Diavolo probabilmente... (Il) - Diable probablement (Le)
Regia: | Robert Bresson |
Vietato: | 14 |
Video: | Video S.Paolo |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Disagio giovanile, Diventare grandi, I giovani e la politica, Natura e ambiente, Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Robert Bresson |
Sceneggiatura: | Robert Bresson |
Fotografia: | Pasqualino De Santis |
Musiche: | Philippe Sarde |
Montaggio: | Germaine Lamy |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Laetitia Carcano (Edwige), Henri De Maublanc (Michel), Nicolas Deguy (Valentina),
Geoffry Gaussen (Libraio), Regis Hanrion (Dott Mime), Tina Irissari (Alberte), Antoine Monnier (Charles) |
Produzione: | Sunchild Gmf Chanderli |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Francia |
Anno: | 1977 |
Durata:
| 100'
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Trama:
| Charles è uno studente silenzioso e pensieroso, preoccupato per la dissoluzione morale e la contaminazione ecologica del mondo. Per questo affonda sempre più nella disperazione, nonostante l'amicizia del giornalista Michel, appassionato di ecologia, e nonostante il generoso amore di Alberte, una ragazza che abbandonata la famiglia borghese per convivere con lui. Sia Michel che Alberte, notano lo stato d'animo di Charles, tollerano di buon grado il suo stravagante comportamento e persino il suo tradimento affettivo quando Charles si rifugia tra le braccia di Edwige. Le discussioni con alcuni amici politicanti di estrema sinistra lo disgustano; il contatto con alcuni giovani barboni non gli dice nulla; un dialogo con un giovane sacerdote "moderno" gli offre il destro per attaccare anche la Chiesa e la religione. Quando gli amici riescono ad ottenergli un abboccamento con lo psicanalista dr. Mime, questi imprudentemente ricorda come gli antichi Romani, incapaci di affrontare la morte, si facevano uccidere da uno schiavo o da un amico. Charles, conoscendo Valentin, un giovane drogato che non rifugge dal furto sacrilego per raccogliere denaro, lo induce ad assassinarlo nel cimitero di Père Lachaise.
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Critica 1: | Bresson filma i suoi personaggi riducendo al minimo la parte superiore del corpo e mostrandone le mani, le gambe, i piedi, gli oggetti che vedono e toccano. Dialogo ridotto all'osso, detto con quel tono senza intonazione che è tipico di Bresson e che il doppiaggio italiano tradisce. Discutibile prima parte, troppo didattica. Rimane la densità dell'itinerario di un'anima verso il suo destino, raccontata da un cineasta che crede nell'esistenza metafisica del Male. |
Autore critica: | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Fonte critica | |
Data critica:
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Critica 2: | All'età di settant’anni suonati, dunque, Bresson, si occupa dei giovani. E lo fa, per quanto sembri un'affermazione paradossale, alla maniera di Nanni Moretti, anche se quest'ultimo si occupa dei giovani osservandoli dal loro livello, essendo uno di loro, intendo dire che ambedue rifiutano ogni stimolo veristico, ogni tipo di naturalismo. L'anziano professionista e il giovane autarchico ci danno della gioventù contemporanea un ritratto attraverso un procedimento didascalico, basato su una autentica "estraneità", ossia una osservazione distaccata, apparentemente impassibile. E tutti e due, uno attraverso l'umorismo, l'altro in una dimensione totalmente tragica (con momenti grotteschi, ma non da questi alleggerita) concludono amaramente sulla sorte dei giovani d’oggi, e di tutti noi. In certo senso è “bressoniano” anche Moretti nel rifiuto di ogni Ienocinio spettacolare, nella scelta delle inquadrature fisse, nella povertà del linguaggio cinematografico, il più spoglio e il più diretto possibile.
