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Ladro (Il) - Vor

Regia:Pavel Chukhraj
Vietato:No
Video:Video Club Luce
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Disagio giovanile, Giovani in famiglia
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Pavel Chukhraj
Sceneggiatura:Pavel Chukhraj
Fotografia:Vladimir Klimov
Musiche:Vladimir Dashkevich
Montaggio:Marina Dobryanskaja, Natalia Kucherenko
Scenografia:Viktor Petrov
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Juris Belyaev (Sanja a 18 anni), Dima Chigarev (Sanja a 12 anni), Vladimir Mashkov (Tolyan), Misha Philipchuk (Sanja a 6 anni), Ekaterina Rednikova (Katja), Lidia Savcenko (Baba Tania)
Produzione:Ntv - Profit - Moskwa - Producrtoins Le Pont Roissy Film
Distribuzione:Istituto Luce
Origine:Russia
Anno:1997
Durata:

97'

Trama:

Sanja nasce nel 1946 nella povera campagna sovietica. Sei anni dopo, nel 1952, Katja, la giovane mamma, e Sanja sono su un treno che attraversa la Russia ancora intenta a risollevarsi dalle macerie della guerra mondiale. Ad una delle stazioni sale sul treno un giovane in uniforme. Si chiama Tolyan e tra lui e Katja nasce un'immediata, reciproca attrazione. Tutti e tre scendono dal treno in una piccola città di provincia, dove affittano una stanza in un affollato appartamento comunale. Katja, Sanja e Tolyan cominciano a vivere come una vera famiglia. Tolyan vorrebbe sentirsi chiamare papà ma il ragazzino non ci riesce, anche se sente molto il fascino per l'uomo che è la sua prima figura maschile di riferimento. Da lui Sanja apprende le prime regole di vita e prova per lui un sentimento misto di amore e odio. Un giorno Tolyan accompagna al circo tutti i coinquilini, abbandonandoli poi con una scusa. Katja lo segue e lo scopre mentre ruba nell'appartamento vuoto. Tolyan non è un soldato ma un ladro. Katja però non vuole abbandonarlo, fuggono tutti insieme, in altre città l'operazione di furto si ripete ed anche Sanja è coinvolta. Una volta vengono scoperti, Katya decide di partire ma, alla stazione, Tolyan viene arrestato. Poco dopo Katja e Sanja guardano i prigionieri che vengono portati via. Sanja corre verso Toljan e gli grida: 'Papà!'. In seguito Katja muore a causa di un brutto aborto e Sanja finisce in orfanotrofio. Passano quattro anni e Sanja, dodicenne, si imbatte per caso in Tolyan, vagabondo sporco e ubriaco. Tolyan finge di non riconoscere il ragazzo e ironizza sulla figura di Katja. Ferito e addolorato, Sanja prende una pistola e lo uccide.

Critica 1:(...) Classe 1946, Pavel Chuchraj aveva 6 anni nel'52, come Sanja. Essendo figlio di un grande regista (il Grigorij del Quarantunesimo e della Ballata del soldato), ha avuto sicuramente un'infanzia meno travagliata, ma in questo notevole Ladro compone una sorta di autobiografia ideale, generazionale. Il film è secco, tosto, e il taglio del finale eccessivamente didascalico gli ha giovato. Candidato all'Oscar per il film straniero, avrebbe meritato di vincerlo, proprio come Il prigioniero del Caucaso di Bodrov l'anno prima. C'è vita su Marte, pardon, a Mosca: il cinema russo dà piccoli ma importanti segnali di rinascita. E ci sono sempre grandi attori: Vladimir Maskov è prestante e giustamente antipatico, Ekaterina Rednikova è graziosissima, Misha Pilipcuk é degno del prodigioso Andrej Chalimon di Kolya: ma dove li trovano, i russi, bambini così.
Autore critica:Alberto Crespi
Fonte critical'Unità
Data critica:

10/4/1998

Critica 2:Vedo che da Venezia, lo scorso settembre, quando è stato presentato il bel film di Pavel Chukhrai, Il ladro, premiato con la Medaglia d'oro della presidenza del Senato oltre che il cuore di molti degli spettatori (aspettate a vederne il giovane interprete e capirete perché), scrivevo: "Non che Il ladro sia un film ben costruito. Comincia come una commedia nella Russia del 1952, finisce come un apologo sullo sfondo delle tragedie seguite al crollo dell'Unione Sovietica". Be', quel finale - che mostrava il piccolo protagonista quarant'anni dopo, diventato un militare severo e solitario alle prese con l'inarrestabile tragedia della guerra cecena - è stato tolto, assieme a molte altre cose, nel drastico rimontaggio che Chukhrai ha fatto del suo film su richiesta, pare, dei produttori francesi. E a questo punto (pur continuando a pensare che si trattava di un finale squilibrato) lo rimpiango: perché quello squarcio sul presente dava alla storia della travagliata crescita del piccolo Sanya una profondità e una malinconia ulteriore, superiore persino a quella del finale di oggi: metafora del desiderio della Russia di liberarsi dalla disonesta fascinazione staliniana? In ogni caso in Russia (così come agli Oscar, dove è stato candidato come miglior film straniero), il film di Chukhrai è stato visto nella versione originale, in Occidente in quella rimontata. Ma nonostante tutti gli squilibri e i tagli, la disordinata e povera Unione Sovietica dei primi anni 50 esce con tenerezza, humour e poesia dal quadro disegnato da Chukhrai. (...) Privato del finale contemporaneo, il film più che il racconto "morale" visto a Venezia, diventa così la storia prima picaresca e poi tragica di una difficile infanzia nell'Urss sedotta dal piccolo padre Stalin, e una dura metafora politica. Ma è il duetto tra il seducente imbroglione Talyan e il ragazzino il vero cuore del film. Del grande si è detto. Il piccolo, Misha Philipchuk, è semplicemente fantastico, come il suo personaggio: tenero, buffo, tosto, bravissimo. (…)
Autore critica:Irene Bignardi
Fonte critica:la Repubblica
Data critica:

8/4/1998

Critica 3:Di padri rifiutati e di figli dimenticati, di questo racconta Pavel Cuchraj. Alla fine di Il ladro (Vor, Russia 1997), la solitudine di Sanja non ha rimedio. Del padre vero non gli resta nemmeno l'immagine fantasticata, l'illusione della memoria. Quanto a Toljan, padre sostitutivo, un colpo di pistola alla schiena è il solo gesto che ne misuri le colpe. Se il termine, per quanto corretto, non fosse tanto goffo, verrebbe da dire che il film dà conto d'una "orfanità" radicale. Sanja, appunto, si scopre profondamente, tragicamente orfano. Di tale condizione si nutre ora la sua storia. Cuchraj, nato il 14 ottobre del '46 - nello stesso anno del suo personaggio -, è figlio di Grigorij, uno dei registi un tempo detti del disgelo, autore fra l'altro di La ballata di un soldato (1959). Nei giorni brevi d'una licenza, poco prima di morire al fronte, Alioscia - così si chiamava il soldato - s'era innamorato di Sura. In fondo, la sua era stata quasi la stessa stoffa del padre di Sanja con Katja. Naturalmente, si tratta solo d'una suggestione, d'un pretesto per mettere un po' più a fuoco il fantasma - l'immagina fantasticata - che accompagna nei primi anni la solitudine di Sanja. Ha combattuto contro l'invasione nazista, l'Alioscia d'un tempo, ed è morto insieme con altri milioni di figli (la loro assenza nelle case del dopoguerra è ricordata, esplicitamente e dolorosamente, in un passaggio di Il ladro). Proprio per questo è stato a sua volta padre in senso forte, ossia padre simbolico e "fondativo" di un'identità nazionale, di un'appartenenza politica e psicologica. Che ora la sua memoria svanisca, che non si conservi più nemmeno come rimpianto, sembra così assumere un significato anch'esso in qualche modo simbolico, legato alla fondazione, alla giustificazione o al rifiuto di un'appartenenza e di un'identità. In Il ladro non c'è solo la storia individuale d'un figlio senza padre, infatti, ma anche quella d'una generazione che si scopre improvvisamente orfana. Alla fine, la storia individuale non è che quella generale raccontata per metafora. La metafora, appunto, è anche troppo evidente in sceneggiatura. Insieme con una propensione insistita alla spettacolarità, è questo il difetto maggiore di Il ladro. Basti ricordare il volto di Stalin che Toljan porta con orgoglio tatuato sul petto, all'altezza del cuore. Cuchraj si sarebbe potuto limitare a inquadrarlo come per caso, quando l'uomo si apre la camicia. Invece, preoccupato d'essere "evidente", gli mette in bocca un lungo discorso. Si tratta, ancora una volta, d'un profondo rapporto padre-figlio: Stalin, racconta Toljan a Sanja, è mio padre... E intende padre in senso pieno, letterale. Ovviamente, la sua è una menzogna, una favola inventata per impressionare il bambino. Eppure, dietro la menzogna e la favola - e dietro la banalità di parole cinematograficamente inutili e, perciò, dannose - c'è una verità simbolica e fondativa. Anche Toljan insegue un fantasma paterno. Come Alioscia, anche lui è un "figlio" mandato a rischiare la vita contro i nazisti. Diversamente da Alioscia, tuttavia, Toljan é sopravvissuto. Quello che, al suo ritorno, si trova di fronte è l'immensità d'un Paese sconvolto dalla guerra, nel quale l'illusione consolante della memoria (la paternità e l'appartenenza delegate a un disegno tatuato sul cuore) contrasta caldamente con la fatica quotidiana di stare al mondo. C'è comunque, nel suo modo di campar la vita - un vitalismo che Cuchraj non condanna, o che almeno non condanna del tutto. Il bambino. ha bisogno d'un padre, di un'immagine da sostituire a quella sempre più debole del padre vero. Potrebbe dunque surrogarne la figura lontana con quella, vicina e affascinante, di Toljan. In fondo, si tratterebbe solo di sostituire il primo fantasma con il secondo, la prima illusione con la seconda. E nella descrizione di questa sostituzione di paternità graduale e contraddittoria, segnata sia da rancori violenti sia da speranze, la parte migliore di Il ladro. In essa Cuchraj evita tanto la spettacolarità patinata quanto il vizio del didascalismo, dando credibilità e commozione alla storia individuale di Sanja e insieme facendone la metafora credibile di una "orfanità" ben più generale. Alla fine, che cosa rimprovera Sanja a Toljan? Non che sia un ladro e un mentitore, ma che abbia dimenticato. Questo è il vero, profondo tradimento di Toljan, quello per cui il figlio mancato gli spara con la sua stessa pistola, conservata a lungo con un piccolo ritratto del "padre" Stalin. Così, alle sue spalle di dodicenne che la vita ha fatto crescere troppo in fretta, si mostra un vuoto che sembra risalire fino all'Alioscia d'un tempo, ai milioni di Alioscia dimenticati e traditi sia come figli sia come padri. Di tale condizione, del tutto vuota di memoria e d'illusione, è costretta ora a nutrirsi la sua stoffa.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Sole 24 Ore
Data critica:

19/4/1998

Libro da cui e' stato tratto il film
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