Cane giallo della Mongolia (Il) - Hohle des gelben Hundes (Die
Regia: | Byambasuren Davaa |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | 01 |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Infanzia di ogni colore, Natura e ambiente |
Eta' consigliata: | Scuole elementari |
Soggetto: | |
Sceneggiatura: | Byambasuren Davaa |
Fotografia: | Daniel Schonauer |
Musiche: | Borte |
Montaggio: | Sarah Clara Weber |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Batchuluun Urjindorj (padre), Buyandulam Daramdadi (madre), Babbayar Batchuluun (figlio), Nansal Batchuluun (figlia maggiore), Nansalmaa Batchuluun (figlia minore) |
Produzione: | Schesch Filmproduktion |
Distribuzione: | Bim |
Origine: | Germania |
Anno: | 2005 |
Durata:
| 93’
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Trama:
| Nansal, 6 anni, è la figlia maggiore di una famiglia nomade della Mongolia. Quando trova un cagnolino in una grotta, la bambina gli si affeziona immediatamente e desidera tenerlo contro il volere del padre – preoccupato che il cane attragga i lupi vicino al gregge di pecore. Cambiano le stagioni, e per la famiglia arriva il momento di trasferirsi: il padre costringe Nansal ad abbandonare il cane dietro di sé, ma l'animale si riscatta salvando il figlioletto minore dall'attacco di un branco di famelici avvoltoi. Il cane Macchia ha finalmente trovato una famiglia.
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Critica 1: | Per ore la piccola Nansal (Batchuluun Nansal) ha cercato il suo Macchia. Rincorrendo chissà quali pensieri meravigliosi, il cucciolo s'è perduto nella steppa in mezzo a cui sta la iurta dei Batchuluun. Sul suo cavallo, lei ne ha corso il verde senza fine dell'erba. Poi, coraggiosa. è salita fin sull'orlo d'un precipizio. temendo che Macchia vi sia caduto. Alla fine lo ha ritrovato, addormentato e salvo. Intanto, il buio è sceso sull'altipiano. Nansal ha perso di vista la cima della montagna, per quanto quella stessa mattina sua madre Daramdadi (Buyandulam Daramdadi) le abbia raccomandato di non farlo mai, per non smarrire la via. Ora però, insieme con il suo cane. è al sicuro nella iurta d'una vecchia signora che, amorosa e sapiente, le racconta il cuore stesso della vita: un cuore cui è dedicato fin dalle prime immagini Il cane giallo della Mongolia (Die Höhle des gelben Hundes, Mongolia e Germania, 2005, 93').
La donna prende dunque un grosso ago e lo tiene a punta in su. Poi, con l'altra mano afferra un pugno di riso e glielo lascia cadere pian piano sopra. Quante probabilità ci sono che un chicco resti infilzato e fermo sulla sua punta? Nessuna, risponde attenta e svelta Nansal. Ebbene, continua l'altra, difficilissimo è anche che lo scorrere della vita "prenda corpo" in un essere umano. E questo suggerisce quanto valgano ogni singolo uomo e ogni singola donna, affidati come sono al fluire improbabile del caso.
Ben dentro questo fluire, Byambasuren Davaa racconta il suo secondo film, dopo La storia del cammello che piange (2003). Come la loro iurta sta in mezzo alla steppa, così Nansal e i suoi stanno in mezzo alla vita. Ci stanno con la leggerezza dei loro gesti quotidiani. La semplicità delle immagini, delle parole, dei desideri di Il cane giallo della Mongolia ètutt'altro che superficialità. I Batchuluun – oltre a Nansal e alla madre, anche il padre (Urjindori), la piccola Nansalmaa e il fratellino di pochi mesi Bahbayar –, i Batchuluun, dunque, non sono quel che resta d'un mondo idilliaco, d'un mondo appunto naturale e fuori della Storia. Sono invece testimoni e portatori d'una cultura grande e antica, e proprio d'una Storia grande e antica.
Nel loro mondo, la vita è intera. Ossia, non ci sono fratture e crudeli gerarchie di valore fra gli esseri che "scorrono" nel tempo, come i chicchi di riso fra le dita della vecchia signora che accoglie Nansal nella stia iurta. Gli uomini e le donne sono certo casi improbabili di questo scorrere, e dunque meritano attenzione e rispetto, come tutto ciò che è raro e irripetibile. Ma lo merita anche un cane, e non solo perché in un passato lontano può essere stato un essere umano, o perché lo sarà magari in un altrettanto lontano futuro. In lui, già per quello che è, c'è tutta la vita, nella sua splendente interezza.
