RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
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Io non ho paura -

Regia:Gabriele Salvatores
Vietato:No
Video:Medusa
DVD:Medusa
Genere:Drammatico
Tipologia:I bambini ci guardano
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Io non ho paura" di Niccolò Ammaniti
Sceneggiatura:Niccolò Ammaniti, Francesca Marciano
Fotografia:Italo Petriccione
Musiche:Ezio Bosso
Montaggio:Massimo Fiocchi
Scenografia:Giancarlo Basili
Costumi:Patrizia Chericoni, Florence Emir
Effetti:
Interpreti:Giuseppe Cristiano (Michele), Mattia Di Pierro (Filippo), Diego Abatantuono (Sergio), Dino Abbrescia (Pino), Aitana Sánchez-Gijón (Anna)
Produzione:Maurizio Totti, Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz
Distribuzione:Medusa
Origine:Italia - Spagna - Gran Bretagna
Anno:2003
Durata:

108'

Trama:

Estate del 1978, l'estate più calda del secolo. Di giorno, il piccolo paesino di Acque Traverse sembra abbandonato. Da tempo le scuole sono chiuse per le vacanze e gli adulti, per evitare l'afa, preferiscono restare chiusi in casa. Solo un piccolo gruppo di ragazzini si aggira fra le case e le campagne. Durante una di queste sortite il piccolo Michele, nove anni, fa una scoperta sconvolgente: gli adulti del paese tengono un suo coetaneo segretato nel pozzo di un casale abbandonato. Il piccolo non comprende i misteri di questa strana vicenda dove, fra le altre cose, sembrano essere coinvolti anche i suoi genitori. Una storia i cui risvolti cambieranno per sempre la sua esistenza.

Critica 1:Una storia di orchi: un omaccione in mutande e canottiera che occupa imponente il bagno di casa e tiene una pistola nella valigia, un altro più mingherlino e incattivito che si chiama il Teschio e, anche lui in mutande, canottiera e stivaletti anfibi, balla e canticchia Parole, parole di Mina e Alberto Lupo in mezzo alla campagna, un guardiano di porci che sembra uscito da un incubo e ha ormai la stessa faccia degli animali che sorveglia. Persino il proprio padre, tanto atteso e giocoso e generoso, può diventare l'orco che divora. Sospeso tra il sole accecante di un'estate meridionale riflessa sul grano e l'oscurità fonda di un buco scavato nella terra e coperto da una lamiera, Io non ho paura, il film che Gabriele Salvatores ha tratto dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti (che l'ha sceneggiato, con Francesca Marciano), ha l'andamento pigro e casuale e poi pauroso e "predestinato" di una fiaba. Nel mezzo dell'estate, un bambino bruno che ha poco da fare se non giocare randagio con gli amici scopre in fondo a un buco un altro bambino, biondo, tenuto alla catena, affamato, sporco, ormai quasi incapace di vedere. Si chiamano Michele e Filippo, hanno la stessa età e sanno tutti e due che l'unica maniera per sopravvivere alle loro paure é affidarsi all'immaginazione, agli orsetti lavatori, agli angeli custodi, alle storie che ci si racconta nel buio e alle filastrocche con le quali attraversare le strade invase dalla notte. Ma gli esorcismi che tengono indietro i mostri misteriosi dell'infanzia non proteggono invece dagli orchi veri, quelli più pericolosi, i grandi. Il viaggio di Michele e Filippo é quello alla scoperta della brutalità del mondo reale, nascosta dietro le fattezze e i luoghi più familiari. Un viaggio che, prima o poi, arriva in ogni infanzia. Io non ho paura vede con i loro occhi, sente con le loro sensibilità, capisce al volo, come tutti i bambini capiscono, molto di più di quanto i grandi non credano. Ha la loro lealtà, la loro fragilità (un grande segreto in cambio di una macchinina, lo stesso segreto in cambio di una vera lezione di guida),la loro incosciente generosità. Il grande merito di Salvatores è di aver fatto un film esattamente.ad altezza di bambino, di aver lasciato ai grandi (tutti i grandi) lo spazio che si meritano: orchi appunto, minacciosi, o stupidi, o, sempre vigliacchi. Mentre i bambini cosa sia la vigliaccheria non l'hanno ancora imparato.
Autore critica:Emanuela Martini
Fonte criticaFilm TV
Data critica:

