Hotel Meina -
Regia: | Carlo Lizzani |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | Cecchi Gori |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La guerra, La memoria del XX secolo, Razzismo e antirazzismo |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | tratto da romanzo omonimo di Marco Nozza |
Sceneggiatura: | Pasquale Squitieri, Dino Gentili, Filippo Gentili |
Fotografia: | Claudio Sabatini |
Musiche: | Luis Enríquez Bacalov |
Montaggio: | Massimo Quaglia |
Scenografia: | Tonino Zera, Massimo Quaglia |
Costumi: | Catia Dottori |
Effetti: | Roberto Ricci |
Interpreti: | Benjamin Sadler (Hans Krassler), Ursula Buschhorn (Cora Bern), Federico Costantini (Julien Fendez), Ivana Lotito (Noa Benar), Nando Murolo (Dino Fendez), Adriano Wajskol (Daniele Modi), Federico Pacifici (Alberto Moneri), Ralph Palka (Otto Spitz), Thierry Toscan (Federic), Nuccio Siano (Maurizio Scimena), Silvia Cohen (Liliana Fendez), Simone Colombari (Pierre Fendez), Marta Bifano (Camy Benar), Danilo Nigrelli (Giorgio Benar), Marco Fubini (Marcus) |
Produzione: | Ida Di Benedetto per Titania Produzioni in collaborazione con Rai Cinema |
Distribuzione: | Mikado |
Origine: | Italia |
Anno: | 2007 |
Durata:
| 110’
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Trama:
| Il film è basato su fatti realmente accaduti, raccontati nell’omonimo libro di Marco Nozza. Lago Maggiore, settembre 1943. Un gruppo di 16 ebrei italiani, provenienti dalla Grecia, sono ospiti dell’Hotel Meina di proprietà di Giorgio Benar, ebreo anche lui ma con passaporto turco e quindi cittadino di un paese neutrale. In seguito all’8 settembre, giorno dell’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, un reparto di SS capitanato dal comandante Krassler giunge a Meina. Due giovani, Noa Benar e Julien Fendez, sono strappati al loro amore dal brutale irrompere del drappello nazista. All’inizio non è chiaro quali siano gli ordini. Gli ebrei vengono reclusi nell’Hotel e inizia una settimana di attesa, terrore e speranza. È una strana convivenza tra ebrei, ospiti dell’albergo non ebrei e SS. Si discute sulle possibilità di fuga, mentre gli stessi tedeschi attendono ordini. Forse anche per loro si sta avvicinando la fine della guerra. Ma poi inizia l’escalation verso la strage. Le SS prelevano gli ebrei a piccoli gruppi e li traducono fuori dall’albergo per interrogarli – dicono – al Comando della vicina città di Baveno. In realtà li massacrano e poi li gettano nel lago. E risulta vano anche il tentativo di salvarli fatto da Cora, una tedesca antinazista collegata ad una Rete che opera tra Svizzera e Italia. Gli ultimi a finire falciati dalle pallottole naziste sono proprio Julien Fendez, i suoi due fratellini e il nonno. Noa riesce a fuggire col padre, la madre e il fratellino verso la Svizzera, dopo che è perduta ogni possibilità di salvarli.
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Critica 1: | Del vecchio Hotel Meina oggi non rimane che uno scheletro di cemento e mattoni. Ma le rive del Lago Maggiore sono generose di antiche dimore affacciate sull’acqua. E non è stato difficile per Carlo Lizzani fermarsi a Baveno, scegliere sale e cantine dell’Hotel Lido spogliate di ogni argento e paramento di lusso e ricostruire qui una pagina di storia mai portata sul piccolo e grande schermo. Sul film che getta luce sul primo eccidio di ebrei avvenuto in Italia, 54 persone uccise dai nazisti a ridosso dell’armistizio, di cui 16 a Meina, nell’omonimo albergo, pesa ora anche la tristezza del caso sollevato di recente da chi quei giorni li visse in prima persona. La signora Becky Behar, allora tredicenne, non si riconosce nella sceneggiatura firmata da Dino e Filippo Gentili con Pasquale Squitieri, ma il maestro Lizzani, da ieri sul set, è positivo e tranquillo: «Questo film – dice – è anche il mio contributo nella lotta contro l’antisemitismo. Sono a mio agio, mi sono sempre occupato di storia e di cronaca. E non è la prima volta che affronto una cornice di polemica. Una sceneggiatura è come una partitura musicale. Va giudicata a opera finita. E alla Behar va tutto il mio rispetto per le ferite atroci che porta nell’anima».
Ed è puro caso, ma nel primo giorno di riprese si comincia dalla fine di quella tragica vicenda e si gira nelle cantine la fuga verso il confine svizzero della famiglia Behar, Benar nel film, ebrei di origine turca e gestori dell’Hotel Meina dove nel settembre 1943 per alcuni giorni si trovarono a convivere un gruppo di ebrei benestanti, alcuni villeggianti italiani e tedeschi e una formazione di SS. Papà Giorgio Benar (interpretato da Danilo Nigrelli) nel primo ciak controlla un passaggio segreto. Sposta un attaccapanni in un ripostiglio e scopre una rampa di scale che scende verso le cantine. Di qui farà passare la moglie Camy (Marta Bifano) e i piccoli Noa (Ivana Lotito nel ruolo di Becky Behar) e Marcel (Fabio Marchese) riuscendo così a mettere in salvo tutta la famiglia. «Il loro senso di colpa è enorme, se ne vanno lasciando degli amici innocenti e senza sapere quale destino li attenda», sottolinea Marta Bifano.
