Terra (La) - Zemlja
Regia: | Aleksandr Petrovic Dovzenko |
Vietato: | No |
Video: | Mondadori |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Il lavoro, Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | |
Sceneggiatura: | Aleksandr Dovzhenko |
Fotografia: | Daniil Demutsky |
Musiche: | Lev Revutsky (restored version) |
Montaggio: | Aleksandr Dovzhenko |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Stepan Skurat, Semen Svasenko |
Produzione: | |
Distribuzione: | Cineteca Nazionale |
Origine: | URSS |
Anno: | 1930 |
Durata:
| 84
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Trama:
| Ucraina, 1929, al tempo della collettivizzazione della terra. Il giovane Vasil, animatore di una cooperativa, è ucciso a tradimento da un kulak. Il suo funerale si svolge nella natura lussureggiante come una festa.
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Critica 1: | Un classico sovietico del muto. Fu più volte classificato tra i dieci film più belli della storia del cinema. E un affascinante poema lirico, permeato di un panteismo quasi epico, di grande armonia formale. Un capolavoro. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | La storia di Zemlja è incorniciata da due poemetti visivi sulla natura e la giovinezza: campi di grano, girasoli, una ragazza in fiore, mele sparse sulla terra all'inizio; mele, cocomeri, zucche e terra sotto uno scroscio di pioggia, due giovani si abbracciano, si staccano, si guardano lungamente negli occhi alla fine. Le due sequenze, luminose e brillanti, danno il senso e, si potrebbe dire, il sapore della terra ucraina, svelando gli impulsi profondi che guidano l'occhio del regista. Non sono i toni dell'idillio che lo attraggono, ma la forza - sensuale e concreta - dell'amore. La terra e l'amore si sovrappongono, espressione di una natura, e di una umanità, che debbono ancora essere dominate. Qui s'inserisce l'ideale rivoluzionario - poetico anch'esso, non razionale - che muove l'autore nella elaborazione di un filo narrativo da tendere fra i due poemetti.
La scena su cui si svolge il dramma è non soltanto la campagna fertile dell'Ucraina ma anche l'anima popolare della nazione, la sua concezione rude e passionale della vita, la serenità (antica e pagana) di fronte alla morte. L'omaggio che Dovienko rende alla natura rifiuta i languori della contemplazione estetica, si esprime con una violenza che suscita più volte stupore.
Vasyl discute con Opanas, suo padre, che non vuole aderire alla cooperativa agricola di cui si sta occupando. In un frutteto, accanto a una distesa di messi, un vecchio mangia sorridendo una mela, si sdraia su un tappeto di frutti, come fosse un morbido letto, e si lascia morire. Continua accanita la discussione fra padre e figlio. Altri contadini partecipano, e vivacemente rimproverano Opanas. Si stanno arando i campi con gli strumenti antichi. Alcuni giovani vedono un trattore in lontananza, saltano per la gioia, gli corrono incontro. Il trattore arriva al villaggio, ma è subito guasto. L'idea della cooperativa, intanto, fa proseliti. Un oratore arringa i contadini. Nei campi, si susseguono, con ritmo lento e disteso, i lavori. Tra i covoni, solide gambe di donna, gesti rapidi, sorrisi. Si impasta la farina, si cuoce il pane. I kulaki, sempre più ostili alla cooperativa, si organizzano. Di sera, nelle strade dei campi coppie di innamorati abbracciati, immobili: un forte flou fotografico ne appanna l'immagine. Vasyl, reduce dall'incontro con la fidanzata, viene avanti fischiettando. In un impeto di gioia, balla sollevando nuvole di polvere. Uno sparo. Il giovane crolla.