18/3/2003

Critica 2:Di solito il cinema non racconta i bambini, li usa (a Hollywood diventano perfino orrende baby- star) per fare piangere o ridere. E di solito quando un regista adatta un romanzo per lo schermo rischia di tradirlo troppo, snaturandolo, o troppo poco, limitandosi a una piatta illustrazione. Invece Gabriele Salvatores è riuscito a fare un film sui bambini, con la sensibilità di un Comencini o di un Truffaut, e a tradurre in immagini il bel romanzo di Niccolò Ammaniti, senza tradirlo, ma facendolo diventare puro cinema, dinamico e profondo. Io non ho paura rispetta infatti il romanzo a partire dalla prima inquadratura, con Michele (Giuseppe Cristiano), il protagonista di dieci anni che vive in una misera e remota frazione nell'entroterra pugliese (siamo negli anni '70), che corre fra il grano per raggiungere la vetta di un colle. Persa la gara con gli amici e costretto a una pericolosa penitenza, il bambino troverà per caso il coetaneo Filippo (Mattia Di Pierro) imprigionato in un freddo buco sotterraneo, un'incredibile drammatica scoperta che cambierà la sua vita e il suo rapporto col mondo degli adulti. Non entriamo nei dettagli perché Io non ho paura è un film che va scoperto scena per scena, visto che una delle sue anime è thriller, a metà via fra aspro verismo e certe storie d'orrore, molto terrene e senza mostri, del miglior Stephen King (Stand by me). Preferiamo piuttosto sottolineare il buon lavoro di sceneggiatura che Ammaniti (in coppia con Francesca Marciano) ha fatto sul suo materiale originale, eliminando ad esempio, questa la variante più evidente, l'origine ricca e borghese di Salvatore (Stefano Biase), l'amico più caro di Michele. Una scelta, come quella di ridurre la presenza del personaggio di Melichetti (basta una scena a evidenziare la sua inquietante animalità), che permette a Salvatores, dopo la creatività sperimentale dimostrata nell'interessante (ma sfortunato) Denti, di concentrarsi su uno stile di regia secco, netto ed essenziale. L'intero film, infatti - dalla fotografia di Italo Petriccione, che alterna oro/grano e nero/notte alla scenografia "povera" e naturale di GianCarlo Basili - è tutto giocato su una perfetta alternanza di contrasti, di mondi e spazi contrapposti: il Sud, nei cui colori stordenti è immersa la storia, e il Nord evocato per contrasto (le parole incomprensibili - "orsetti lavatori" - di Filippo, il dialetto milanese di Sergio/Diego Abatantuono); l'alto (la vastità, il perdersi, la libertà infantile dei giochi) contro il basso (le riprese a livello bambino, che marcano l'estraneità e l'inquietudine crescenti), che poi si specchia nel rapporto, attraverso la buca, fra Michele e Filippo; i pieni claustrofobici (la casa, il buco, la grotta) contro i vuoti da vertigine (il campo, la desolazione). Infine il linguaggio, elemento estremo di separazione: quello degli adulti è come un puzzle impossibile da decifrare («non riesco a capire, dice Michele al padre, quando scopre l'orrendo piano concepito dagli adulti), quello dei bambini continua invece a sovrapporre caparbiamente l'immaginario al reale (l'uomo lucertola inventato da Michele per affrontare la penitenza, la litania scaramantica quando pedala nel buio, l'incomprensibile prigionia che diventa morte per Filippo) proprio per superare la paura e per trovare un proprio codice morale di comportamento. Oltre a dimostrare di saper usare l'immagine per trasformare simboli, etica e nostalgia in concretezza narrativa e in ritmo coinvolgente (Io non ho paura è un film che prende e avvolge, fino al colpo di scena finale), Salvatores è stato molto bravo nella scelta e nella direzione dei suoi attori (e non attori). Cristiano, dai grandi occhi espressivi, ha la giusta introversione e una convincente purezza, Di Pierro una perfetta e indifesa angelicità; il padre Dino Abbrescia le necessarie ruvidità e impotenza e la madre Aitana Sànchez-Gijon la giusta dolente bellezza. Ma forse la vera sorpresa è Abatantuono, carogna fino all'ultima battuta, che, con raffinata misura, va a pescare il suo lombardo cattivo con stecchino fra i denti direttamente dal bar del Giambellino.
Autore critica:Stefano Lusardi
Fonte critica:Ciak
Data critica:

28/2/2003

Critica 3:In una torrida estate del 1978, un gruppo di ragazzini, corrono in cerca di giochi attraverso i campi di grano. Vengono dal piccolo borgo di Acque Traverse, un agglomerato di quattro case, erose dal caldo estivo. La scuola è chiusa e gli adulti oziano rinchiusi in casa, spossati dall’afa. Michele, uno dei bambini, durante una delle fughe all’aperto, scopre una buca nel terreno. Nel buio che proviene dalla pancia della terra, Michele intravede un piede umano e scappa. Il giorno dopo, però, torna a guardare; nella buca trova Filippo, un bambino, incatenato e delirante. Ogni giorno Michele va a trovare Filippo, lo nutre, gli parla, e poi scopre che a rapirlo sono stati suo padre e gli altri del villaggio.
Un adattamento splendido di un romanzo altrettanto bello, quello fatto da Salvatores in questo suo ultimo film Io non ho paura, tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti. Girato con i colori della memoria dei filmini in superotto, che sbiadiscono al tempo e restituiscono degli anni settanta un particolare cromatismo, il film sceglie un'ambientazione realistica, ma al tempo stesso metaforica ed evocativa. Dall’oro degli sterminati campi di grano sui quali scivola la macchina rincorrendo i bambini nelle scorribande estive, fuoriesce una calura soffocante e silenziosa, che pacifica tutto e al tempo stesso nasconde qualcosa di inquietante e sinistro. Potrebbe essere un’ambientazione presa in prestito da una storia di Stephen King, dove tutto ha un’apparenza diversa da ciò che cela e, sotto la calma, un brulicare laborioso di altre forme di vita continua ininterrotto. Al giallo solare e totale delle campagne aperte, si contrappone il buio che genera mostri. La buca, che solo a tratti permette di distinguere cosa nasconda, sfocando tutto ciò che non è emozione ed angoscia, è un luogo inconscio che rapisce lo spettatore e lo trascina all’interno delle proprie paure più intime. C’è, nel testo che Ammaniti ha riadattato per il film, una visione chiarissima del mondo infantile e del modo in cui i bambini esorcizzano l’angoscia e tutto ciò che non gli è lecito comprendere. I mostri che fuoriescono dalle pieghe della realtà quotidiana e che nel libro popolano i sogni di Michele, nel film non sono esplicite rappresentazioni, ma si materializzano nella tensione emotiva che prende il pubblico allo stomaco.
C’è del mondo infantile la crudeltà esplicita e sprezzante, con cui le prove di coraggio vengono richieste e poi gridate, così come l’espressione d’urgenza di azione e sentimenti con cui i bambini si muovono nel mondo. C’è inoltre la proiezione dell’angoscia nella sfera favolistica e fantasiosa, che aiuta i bambini a preservare se stessi, ma soprattutto c’è il modo tipico dell’infanzia di relazionarsi al mondo esterno. Il rapporto con i genitori, misto di tenerezza, timore e ribellione, è tratteggiato con rara intensità e bellezza. Il padre, Pino, interpretato da un ottimo Dino Abbrescia, è spiazzato dal suo stesso senso di inadeguatezza e incapace di schermirsi di fronte alle domande di Michele, che chiede una risposta semplice a qualcosa che non può capire, mentre la madre, a tratti gelida e combattuta, si limita ad accudire e a svolgere le sue funzioni di madre (nutrire i figli, metterli a letto), offuscate dal buio che proviene da quel buco. Il rapporto con i grandi, tutti, animali dissimili dai bambini, che di giorno dormono e di notte tramano e si muovono razionalmente e per bisogno, di contro ai figli, spersi nelle campagne aperte, che sperimentano tutto: la paura, la curiosità, il bisogno, l’affetto, l’identificazione, il tradimento e il coraggio, è una visione complessa di un pianeta a volte sconosciuto. Il tutto sostenuto dalle straordinarie interpretazioni dei ragazzi, veri come pochi altri attori riescono ad essere sullo schermo, e degli adulti, tra i quali un maligno e asfittico Diego Abadantuono, unico cattivo senza coscienza, tra tanti disperati in una terra di nessuno.
Autore critica:Danila Filippone
Fonte critica:tempimoderni.com
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Io non ho paura
Autore libro:Ammaniti Niccolò

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