È questo splendore che Byambasuren coglie nella trasparenza dei colori in cui vive la steppa. Ed è questo splendore che, soprattutto, vediamo negli occhi di Nansal, aperti e curiosi. La madre le racconta che i bambini pare ricordino ancora qualcosa delle loro esistenze precedenti. E questo le fa nascere continue domande interiori. Forse, pensa, è la sua storia di prima che la sorella più piccola tenta di raccontare. con le sue parole incerte. E forse qualcosa di simile vale anche per il suo Macchia, trovato in una grotta, un po' cane e – così teme il padre – un po' lupo.
In ogni caso, se lo stringe addosso, quel cucciolo che le somiglia tanto, al pari di lei teneramente vivo. E lo accudisce, lo accarezza, lo protegge. come le mani della vecchia signora faranno poi con lei. Byambasuren inquadra da vicino quelle mani premurose. Le mostra nella felicità solerte e gentile del prendersi cura: tanto accorte quanto a loro è consentito dalla sapienza degli anni, e tanto affettuose quanto a loro è suggerito dallo stupore della vita che, improbabile e meravigliosa, in Nansal torna e si rinnova.
Presi dal mestiere quotidiano di campare, Urjindori e Daramdadi – il padre e la madre – non sempre avvertono la grandezza e la gioia dei fluire dell'esistenza. Per la seconda un mestolo può valere di più delle domande di Nansal. Per il primo conta il timore che i lupi arrivino in cerca di Macchia, e che il suo gregge sia in pericolo. Per quanto splendente e intera, la vita degli uomini e delle dorme deve rendere conto alla durezza della necessità,. nei compito di stare al mondo. Ma poi basterà loro la paura di perdere un figlio, per ritrovare il gusto d'essere in mezzo alla vita. Urjindori si stringerà addosso il piccolo Babbayar, e affonderà il proprio viso in lui, aspirandone il profumo. A quel punto starà anche lui nel cuore del mondo, tenero e aperto quanto la sua Nansal. |
Autore critica: | Roberto Escobar |
Fonte critica | Il Sole – 24 Ore |
Data critica:
| 14/5/2006
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Critica 2: | Un uomo e una bimba, le cui silhouette alla luce del tramonto si stagliano fra terra e cielo, eseguono il triste rituale di dare sepoltura a un cane. «Papa, perché gli metti la coda sotto la testa?» chiede la piccola. «Così rinasce uomo con la treccia e non cane con la coda,. «Rinasce?» «Tutti muoiono, ma in realtà non muore nessuno» spiega il padre. Inizia così Il cane giallo della Mongolia di Byambasuren Davan, la trentacinquenne regista che nel 2004 aveva incantato le platee internazionali con La storia del cammello che piange; ed è un incipit che dà subito conto di una concezione della vita impregnata di spiritualità buddista.
Invece che nel meridionale deserto del Gobi, il nuovo fIlm è ambientato nel nordovest dello sconfinato paese incuneato fra la Russia e la Cina. Ovvero nella zona da cui proviene la famiglia materna della cineasta, nata nella capitale Ulan Bator ma allevata da una nonna che le ha trasmesso l'amore per la cultura d'origine.
Se il titolo si riferisce a una leggenda, il film si ispira a un racconto di Ganthuya Langhva, dove si narra di un cucciolo di cane adottato da una bambina e abbandonato per volere del di lei padre, ma... L'esile spunto serve da viatico per introdurre lo spettatore nella quotidianità di una vera famigliola di pastori nomadi – i genitori, due sorelline e un fratellino – che trascorrono l'estate accampati con il gregge in un paesaggio montano di remota bellezza. Pur studiando in città, la figlia maggiore Nansa di anni sette, a quei ritmi arcaici si intona completamente a suo agio. Cavalca, è già in grado di portare le capre al pascolo da sola e suo legame con il cagnolino trovatello Macchia è significativo di un armonico rapporto con la natura di cui il delizioso film ci fa sentire nostalgici. Abile a mantenersi in equilibrio fra documentario e fiction, sul modello del grande Flaherty, la Davan è attenta a non cadere nel lezioso mentre salva la memoria di un piccolo mondo antico insidiato (o addirittura condannato?) dagli stravolgimenti climatici e dalla modernità. |
Autore critica: | Alessandra Levantesi |
Fonte critica: | La Stampa |
Data critica:
| 28/4/2006
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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