Stavisky il grande truffatore - Stavisky
Regia: | Alain Resnais |
Vietato: | No |
Video: | Videopiu' Entertainment (Collection) |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Alain Resnais, Jorge Semprun |
Sceneggiatura: | Alain Resnais, Jorge Semprun |
Fotografia: | Sacha Vierny |
Musiche: | Stephen Sondheim |
Montaggio: | Albert Jurgenson |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Jean Paul Belmondo (Stavisky), Roberto Bisacco (Montaldo), Charles Boyer (Barone Raoul), Gerard Depardieu (il giovane inventore), Anny Duperey (Arlette), Michael Lonsdale (Dottor Mezy), François Perier (Borelli), Claude Rich (Isp. Bonny) |
Produzione: | Alain Belmondo - Euro (Roma) - Ariane Cerito (Parigi) |
Distribuzione: | Cineteca dell’Aquila - Collettivo dell’Immagine |
Origine: | Francia |
Anno: | 1974 |
Durata:
| 115’
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Trama:
| "Stavisky" è il nome sotto il quale è passato nella storia della Francia del primo dopo guerra un grosso "caso scandalo", imperniato sulle avventure di Stavisky, alias Serge-Sacha Alexandre, finanziere, nato da un dentista parigino ebreo, padrone di una scuderia di cavalli, di una catena di giornali e di un teatro, sposato ad Arlette. I suoi affari, grazie alla sua audacia e alla sua mancanza di scrupoli, andavano bene e gli permettevano di condurre una vita brillante nelle località più famose degli anni '30. Una truffa assai redditizia per lui era quella basata sulla parziale falsificazione di buoni del Credito Municipale di Bayonne. Ammonito dal segretario Albert Borelli su di un pericoloso disavanzo, Stavisky è sicuro di precedere la conclusione dell'inchiesta condotta dall'ispettore Bonny ingannando con la scusa di una grossa fornitura d'armi Juan Montalvo, cospiratore spagnolo. Ma il colpo non riesce, poichè al rapporto del poliziotto si aggiungono le gravi conclusioni di una Commissione di Inchiesta. Stavisky muore, forse suicida, in una baita di Chamonix.
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Critica 1: | Ultimi mesi di vita di Alexander Stavisky, finanziere ebreo di origine russa che creò in Francia un grande impero finanziario fondato sulla frode e la corruzione. Fu assassinato (o morì suicida?) l'8 gennaio 1934 in uno chalet di Chamonix. Da una sceneggiatura di Jorge Semprun che aveva già scritto quella di La guerra è finita A. Resnais ha tratto un film di strenua eleganza (fotografia di Sacha Vierny), costruito su un flusso linguistico di tipo musicale e imperniato sull'ambiguità-polivalenza di un personaggio polimorfo "che vive più vite, possiede più personalità e si esprime in forme e direzioni differenti" (Paolo Bertetto), trasformando il gesto in forma teatrale, l'azione in rappresentazione. In fondo, è la storia di un condannato a morte il che dovrebbe spiegare il parallelismo, apparentemente enigmatico, con le vicende di Lev D. Trockij, esule in Francia. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Stavisky segna senza dubbio una svolta nella sua opera. Venuto dopo due film in cui la struttura del genere (politico in La guerre est finie, fantascientifico in Je t'aime, je t'aime) aveva ridotto il valore semantico e formale della ricerca in atto, Stavisky è un film che apertamente rifiuta la definizione di genere, la collocazione in uno spazio strutturale predeterminato. Stavisky non è quindi un film di ricostruzione storica, né un dossier documentario su una vicenda clamorosa, né la denuncia politica di un meccanismo sociale ed economico. Tutte queste prospettive, che avrebbero potuto ricondurre il film in dimensioni precise, in quadri di riferimento é di lettura già codificati, vengono rigorosamente scartate.
Resnais, con un medesimo movimento formativo, rifiuta di praticare un'ipotesi filmica immediatamente riconducibile a schemi già sperimentati, e rifiuta anche di ripetere tematiche e modalità di scrittura che avevano caratterizzato i suoi film precedenti. Non che la dimensione del tempo o il problema della costruzione del senso esistenziale o l'analisi delle articolazioni conflittuali della soggettività siano estranee al film; ma il trattamento che vi trovano è radicalmente diverso dalle esperienze precedenti e tende alla produzione di un significato nuovo. Quello che resta, di certo, è il carattere assolutamente problematico della scrittura, la struttura aperta dell'opera che richiede costantemente l'intervento integrativo dello spettatore e nega e ritrae ogni possibilità di interpretazione semplificata.
Stavisky rappresenta perciò il tentativo di approfondire il discorso sulla fluidità e sul significato dell'essere al mondo, non solo attraverso l'impiego di materiali nuovi, ma all'interno del progetto deliberato di analisi e di pratica dell'ambiguità, della struttura interrogativa della scrittura. In Stavisky, infatti, lo spettatore si trova alle prese con una struttura semantica difficilmente definibile, in cui « il dislocamento fluttuante, lo spostamento continuo da parte di Resnais del centro di interesse del film » (Ghezzi) implica una continua modificazione interpretativa. Stavisky scivola da una struttura all'altra, alterna materiali e momenti espressivi che fanno parte di generi o di contesti semantici radicalmente diversi, senza tuttavia restare prigioniero di nessun contesto. Dalle sequenze storico-rievocative dell'arrivo e poi della vita di Trockij esule in Francia, alle scene dell'inchiesta poliziesca e della battaglia dei dossiers, dall'analisi del rapporto sentimentale e della sua armonia contraddittoria, alla ricostruzione un po' nostalgica della Francia degli anni trenta (dai fiori e dagli stucchi dell'Hotel Clarídge alla società aristocratica che gioca a golf), il film va continuamente oltre ogni dimensione di genere, non solo ripianificando ogni componente nel contesto complessivo, ma evitando gli schemi linguistico-normativi interni ad ogni settore specifico.
