Stardust Memories - Stardust Memories
Regia: | Woody Allen |
Vietato: | No |
Video: | Warner Home Video, Mgm Home Entertainment (Gli Scudi) |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Woody Allen |
Sceneggiatura: | Woody Allen |
Fotografia: | Gordon Willis |
Musiche: | James Sabat |
Montaggio: | Susan E. Morse |
Scenografia: | Mel Bourne |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Woody Allen (Sandy Bates), Marie-Christine Barrault (Isobel), Helen Hanft (Vivian Orkin), Jessica Harper (Daisy), David Lipman (Gorge), Charlotte Rampling (Dorrie), Tony Roberts (Tony) |
Produzione: | Jack Rollins, Charles H. Joffe e Robert Greenhut per United Artists |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Usa |
Anno: | 1980 |
Durata:
| 85’
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Trama:
| Acclamato regista-attore di films comici, Sandy Bates passa un week-end lungo le coste del New Jersey, alloggiando presso lo Stardust Hotel, un albergo in stile fine '800. La sua presenza comporta l'obbligo di prendere parte al seminario-dibattito che si tiene nei locali annessi all'hotel e che consiste nel dialogare con il pubblico comune, con i giornalisti, con gli studenti ed appassionati di cinema dopo la proiezione di uno dei suoi precedenti e supervalutati film. Già in difficoltà per le sciocche esaltazioni o per le feroci critiche, Sandy tocca il fondo della depressione perchè dalle circostanze si trova costretto a confrontarsi sentimentalmente con ben tre donne: la prima è quella del passato, Dorrie, un'attrice elegante, attraente e professionalmente valida, ma anche ipersensibile e nevrotica; la seconda è quella del presente, Isobel, un'attrice francese alla quale si era legato e che ora, annunziandogli di avere lasciato per sempre il marito, vorrebbe legarsi a lui con tanto di due odiosi figlioletti appresso; la terza è quella di un ipotetico futuro, Daisy una graziosa e sensibile ammiratrice, violinista, conosciuta in albergo. Quasi non bastasse, Sandy se la deve vedere con i dirigenti degli Studios i quali gli contestano il drammatico finale del suo ultimo film, convinti che in provincia solo la comicità faccia cassetta. Il protagonista, passando dalle immagini dei propri film esaminati nel seminario, alle realtà della sua vita e alle fantasie che conseguono, si domanda che cosa sia la vita e se sia possibile riderci sopra.
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Critica 1: | Ritratto di un attore-regista di commedie un po' nevrotico e molto depresso in crisi sentimentale (la sua relazione con la donna del cuore è al termine) e professionale (i produttori stanno montando il suo primo film drammatico in modo da farlo sembrare una commedia). È il film più bistrattato di W. Allen cui molti rimproverano di aver fatto una goffa imitazione del felliniano Otto e mezzo. Ha un solo grande difetto: un eccesso di intelligenza. Non organizzata e dilapidata. Poco riuscito? Forse. Ma esistono sbagli di talento che valgono più di certe riuscite della mediocrità. Probabilmente ci svela un aspetto di Allen che egli stesso non ama. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | In dieci anni il cinema di Woody Allen si ritrova all'altro termine della parabola. In questo senso, Stardust Memories è un film limite, importante, nella carriera del grande comico americano.
Quando, agli inizi degli anni settanta, apparvero i suoi primi film (da Prendi i soldi e scappa e Bananas fino ad Amore e guerra che è del 1975) la sua apparve subito come una straordinaria comicità verbale. Un bagaglio di battute, talvolta geniali e tal'altra banali, un bagaglio che finiva però con l'essere sprecato al novanta per cento dall'imperizia di Allen nel metterlo in immagini, nel trasformarlo in linguaggio cinematografico. Ora, dopo Annie Hall, il suo capolavoro comico, Interiors, la sua riuscita impeccabile nel cinema "serio", Manhattan, il suo film più equilibrato, ecco Stardust Memories, il suo film più compiuto formalmente.