Certo, arrivare allo stile di Bresson, quanto al rigore e all'antinaturalismo, è difficile. In Il diavolo probabilmente il regista francese arriva ancora più in là che nella Femme douce e nel Lancillotto: qui, addirittura, l'astrazione diventa quasi intollerabile. La sua “estetica del togliere” raggiunge qui una specie di vertice: la nudità e l'austerità del suo raccontare non sono il prodotto di un cinema povero, ma una scelta precisa di uno stile rarefatto fino alle estreme possibilità espressive, oltre le quali c'è l'ineffabile. (…) La presenza dei non-attori, che non recitano ma pronunciano, anzi enunciano, è tipica del regista, il quale ha sempre voluto che i suoi interpreti recitassero i loro testi "con una voce monocorde, non personaggi ma piuttosto essenze di esseri, sintesi e segni ad un tempo della loro situazione reale e delle riflessioni che vanno oltre, delle quali essi non sono che i portavoce obbedienti e sottomessi". L'uso delle loro voci senza timbro, prive di “colore", (anch'esse atonali) assicurano una meccanicità fredda, esattamente didascalica, al racconto.
Che diventa ieratico, rituale: il cinema di Bresson appartiene appunto al rito. Vedi, a proposito di nudità espressiva, la fotografia di Pasqualino De Santis, che si basa su una tavolozza mortificata, su una tela graffiata, più che dipinta (con la tecnica "a strappo”, diresti); ed anche questo apparente Bresson - che viene da molti, frettolosamente, ascritto fra gli autori "classici” nel senso di tradizionali -, a moderne correnti artistiche che all'espressione organizzata hanno sostituito una comunicazione materica, grumosa, incompleta, con tanto "bianco", tanto materiale grezzo, si tratti della trama della tela sottostante il dipinto come del suono "puro” prodotto dalla vibrazione elementare di un generatore elettronico.
Uno stile che è sempre stato di Bresson, e che in Il diavolo probabilmente è esasperato per un messaggio estremistico: la morte come soluzione necessaria di una ricerca disperata di motivi di vita, o meglio come ricerca di motivi di sopravvivenza.
I motivi che portano il protagonista del film al rifiuto della vita sono molteplici e senza apparente soluzione, perché appaiono come delusioni irreversibili dei Valori in assoluto. La Famiglia, per cominciare (ma sì, maiuscolo: il discorso di Bresson va avanti volutamente per categorie). La fine della sua funzione storica, almeno da una certa età in avanti, è determinata dalla sua assenza: il padre di Charles è lontano, non si sa bene cosa faccia di preciso nel campo imprenditoriale; i genitori di Alberte non si vedono mai, la loro casa è vuota quando la ragazza la frequenta. La Famiglia non c’è più. L'Amore, allora, ma il rapporto con l'altro sesso è diventato complicato, non riesce a far sentire Charles realizzato nel rispecchiamento in un'altra anima. Edwige è ancorata alla realtà ma Alberte ha maggior spirito di sacrificio e più sensibilità: è possibile una scelta definitiva fra le due? (…)
Se non è più possibile l'unione tradizionale, la coppia, resta il gruppo, l'Amicizia. Gli amici, in occasione di una ricorrenza che riguarda Charles, gli preparano la povera casa in cui abita con Alberte come fosse un nido, un focolare, e i ragazzi che lo festeggiano apparecchiano la tavola, accendono le candele ecc. per creare un sostituto della famiglia, per fargli sentire il calore degli affetti. Ma Charles arriva in ritardo, era fuori per le strade, a cercare altri tipi di contatto. Il Gruppo: gli hippies, i ragazzi che vivono sciolti da ogni legame, sotto i ponti della Senna e nelle vaste piazze di cui si appropriano di notte, sottraendosi alla vita utilitaristica degli altri, dei “normali". Suonano il flauto e il bongo, si bucano, leggono e si baloccano. Uno stordimento momentaneo, non il raggiungimento di uno stadio di vita più saggio.
