Imperatrice Yang-Kwei-Fei (L') - Yokihi
Regia: | Kenji Mizoguchi |
Vietato: | No |
Video: | Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal poema "Ch'ang Hen Ko" di pai Lo Tien |
Sceneggiatura: | Yoda Yoshikata, Narusawa Masashige |
Fotografia: | Sugiyama Kohei |
Musiche: | Hayasaka Fumio |
Montaggio: | |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Eitaro Shindo, So Yamamura, Sakae Osawa, Masayuki Mori, Machiko Kyo, Haruko Sujimura |
Produzione: | nagata Masaiachi per Daiei |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Giappone |
Anno: | 1955 |
Durata:
| 98'
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Trama:
| Il film si ispira a una leggenda notissima in Estremo Oriente, che narra un fatto storico: la disavventura di Yang Kwei-Fei, imperatrice della Cina nel IX secolo. Per aver cercato di conciliare la vita (la realtà profonda) con l'immaginario (la realtà di superficie), l'Imperatore perderà tutto e si ritroverà in un universo desolato, in rovina: quello del solo mondo mentale separato dalla vita e dalla realtà.
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Critica 1: | Settimo secolo dopo Cristo, quando la dinastia Tang regnava su un immenso territorio. Nonostante la sua origine plebea, Yang-Kwei-Fei diventa la favorita dell'imperatore e da lui viene anche nominata principessa. Terzultimo film di K. Mizoguchi, primo e unico a colori. Accoglienze critiche discordanti. Chi lo considera un esercizio decorativo e raggelante, sia pure di alta classe, e chi lo tiene per "il più bell'inno che il cinema abbia mai rivolto all'amore di una donna per l'uomo" (L. Marcorelles). Girato quasi completamente in interni, con qualche squilibrio narrativo, ha l'austera solennità di un rito e la grazia di una fiaba, appoggiato a una finissima tessitura cromatica e tonale. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | L'incontro tra l'Imperatore e Kwei-fei, la relazione che si costruisce tra loro, potrebbe essere letta come una dichiarazione di poetica: attraverso la bellezza, dunque attraverso il sensibile - sembra suggerire Mizoguchi - è possibile accedere alla realtà intima dell'essere. La bellezza per l'Imperatore non è tanto quella esteriore di Kwei-fei, ma quella della sua musica, dunque, del suo spirito. L'essere è desiderabile perché identico al bello, ma al tempo stesso il bello è amabile in quanto è l'essere. La bellezza del film, quindi la sua essenza, è nel puro abbandonarsi al piacere dei colori e delle luci usati in maniera pittorica e teatrale, non lasciati cioè al caso, ma sempre calibrati e strettamente integrati alla tensione emotiva della storia. In tre momenti decisivi della vicenda, per esempio, Kwei-fei si spoglia degli abiti sontuosi per ritrovarsi vestita di un semplice kimono bianco: alla festa popolare, dove ballerà per la prima volta per l'Imperatore, conquistando così il suo cuore; quando abbandonerà la dimora imperiale per ritornare nella sua umile casa; infine, quando si consegnerà al nemico, sacrificando la propria vita in nome dell'impero e del suo reggente.
La scena della morte di Kwei-fei è un modello di discrezione, con il movimento lento della macchina da presa che segue le traccie dell'incedere dell'Imperatrice verso la sua condanna, quasi come uno sguardo abbassato, in segno di rispetto. Il tono drammatico di questa scena, e del finale del film, è infranto dal crescendo delle risa dell'Imperatore, in fin di vita, e di quelle (immaginarie) del fantasma dell'Imperatrice Kwei-fei. La risata, l'estasi del personaggio, si ripercuote sullo spettatore nella forma di un sentimento ambiguo di liberazione e straniamento. |
Autore critica: | Guy Borlée, Rinaldo Censi e Anna Fiaccarini (A cura di) |
Fonte critica: | Bellezza e crudeltà-Il cinema di Kenji Mizoguchi, I Quiaderni del Lumière 32 |
Data critica:
| 2/2000
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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