Woody Allen ha imparato ad illustrare splendidamente i suoi dialoghi. Si è reso conto della relatività della parola in cinema per esprimere un concetto, e dell'importanza determinante dell'immagine. Ma, nel contempo, è entrato in crisi, e non solo perché la storia di Stardust parla di un artista di mezza età in crisi artistica ed esistenziale. In crisi non solo perché "non fa più ridere", ma perché, evidentemente, non sa esattamente, dopo aver messo quei punti finali elencati sopra, in che direzione andare. Destino incredibile di questo che è senza dubbio il solo grande comico cinematografico, assieme a Jacques Tati, del cinema del dopoguerra. Ignorato dal pubblico, soprattutto fuori dagli Stati Uniti, scoperto in ritardo, quando faceva dei film di una comicità di facilissima presa. Idolatrato oggi, quando la folla esce in cuor suo delusa dalle sale, perché Woody la fa soltanto sorridere, non la distende sufficientemente.
Parallelamente, snobbato e ignorato dalla critica per troppi anni (…), trattato col sussiego destinato al comico da palcoscenico dalle riviste specializzate, almeno fino a Annie Hall, Allen arrischia oggi di essere egualmente frainteso dalla critica. Che lo vorrebbe eguale a colui che ignorava fino a pochi anni fa, disorientata nel voler difendere un cineasta che fa del cinema sempre più magistrale come impiego del mezzo (chi si ricorda ancora, ammirando l'uso magnifico della camera, della fotografia, del montaggio, della scelta degli ambienti, della direzione d'attori, della musica in Stardust della fattura grossolana di Bananas o del Dormiglione?) ma che sta perdendo la sua vera personalità: stemperandosi nella grazia melanconica, tipica ma anche leggermente anonima della commedia americana (Manhattan) o nell'omaggio ai grandi maestri europei, il Bergman di Interiors, o il Fellini di ora. Andiamoci, comunque, piano. Il Fellini di Stardust non è certamente plagiato, ma piuttosto evocato, con gusto ed intelligenza.
Diciamo piuttosto che l'obiettivo del regista si è ulteriormente, dopo Manhattan, ristretto. Allen ha sempre e unicamente parlato di un solo oggetto, se stesso. Ma inserito nel contesto di un ambiente ben preciso, quello di una presunta intellighenzia nuovaiorchese: dai suoi strali satirici nasceva anche una vera e propria visione del mondo che egli conduceva a modo suo, coniugando i temi favoriti, il sesso la morte, il cinema. Di tutto ciò, in Stardust, non è rimasto che lui solo.
Accanto alle sue battute su Dio, la psicanalisi e la copulazione che hanno perso, almeno qui, la quasi totalità della loro efficacia, è rimasta la sua angoscia. Di comico che dovrebbe far ridere ad ogni costo ma non ci riesce in un mondo di violenza e di sofferenza. Quest'angoscia Allen ce la rovescia addosso con una violenza, un egocentrismo, un narcisismo tali che è difficile non parlare di provocazione. Non soltanto nel film eventuali critiche vengono gia parate dalle dichiarazioni dei diversi personaggi, che anticipano le conclusioni degli spettatori. Ma si ha quasi l'impressione che il regista abbia fatto di tutto per autosprofondarsi, non solo nella disperazione ma nell'accentuazione delle diverse tendenze. Così questo cinema della lucidità e dell'intelligenza diventa anche quello dell'autolesionismo: le battute di spirito sono così ripetitive (sia rispetto ai film precedenti, che nell'ambito di quest'ultimo) da far apparire questo procedimento voluto. E le risate degli interlocutori di Allen nel film sembrano essere state messe lì apposta, per smascherare la pochezza delle situazioni umoristiche, seguendo un ben noto processo di esorcizzazione che fa sì che noi spettatori ridiamo molto meno, osservando altri sullo schermo che stanno egualmente ridendo. Provocazione disperata, o disperata impotenza? Su questo si potrebbe discutere a lungo.
Nel film sono rimasti, a parte quelle qualità linguistiche di cui si diceva, frammenti splendidi: una scelta incantata degli sfondi, un uso sempre ispirato della musica, la grazia poetica e sensuale degli incontri con le donne, il segreto di trasformare la realtà in sogno (si pensi alla sequenza delle mongolfiere, ad esempio). E' nato cosi un film enigmatico e triste, ossessionato e sensibile, seducente e insopportabile. Allen ha abbandonato anche quel piccolo filo, quella parvenza di racconto che ancora sorreggeva Manhattan per rimpiazzarlo con le divagazioni irrazionali sul sogno e sulla memoria. Ma è da chiedersi se che questo sia veramente il suo mondo. |
Autore critica: | Fabio Fumagalli |
Fonte critica: | rtsi.ch/filmselezione |
Data critica:
| 19/1/1981
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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