Sotto cieli gonfi e cupi, la disperazione dei parenti e degli amici. Interviene il pop. Lo cacciano. Il giorno dopo, volti di uomini e donne avanzano cantando. Corrono, nella polvere. Le donne si segnano al loro passaggio. Una donna incinta è colta dalle doglie. Il gruppo porta a spalla la cassa di Vasyl. Passa la bara aperta fra i girasoli, mentre il pop nella chiesa vuota s'interroga sulla ragione di quanto è accaduto. La fidanzata di Vasyl, nuda sul letto, non sa darsi pace, si alza, batte i pugni sul muro. Si snoda una serie di azioni parallele: la bara portata a spalle, il pop prega, la ragazza si tormenta, un oratore tiene un comizio, l'assassino Khoma, figlio di un kulak, corre e piange, disperato, e si scatena in un ballo frenetico fra le croci del cimitero. Il film termina con il secondo poemetto sulla natura: la pioggia sui frutti, l'abbraccio di due giovani.
Zemlia, che fu presentato la prima volta a Mosca l'8 aprile 1930, è film così denso di motivi da sembrare assai più lungo dei 1700 metri che compongono i suoi sei rulli. Il tema è analogo all'ejzenstejniano Staroe i novoe, figlio dello stesso programma politico. E se Ejzenštejn falliva, per difetto, nel suo scopo didattico, Dovzenko lo scavalca per eccesso. Incapace di mantenersi nei confini di un disegno propagandistico, recupera i valori nazionali della tradizione contadina per farli protagonisti della lotta politica, soggetti concreti del rinnovamento in corso. Gli uomini che di quei valori sono depositari agiscono - si direbbe - sotto la spinta di riflessi condizionati. La natura che è fuori di loro (la campagna, le messi, i girasoli, il cielo, il sole, la pioggia) e la natura che è in loro (i sentimenti, la volontà, i desideri) sono presentate come un fattore immobile, escluso della storia. Tocca al regista immetterlo in una condizione nuova, nella storia appunto.
Lo fa con la grande metafora della giovinezza che avvolge tutto il film. Il processo storico (il socialismo da realizzare, le resistenze individualistiche da vincere) consiste nel coraggio, nell'entusiasmo, nella vitalità dei giovani. In essi si esaurisce completamente. Ogni discorso politico (ne esistono molti, si possono leggere in trasparenza) passa attraverso le qualità “antiche” di chi è impegnato nella costruzione della nuova cellula sociale presentata dalla cooperativa: lo scoppio di gioia all'arrivo del trattore, la presenza fisica dell'amore nelle sue manifestazioni più intense (gli innamorati abbracciati, la spasmodica disperazione della fidanzata che ha perduto Vasyl), il canto che accompagna il funerale.
Dovzenko non ha altre soluzioni per comporre il conflitto, e restare fedele sia alla tradizione culturale del proprio paese sia al proprio dovere di militante comunista. Il progetto gli riesce quando l'equilibrio non si spezza. Ma, nel momento in cui la rottura avviene, il regista è perduto. Cede alla suggestione del peggiore simbolismo, mette brutalmente di fronte il funerale di Vasyl e la donna colta dalle doglie. La vita che sconfigge la morte. Una volgare figura retorica annulla la tensione poetica.
La carriera di Dovzenko è stata sempre molto travagliata. Le accoglienze che Zemlja ricevette furono in genere aspre: ricorda Lebedev che il “panteismo” cui il film si ispirava fu considerato non soltanto inattuale e contrario agli interessi della agricoltura sovietica in una fase della sua trasformazione, ma anche inefficace per stabilire un solido contatto con lo spettatore, capace di afferrare il significato “poetico” di immagini tanto poco realistiche. In effetti il successo fu scarso. Il regista sembrava muoversi in un’altra dimensione, attratto da problemi che non coincidevano con le esigenze materialistiche di costruzione del socialismo. Egli era convinto del contrario e proseguì sulla sua strada. Rimase isolato, anche quando - alla fine della sua vita - tentò con il discusso Micurin (1949) di accostarsi alle forme più rigide, e ottimistiche, del “realismo socialista”. |
Autore critica: | Fernaldo Di Giammatteo |
Fonte critica: | 100 film da salvare, Mondadori |
Data critica:
| 1978
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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