che ‘comporta l’uso dell’autorità, che non nella polemica piazzaiola di certi nostri dell'epoca.
Realizzato con grande maturità di linguaggio, con un taglio asciutto e un ritmo che soltanto nella seconda parte perde qualche colpo, il film si giova d’un’ottima interpretazione di Gian Maria Volonté e di Florinda Bolkan. Mentre a quest’ultima sta a pennello la parte dell’amante che gioca alla cronaca nera, Volonté ha costruito il suo poliziotto con grande bravura riuscendo a far coincidere in un ritratto memorabile i connotati psico-somatici del personaggio e dell’interprete. Nel coro, benissimo affiatato, delle figure di contorno fa spicco, naturalmente, Salvo Randone. |
Autore critica: | Giovanni Grazzini |
Fonte critica: | Corriere delle Sera |
Data critica:
| 13/2/1970
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Critica 3: | Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è probabilmente il film più politico del cinema italiano, certamente il più significativo sotto l'aspetto storico e sociale degli anni Settanta. Tutti ricordano la trama del film: ne è protagonista il capo della squadra omicidi di Roma, lo straordinario Gian Maria Volonté, che, nel giorno della sua promozione, uccide l'amante. La donna, un'appassionata, stravagante e sensuale Florinda Bolkan, aveva probabilmente un'altra relazione, ma il vero motivo dell'omicidio risiede nel fatto che il poliziotto, lasciando vari indizi compromettenti, vuole dimostrare che il potere (la polizia, la classe politica) non è in grado, e non vuole, incriminare un uomo come lui che appartiene, appunto, al potere. Uscito nelle sale nel 1970, il film di Elio Petri ebbe un'accoglienza a dir poco traumatica da parte di molti poliziotti che, ricevute le giuste soffiate, si precipitarono ad assistere alla pellicola nei primi giorni della sua uscita. Ne risultò un'immediata denuncia al sostituto procuratore della repubblica di Milano Caizzi, il quale non ritenne però opportuno procedere; da quel momento l'eco del messaggio politico, decisamente critico sui metodi adottati in quegli anni dalla polizia nei confronti delle manifestazioni studentesche, spinse il film verso ottimi incassi. A Roma furono anticipate le prime proiezioni pomeridiane alle ore tredici e prolungate quelle serali ben oltre la mezzanotte. Oltre al successo su scala nazionale, Indagine... ottenne anche il premio Oscar come miglior film straniero. Comunque lo si voglia guardare, il film ha un valore di testimonianza immenso, chiunque può, rivedendolo oggi, farsi un'idea di quello che era il clima di quegli anni, con il Sessantotto ancora caldo, e gli anni delle nuove battaglie studentesche, e soprattutto, del terrorismo ancora da venire. (…) Un discorso a parte merita invece Gian Maria Volonté che, nei panni del capo della squadra omicidi, ci ha lasciato una mostruosa interpretazione, sicuramente tra le più sentite, sincere, studiate dell'intera storia del cinema italiano. E' grazie anche ai suoi movimenti, alla sua voce, al modo in cui si rapporta con i suoi sottoposti, ai suoi gesti che il film acquista credibilità, suggerisce il suo messaggio politico senza alcuna ambiguità e con la dovuta convinzione. |
Autore critica: | Ernesto Maria Volpe |
Fonte critica: | www.pagine70.com |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | |
Autore libro: | |
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