Più vasta del gruppo, la collettività, le cose della Politica, allora. Gli ideali dei padri sono consunti da un pezzo, ma anche gli ideali degli stessi giovani, ai loro occhi. La cenere del '68 è fredda, non ha alcuna proprietà di fertilizzare l'azione dell'oggi. Qualcuno postula la distruzione totale ('”Tanto qualsiasi cosa resti sarà sempre meglio di adesso”), ma Charles e gli altri non ne sono convinti, anche se militano (o militavano) in gruppi estremisti. Charles afferma che è giunto a rifiutare tutte le politiche, e Alberte che è tardi ormai per la rivoluzione.
Un rifugio può essere allora l'operare, il darsi da fare nel proprio ambito, esplicare qualche attività utile. Il Lavoro. Ma quale lavoro? Quello produttivo, che collabora a far rotolare il mondo nella direzione auto-annullatrice in cui è già troppo avanti? Quello intellettuale, se lo schematismo del reduce dei '68 - Reicht - attualmente proprietario della libreria progressista, lo ha portato a realizzare più che altro un centro di potere, e a risolvere col libretto degli assegni i problemi degli altri? (…)
Meglio non lasciarsi tirar dentro. non diventare complici nella distruzione in atto. E dunque Charles rifiuta ogni impegno di lavoro, non collabora ad un mondo che lo disgusta, si sottrae all'azione, come quegli scienziati che non intendono contribuire con la loro opera all'espletamento di mezzi distruttivi. Ha compiuto studi di matematica superiore e li ha abbandonati, come ha abbandonato le ripetizioni: ora ha scelto l'inazione programmatica. Il fatto di non sapere o non volere scegliere fra Edwige e Alberte è dovuto anche a questo, poiché la scelta sarebbe già un gesto impegnativo, un'azione netta, comportante responsabilità, e conseguentemente una manifestazione di accettazione del suo posto nell'assetto del mondo. Si rimprovera a Charles che tale atteggiamento potrebbe essere una scusa per la pigrizia, per sottrarsi alla fatica: ma a questo punto che differenza c'è? E poi Charles confessa allo psicanalista che, se può darsi che ritragga piacere dall'inazione, è "il piacere della disperazione, evidentemente". Ed eccolo stilare l’inventario, a chi gli rinfaccia il costo della rinuncia, delle cose che perde (l'educazione statale, il servizio militare, le decorazioni, i vantaggi fiscali per la maturità, l'assistenza malattia, gli acconti previdenziali, lo storno dell'IVA, le ritenute d'acconto...
Resta il Trascendente, la fede in un altro mondo. La Religione. La chiesa è il fortino che custodisce la speranza e la consolazione nel deserto dell'aridità, o dovrebbe esserlo. La Chiesa o le chiese, nel senso proprio di edifici dei culto? Charles vorrebbe tutt'e due. Per trascinare l'amico tossicomane alla chiesa di St. Rémy gli cita Victor Hugo ("Le cattedrali sono davvero luoghi santi") trovando che lo scrittore "esagera" quando, in un'altra occasione, afferma: “Una cattedrale, una chiesa, è divino, c'è Dio; ma basta che appaia un prete e Dio non c'è più".
La religione di Charles (nel senso specifico e usuale della parola, oltre a quello etimologico) è resistente, non vuoi cedere, tirato via con riluttanza dalla chiese di St. Bernard, quando assiste ad un dibattito tra alcuni giovani fedeli e un abate “impegnato” il quale propugna, un cristianesimo “Iogico" contro la bruciante attesa di questi ragazzi per una religione “illogica” cioè di impegno totale, di totale adesione, com'è "illogico" il Vangelo. "Non è attraverso la mediocrità che Dio si fa conoscere" - è una pietra tombale sullo smercio di una religione anch'essa consumistica, cioè organizzata e inserita, compromissoria e ben accetta alle strutture. Eppure Charles vi torna, in chiesa (quella di St. Rémy, appunto) portandosi dietro Valentin per disintossicarsi, lui e l'amico, proprio dal "mondo”, per rifugiarsi un dominio tutto spirituale, in una notte magica dominata da buone letture e dall'ascolto di musica di Monteverdi, nobilissimo trampolino verso la purezza, sotto la severa architettura del tempio (una atmosfera che poi il pragmatico Valentin schernirà con lo scassinare le cassette per le elemosine: fornendo così una cruda risposta, sia ai ministri che patteggiano sia agli illusi che vorrebbero vivere esclusivamente in una dimensione mistica).