Un film corale, Hotel Meina, dove gli attori, quasi tutti di estrazione teatrale, sono volti poco conosciuti al grande pubblico «per dare ancor più un tono di verità a quegli eventi», spiega Carlo Lizzani. «L’Hotel Meina – prosegue il regista – da teatro di una grande tragedia, vuole rappresentare un luogo al di là della cronaca, un luogo dove è passata tutta la storia di un’epoca».
È vero, nel film sono stati aggiunti momenti d’amore che nella realtà non trovano riscontro in quei giorni drammatici dove gli ebrei uccisi vennero gettati nel Lago Maggiore con i corpi trafitti dalle baionette affinché restassero sul fondo. «Ma talvolta è un “tradimento” obbligato – dice Ida Di Benedetto, produttrice del film per la Titania, in collaborazione con Rai Cinema e il contributo di Film Commission Torino Piemonte. Anche nei titoli di coda viene sottolineato come Hotel Meina sia liberamente tratto dall’omonimo saggio di Marco Nozza, con l’aggiunta che alcuni personaggi sono di fantasia. Rientra nel lavoro creativo filtrare la realtà e renderla maggiormente incisiva per il cinema».
Così come possono esserci personaggi che la storia ci rimanda «incompiuti», dice ancora la Di Benedetto, e che «il regista definisce e completa»: è il caso della donna tedesca collegata a un gruppo di esiliati di varie nazionalità che viene a trovarsi per caso a Meina, scopre la tragedia, cerca di salvare più vite possibili dalla furia nazista. Cora, interpretata dall’attrice tedesca Ursula Bushhorn, subirà anche le avances del comandante delle SS Krassler (Benjamin Sadler, che vedremo presto in Caravaggio), ma tutto questo è pura finzione cinematografica. Struggente, delicato, appena abbozzato è poi il sentimento che lega la giovanissima Behar a un diciottenne sfollato nell’albergo (Federico Costantini) e che perderà la vita.
Il film si apre su una giornata di sole in riva al lago: i turisti dell’Hotel Meina sono in spiaggia, ridono, ascoltano alla radio Badoglio, non sanno che le SS della corazzata Leibstandarte Adolf Hitler di lì a poco cominceranno a separare ebrei da non ebrei, uomini da donne e bambini. Sedici di loro, nell’ultima sequenza del film, galleggeranno morti in quelle stesse acque. |
Autore critica: | Claudia Ferrero |
Fonte critica | La Stampa |
Data critica:
| 27/2/2007
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Critica 2: | Hotel, luogo di transito, location per commedie romantiche e sofisticate, in Hotel Meina di Carlo Lizzani diventa una metafora del passaggio brutale della storia. È la trasposizione cinematografica a far prendere le distanze dal materiale storico, dai fatti realmente avvenuti, poi diventati romanzo di Marco Nozza («Hotel Meina, la prima strage degli ebrei in Italia» con prefazione di Giorgio Bocca, il Saggiatore): e nell'epilogo del film si dice che nel '68 i cinque responsabili della strage furono condannati sentenze poi tutte annullate dal tribunale di Berlino nel '70, per prescrizione. La stilizzazione di tutti gli eventi è come una interessante lezione di cinema sulla rappresentazione di nazisti ed ebrei sullo schermo, Lizzani che ha cominciato a raccogliere film (è stato uno dei fondatori della cineteca di Milano) e a farlo proprio in quegli anni, anche come assistente di Rossellini in Germania anno zero, è come se tenesse bene stretto in pugno il materiale del racconto, di cui compie ardite sintesi di pochi secondi per concetti su cui si sono spese intere biblioteche. Descrive l'ideologia nazista in una sola scena con movimento di camera: mostra il capitano amante dell'arte, dei bambini e al primo accordo delle Valchirie riscritte da Bacalov, con le montagne sullo sfondo (a evocare una certa atmosfera da heimat) parla della grandezza della sua missione. O l'incredulità rispetto alle voci di deportazioni. O l'organizzazione clandestina che sta preparando l'Europa a venire. Su questo momento chiave si inserisce il personaggio della giovane tedesca appartenente alla resistenza, personaggio voluto da Lizzani, quasi in linea con certo cinema tedesco degli ultimi anni in cui si mettono in scena i tedeschi oppositori del nazismo (vedi La rosa bianca), un elemento di unione piuttosto che di divisione, di prospettiva comune, un modo per non lasciare alla lingua tedesca il solo marchio del nemico (è anche la lingua dei filosofi e dei poeti, ma al cinema è solo dei nazisti). Così con consumata abilità il racconto da disteso e raffinato film di vacanze, con una sola scena vira verso la soluzione finale, quando tutti gli ebrei dell'elenco degli ospiti dell'hotel sono raccolti in una stanza, parte per il tutto di un campo di concentramento, con le paure, i tentativi più che di trovare una via di fuga, di trovare una spiegazione logica a eventi poco comprensibili. Certo si era sentito parlare di Salonicco, ma l'Italia non è certo la Grecia... E della soluzione finale si avrà la messa in scena sintetica e silenziosa, di notte, nelle acque del lago Maggiore. Scrive Giorgio Bocca che neppure gli abitanti, ebrei e no, che vivevano sulle rive del lago ne seppero niente. |
Autore critica: | Silvana Silvestri |
Fonte critica: | Il Manifesto |
Data critica:
| 25/1/2008
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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