Dietro la porta chiusa - Secret Beyond the Door
Regia: | Fritz Lang |
Vietato: | No |
Video: | Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede - Pantmedia |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal racconto "Museum Piece Nb. 13" di Rufus King |
Sceneggiatura: | Sylvia Richards |
Fotografia: | Stanley Cortez |
Musiche: | Miklos Rozsa |
Montaggio: | Arthur D. Hilton |
Scenografia: | Max Parker |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Joan Bennett (Celia Lamphere), Paul Cavanagh (Rick Barrett), Mark Dennis (David), Barbara O’Neil (Emma Robey), Michael Redgrave (Mark Lamphere), Anne Revere (Caroline), Rosa Rey (Paquita), Natalie Schaefer (Edith Potter), James Seay (Bob Dwight) |
Produzione: | Diana Productions - Universal International |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Usa |
Anno: | 1948 |
Durata:
| 98’
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Trama:
| Celia sposa Mark, un miliardario con ossessioni omicide, che nella sua dimora ha ricostruito ambienti in cui si sono svolti delitti celebri. L'ultima stanza - che resta rigorosamente chiusa - è quelle che ricostruisce fedelmente la camera da letto della moglie.
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Critica 1: | La regia di Fritz Lang quasi si sbizzarrisce a trovare soluzioni formali adatte, senza mai strafare, senza accentuare più del necessario il conflitto drammatico. Anzi - com'era suo solito - egli adotta uno stile rigoroso, quasi freddo e distaccato, che riesce a trasformare una storia al limite del verosimile, non priva di elementi assurdi, in un dramma dell'interiorità, con tutti i risvolti del caso. |
Autore critica: | Gianni Rondolino |
Fonte critica | La Stampa |
Data critica:
| 22/8/2001
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Critica 2: | Celia sposa Mark Lamphere senza conoscerlo bene, ma scopre presto che è un maniaco ossessionato dalle camere dove è stato commesso un delitto, camere che ricostruisce nella sua dimora. Qual è quella dove dovrà essere uccisa? Uno dei più misconosciuti film americani di Lang che qui fa la spola tra Hitchcock (la suspense psicologica) e Sternberg (la profusione barocca delle scenografie). L'uso della voce off per esprimere i pensieri dei personaggi, la musica (M. Rosza), le scene, la fotografia (S. Cortez) contribuiscono a creare un'atmosfera affascinante. Lang "... è più bravo di chiunque altro nello scoprire le possibilità poetiche e la forza evocatrice della psicoanalisi..." (H. Chapier). |
Autore critica: | |
Fonte critica: | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 3: | Secret beyond the door si potrebbe considerare, a tutti gli effetti, una delle più riuscite metafore di un trattamento psicoanalitico e, in senso lato, uno degli omaggi più seri ed attenti che il cinema abbia fatto alla cultura freudiana. Infatti, un caso clinico, presentato con rigore, sensibilità e competenza, viene contemporaneamente ridefinito, arricchito e trasfigurato in un linguaggio cinematografico allusivo, pregnante, quasi onirico, che risulta non solo molto aderente alla vicenda psicopatologica e terapeutica, ma sembra altresì in grado di suggerire e sottolineare l'intensità e in certo modo l'intimità di talune atmosfere relazionali, quali si producono, specificamente, nel corso di un'analisi.