Dio non è morto, comunque. Bresson ne riafferma l'esistenza evocando il diavolo nella sequenza dell'improvvisato, paradossale dibattito fra i passeggeri dell'autobus, triondo dell'anti-naturalismo bressoniano. Assurda in sé, se si ha Ia pretesa di credere "reale" una disputa filosofica condotta con un cipiglio da Sorbona da personaggi-marionetta, la scena è deliziosamente sardonica. (…)
Comunque il bisogno di Assoluto di Charles non è appagato neppure dalla religione, e poiché di valori non ne trova altri, il ragazzo si sopprime. O meglio si fa uccidere dall'amico-schiavo, come facevano gli antichi. Eppure odia la morte perché gli sembra orribile, dice allo psicanalista. La soluzione della morte per mano estranea ha un suo nodo enigmatico che turba. Gli antichi romani (la soluzione è offerta, senza che costui se ne renda conto, dallo psicanalista) si facevano “suicidare", un po' per ripugnanza del sangue e del gesto, violento, un po' per viltà e per paura del momento estremo, un po' per demandare ad uno schiavo - quindi oggetto, quindi, non pienamente responsabile - un gesto ignobile, non degno, come quello di uccidere. (…)
Che senso ha allora questa morte per il protagonista? È una soluzione romantica, che conclude i dolori del giovane Charles? È la porta dell'Eternità, il raggiungimento dell'Assoluto, o il simbolo dell'auto-annientamento dell'umanità, l'ultima vittoria dei Maligno? Un gesto d'orgoglio e di rinuncia, una consegna di sé alle leggi di un mondo detestato (una morte comperata, dove tutto è in vendita?. Non direi. Certo, tutte le interpretazioni sono legittime, ma a me pare che si debba dare anche a questa conclusione del "pamphlet" di Bresson, come per altre sue fatiche, un significato trasposto, metaforico. Charles potrebbe essere una specie di angelo con giacca di pelle e borsa afgana a tracolla, una creatura "eccezionale" prescelta per avvertirci. O anche un novello Cristo, un Agnello che sceglie il martirio non perché ami sacrificarsi (anche la Giovanna bressoniana prova una netta ripulsa per la morte che si avvicina) ma perché sente che può così testimoniare le sofferenze di tutti e riscattarle in sé. Se il diavolo c'è, lui è l’anti-diavolo, dunque il nuovo redentore. (…)
Bresson non blandisce nessuno quando afferma che "certi Giovani d'oggi sono più lucidi" degli adulti (il maiuscolo è suo), dimostrando la sua preoccupazione perché le nuove generazioni sono le più sensibili, le più indifese, le più toccate da questo crescente inquinamento, che prima di essere atmosferico è soprattutto ideale". I giovani, per il regista, sono quelli che si rendono conto di quanto sta accadendo, che non girano la testa dall'altra parte”.
Bresson è ossessionato dal fatto che "il mondo non si accorge della catastrofe”, dall’incredibile indifferenza di tutti” e il suo messaggio raggiunge il bersaglio: i giovani sono quelli che si rendono conto di cose che agli altri fa comodo far finta di ignorare, immersi come sono in una dimensione pagana, priva di ogni sussulto spirituale, spogliata dai più elementari valori della spirito". I giovani, e qui Bresson fa ancora centro, vogliono essere persone, individui pensanti.