Cosí, il film procede attraverso un movimento espressivo, che è insieme nettamente differenziato nelle componenti, nei materiali, nell'articolazione del profilmico, ed estremamente organico nel flusso linguistico, nella scrittura. E Resnais può realizzare un'unità organica proprio nella misura in cui è in grado di dissolvere dall'interno ogni codice comunicativo, ogni struttura di genere, per ribaltarli non già in un altro genere o in una direzione semantica esplicita, ma dentro l'ambiguità reale della scrittura, dentro una sorta di pratica esponenziale della polisemia del linguaggio artistico. Ogni sequenza è infatti profondamente ambigua, ma non perché non ne sia decifrabile il significato letterale, o perché appaiano difficilmente definibili la collocazione temporale o la funzione e la fisionomia dei personaggi. (...)
Tutto il flusso esistenziale sembra unificare il mistero e la soggettività, l'ambiguità e l'io, la polivalenza e l'azione. Ma la maschera totalizzante che ripianifica dentro un ulteriore livello di significato tutta l'azione-rappresentazione, è la morte. Tutto il film è un'articolazione di momenti esistenziali che puntano a dislocare altrove la morte, a spostare il momento della fine; e tutte le azioni-rappresentazioni, nello stesso tempo, operano dentro la prospettiva, la fatalità, la conclusione finale.
D'altra parte la conclusione reale della storia è già interamente conosciuta sin dall'inizio dallo spettatore e le sequenze rappresentano in un certo senso passaggi narrativi funzionalizzati all'allontanamento della morte. Il film è la storia di un condannato a morte e forse proprio la consapevolezza della fine tragica attribuisce un'intensità piú profonda al desiderio di felicità di Stavisky. «La felicità - dice - è il momento», ma per tutto il film il momento felice è insidiato dall'incombere della morte, dal percolo della disgregazione di tutto il castello esistenziale che egli ha costruito. Cosí, la felicità di Stavisky è sempre incrinata dal negativo imminente, dall'ombra della sconfitta. Ed è forse l'azione combinata della teatralità come maschera del soggetto e dell'incombenza della morte come maschera (dimensione) totalizzante, che carica cosí radicalmente di significati ambigui, difficili da decifrare, tutto l'agire del film e costruisce attorno al mistero tutto il flusso filmico-esistenziale. (...)
La funzione della tecnica cinematografica è in Stavisky meno esplicita e meno apertamente produttiva che nei film precedenti. Qui pare incorporata al flusso delle immagini, interna al movimento della scrittura, intenzionalmente neutralizzata nella apparente uniformità del linguaggio. In realtà Resnais, se da un lato rinuncia ai lunghi, produttivi carrelli dei film precedenti, dall'altro calibra perfettamente i tempi espressivi e i metodi di montaggio, alternando tempi stilistici lunghi, raccordi lenti e montaggio ellittico, a passaggi piú rapidi, con un montaggio alternato, serrato, incisivo. E, insieme, lavora con una nuova attenzione alla elaborazione della qualità dell'immagine, da un lato costruendo con particolare cura scenografie d'epoca (tutte funzionalizzate alla dimensione espressiva prescelta), dall'altro ricorrendo a uno speciale tipo di pellicola e a filtri capaci di restituire un'immagine piú pastosa e compatta.
Cosí tutto il film presenta una plasticità omogenea dell'immagine, perfettamente calibrata su tonalità calde, rosso-brune, in cui di volta in volta il bianco o il rosso del sangue, o il verde dei prati, rappresentano un esplicito elemento di contrasto visivo. La tonalità sostanzialmente uniforme del colore svolge, d'altra parte, una precisa funzione di omogeneizzazione dei diversi piani profilmici, attraverso cui si sviluppa il film e rappresenta quindi una componente espressiva direttamente funzionale alla costruzione di un flusso filmico serrato e continuo. Come in Muriel aveva usato il colore, seppure in modo sobrio e in funzione espressiva (sottolineando con toni sbiaditi, freddi, a volte grigi, a volte allucinati, l'aridità e l'assenza di significato della vita dei personaggi), così in Stavisky Resnais usa direttamente il colore in funzione strutturale, affidandogli in primo luogo l'incarico di unificare dal punto di vista figurale tutti i diversi spazi dell'azione filmica, e in secondo luogo il compito di situare in un contesto scenografico raffinato e omogeneo la ricerca esistenziale del protagonista sulla soggettività polimorfa e sulla felicità. |
Autore critica: | Paolo Bertetto |
Fonte critica: | Alain Resnais, Il Castoro Cinema |
Data critica:
| 5/1976
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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