I riferimenti ad altre opere cinematografiche coeve su temi analoghi vanno immediatamente ad Hitchcock (Spellbound, Rebecca ed il simmetrico, anche se molto posteriore, Marnie), benché si tratti di un'affinità del tutto superficiale (di intrecci, di situazioni psicopatologiche, di espedienti narrativi non determinanti come la colonna sonora,...) con il film di Lang. Inoltre, in Spellbound e in Marnie il ricorso alla psicoanalisi sembra più pretestuoso ai codici espressivi dell'autore, più estraneo e dunque più retorico e semplicistico. In Secret beyond the door, al contrario, si direbbe che la psicoanalisi costituisca il nucleo centrale dell'ispirazione langhiana, intrinsecamente correlato al registro fiabesco-metaforico del testo filmico stesso: una sorta di raccontare «liberamente fluttuante». Per di più, in aggiunta a quest'aura squisitamente psicoanalitica perseguita e curata con singolare dedizione dal regista, esistono alcuni temi specifici in tal senso: l'appassionata ed incessante ricerca della verità da parte di Celia; il clima sottilmente perverso e misterioso di Bel Sito, universo chiuso e strettamente femminile; il graduale ed ineluttabile riprodursi del passato sulla figura della protagonista; la sua lucidità ed il suo coraggio nel non sottrarsi a tale prova; il mondo ambiguo, elusivo, ossedente del personaggio di Mark - nella concentrata ed essenziale interpretazione di Michael Redgrave -, ove realtà e fantasia s'intrecciano l'una con l'altra, tra cerimoniali, impulsi omicidi, fughe, angosciosi sensi di colpa. (…)
È, comunque, sullo sfondo della soggettività di Celia che cominciano progressivamente a delinearsi i tratti della personalità del marito e qualche preoccupante figurazione psicopatologica inizia a chiudersi: prima, l'inspiegabile fuga dalla stanza nuziale, poi la rivelazione della moglie morta e del figlio (efficacissima copia infantile di Mark: freddo, inappuntabile, rancoroso), infine, la scoperta della macabra collezione di stanze e le improvvise, cupe esplosioni di collera. Mark è un grave nevrotico, ossessionato dalla propria aggressività, a stento imbrigliata in alcuni tratti caratteriali fondati sul controllo (la messa a distanza rispetto alle emozioni; l'esteriore impeccabilità, anche quando compare in canottiera o in vestaglia; la formazione reattiva nell'eccesso di premure, come nell'episodio del cagnolino investito o nella frase della domestica sulla sua «bontà») e ancor meglio imbrigliata nel sintomo della collezione, il cui contenuto (le camere rappresentano luoghi dove mogli e madri vengono sadicamente uccise) consente una parziale espressione dell'impulso assieme alla difesa contro di esso. (…) Questo tema della curiosità verso una stanza chiusa richiama immediatamente una classica favola di Perrault, Barbablù, dove, anche qui all'interno di una dimora inaccessibile e isolata, c'è una donna, una moglie, che vuole entrare in un posto proibito. Pure in questo caso le ipotesi di lettura possono essere svariate: ad esempio, che la stanza rappresenti la sessualità (cfr. B. Bettelheim, Il mondo incantato, 1976) oppure, come livello sottostante, l'interno del corpo materno, invidiosamente penetrato e distrutto (i cadaveri delle mogli/bambine interni). Tuttavia, al di là delle somiglianze tematiche con Barbablù, il richiamo alla favola non ci sembra gratuito, poiché si direbbe che l'intero film venga sviluppato da Lang come un racconto fiabesco, con la sua atmosfera fantastica, la netta caratterizzazione «morale» dei personaggi, lo scarso rilievo conferito alle determinanti socio-culturali (King a parte, la «storia» langhiana potrebbe svolgersi quasi in qualunque epoca e in qualunque ceto sociale, il simbolismo intrinsecamente «insaturo» della vicenda. In questo senso, potremmo immaginare Celia come una potenziale eroina, che prima d'incontrare Mark non sia ancora stata definita dalle circostanze e quindi non abbia ancora avuto modo di misurarsi né di esprimersi. Ci piace pensare che la ricca eredità che la concerne non riguardi qualcosa di materiale, bensì una ricchezza interiore: buone identificazioni trasmesse dai genitori (e/o dalla sua analisi personale). L'occasione per mettere alla prova queste sue risorse, per iniziarsi alla vita, è l'innamoramento di un elegante principe, vittima di una maligna fattura, il quale la conduce seco nel suo meraviglioso castello, anch'esso pieno d'incantesimi, trabocchetti, streghe, fantasmi. A Celia occorrerà molto amore, molto coraggio e molta responsabilità - dovrà, cioè, dimostrare di esser diventata adulta -, per sconfiggere le cattive magie e, alla fine, liberare il principe. In base a questo presupposto, ci sembra che gli aspetti didascalici (e alla lettera piuttosto discutibili) della storia psicopatologica vadano ulteriormente rivisti nel suddetto contesto: in modo particolare, la scena catartica, stemperata com'è nel linguaggio allusivo-onirico della fiaba, dove i tempi della vicenda risultano facilmente dilatati o compressi, la potremmo immaginare come qualcosa di estremamente diluito nel tempo, il frutto - come avviene nella realtà di una terapia psicoanalitica - di anni di duro lavoro comune. Un accenno in proposito, forse, è fatto da Mark nella sequenza finale, quando dice a Celia che lo attende ancora una lunga strada. |
Autore critica: | Cesare Secchi, Paolo Vecchi |
Fonte critica: | Cineforum n. 252 |
Data critica:
| 3/1986
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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