(…) Meno perentorio, meno icastico nelle soluzioni figurative e sonore che in altri suoi film, qui Bresson offre nondimeno soluzioni talentose pur senza mai rinunciare all’impianto oratorio di tutta l’impresa. Pensiamo alla rappresentazione essenzializzata dei diversi mondi in cui si muovono i ragazzi: la casa borghese, coi suo ascensore solenne, reduce dal floreale, e i suoi agi vecchiotti; la casa e gli uffici degli intellettuali, con i loro ascensori dalle porte a vetri automatiche e le loro superfici dure e lisce, asettiche; la casa dell'illusione proletaria, con i mobili rustici, le sedie squadrate, le bottiglie vuote. E poi i marciapiedi sotto i ponti, le chiese, il cimitero notturno, tutti luoghi di un calvario progressivo che è tanto più intenso quanto meno è eroico. Luoghi in cui i personaggi sono inseriti a fatica, quasi mai a figura intera, ma piuttosto in presenze parziali, con le loro mani, i loro piedi, gli oggetti che toccano. (…) |
Autore critica: | Ermanno Comuzio |
Fonte critica: | Cineforum n. 174 |
Data critica:
| 5/1978
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Critica 3: | Film cupo, metafisico e profondamente pessimista, Il diavolo probabilmente… è l'amaro sguardo gettato da un regista settantacinquenne sul mondo giovanile del post-Sessantotto. Pur nell'ambito di una vicenda corale, il protagonista della storia è Charles, un giovane che non sembra più credere in nulla. La sua arroganza e il suo tragico dandismo sono quelli di chi va consapevolmente alla deriva, di chi sa che il suicidio sarà l'unico modo per manifestare la propria ribellione, il suo radicale rifiuto di vivere in questa società. Più che essere respinto dal mondo (come accadeva, ad esempio, ad un'altra giovane suicida bressoniana: Mouchette) è lo stesso Charles a rifiutare questo mondo Alla rivolta suicida del giovane nichilista, il film contrappone l'operato di Michel che, invece, crede nelle possibilità di una contestazione militante e cerca di realizzare un film sull'ecologia (di cui ci sono mostrate numerose immagini). Alberte e Edwige, dal canto loro, cercano soprattutto di dar corpo alla propria diversità sul piano affettivo mentre Valentin, invece, non sa fare altro che trovare rifugio nella droga e non esita affatto di fronte alla possibilità di procurarsi del denaro scassinando le cassette delle offerte in chiesa. Tutto nel film accade all'insegna di un'assoluta indifferenza, cui si sottraggono solo Michel, Alberte e Edwige che, nei confronti di Charles, sanno ancora manifestare un vero senso di amicizia. Un'amicizia che, tuttavia, non è affatto garanzia di salvezza: "È salvo" dice paradossalmente Alberte all'uscita di Charles dal suo incontro con lo psicanalista, mentre sarà proprio tale incontro ad aver suggerito a Charles l'idea più efficace per togliersi la vita (proprio alla maniera degli antichi romani che chiedevano, per suicidarsi, l'aiuto di un amico o una persona cara). Politica, religione e psicanalisi sono fra i bersagli principali del film. Il suicidio di Charles diventa l'espressione più evidente del fallimento delle ideologie che contrassegna gli anni Settanta. Le sequenze del film in cui il giovane si trova a contatto con i gruppuscoli dell'estrema sinistra e con i fautori del rinnovamento religioso, per non dire dell'incontro con lo psicanalista, si trasformano in radicali atti di denuncia nei confronti di quell'arido teorizzare, perorare e profetizzare che caratterizzò un decennio in cui, secondo Bresson, gli intellettuali ebbero sfortunatamente la meglio sugli artisti. Molte delle inquadrature del film riprendono i personaggi all'altezza delle anche tenendo fuori campo i volti. Alcune scene iniziano e si protraggono inquadrando un punto preciso nello spazio in cui i personaggi alla fine finiranno per collocarsi. Per Bresson l'uomo - e quindi anche i giovani - non sono liberi. Il loro destino è nelle mani del male. Siamo oltre il silenzio di Dio e già di fronte alla presenza di Satana. "Di chi è la colpa?" "Del diavolo probabilmente…" (come afferma quasi casualmente nel film il passeggero di un autobus). |
Autore critica: | Dario Tomasi |
Fonte critica: | Aiace Torino |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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