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Berlin Alexander Platz - Berlin Alexander Platz

Regia:Rainer Werner Fassbinder
Vietato:No
Video:Biblioteca Rosta Nuova, Ecapitol Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Letterature altre - 900
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Berlin Alexanderplatz" di Alfred Döblin
Sceneggiatura:Harry Baer, Rainer Werner Fassbinder
Fotografia:Xaver Schwarzenberger
Musiche:Peer Paben
Montaggio:
Scenografia:Werner Achmann
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Franz Buhriser (Mesk), Claus Holm (Wirt), Gottfried John (Reinhold), Günther Lamprecht (Franz Biberkopf), Hanna Schygulla (Eva), Barbara Sukowa (Mieze)
Produzione:Bavaria e Rai Rete Due per la Wdr
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Germania
Anno:1980
Durata:

15h 33'

Trama:

Siamo negli anni venti. Franz esce di prigione dopo quattro anni (aveva ammazzato in uno scatto d'ira la sua fidanzata Ida) ed anche ora, che canta a squarciagola "sta la sentinella all'erta" nell'aria fresca e libera di Berlino, il ricordo di quel gesto violento lo perseguita a ritmi frequenti. Così egli, vagabondo spirituale dell'Alexanderplatz, cerca di costruirsi una vita onesta con l'aiuto di Meck e Lina, viene coinvolto dal suo nuovo amico Reinhold (Gottfried John) prima in un balordo giro di donne poi nei loschi traffici della banda Pums, perde un braccio proprio per opera del crudele Reinhold, riscopre la trafila dei vuoti di bottiglia, conosce la tenerezza di Mieze (Barbara Sukowa), la prostituta che è "un cuore dalla testa ai piedi" e che lo ama e lo mantiene; poi si riinvischia con l'amico-nemico Reinhold e quello gli uccide la sua Mieze gettandolo così nel gorgo della pazzia, nel brulicare surreale ed apocalittico dell'ultima puntata, al termine della quale la suadente voce fuoricampo può solo concludere che "su di lui non si può raccontare più nulla".

Critica 1:Dopo Il matrimonio di Maria Braun (1978) è il secondo capitolo della ricognizione di Fassbinder nel passato della Germania. Nel romanzo di Döblin trova un tema centrale della sua poetica: il rapporto tra due uomini (Biberkopf e Reinhold) mediato dall'affetto/possesso di una donna. In una intervista il regista dichiarò di essersi proiettato non in uno, ma in tre personaggi: Biberkopf, Reinhold e la prostituta Mieze. Dopo aver mantenuto le distanze dal primo per 13 puntate, se ne approfitta nell'epilogo onirico (Il mio sogno da un sogno di Franz Biberkopf): l'allucinazione del personaggio si sovrappone alle ossessioni del regista in un flusso di simboli psicoanalitici e di riferimenti storici. Serial TV in 13 puntate e un epilogo girato in 16 mm negli stabilimenti della Bavaria di Monaco con alcuni esterni a Monaco.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandinio – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(...) Berlin Alexanderplatz è il romanzo della grande città, del frastuono del traffico, del concitato pulsare della metropoli. È solo in un contesto del genere che la storia di Franz Biberkopf è concepibile; non solo, diventa addirittura epica ed esemplare.
Per Rainer Werner Fassbinder il problema si pone in maniera diversa. Da tempo abbiamo dimenticato gli ambigui entusiasmi degli intellettuali degli anni trenta per la vita delle megalopoli e ci siamo piuttosto concentrati sulla solitudine dell'individuo nella grande città. I mass media hanno perso il pittoresco fascino dei primordi dell'industria culturale per assumere un ruolo standardizzato e alienante. Fassbinder arriva a Berlin Alexanderplatz dopo decine di film in cui questa condizione dell'uomo contemporaneo è stata descritta, sezionata, drammatizzata. Nella sua trasposizione del romanzo abbandona perciò tutto l'aspetto corale della storia, principalmente modificandone alla radice il ritmo. Il convulso flusso narrativo di Döblin diventa una costruzione lineare, solo contrappuntata qua e là dall'intervento di un narratore (anche se poi il carattere visionario di molta della prosa di Döblin verrà assunto e reinventato da Fassbinder nello sconvolgente epilogo). Fassbinder raccoglie dal romanzo un tema che gli è caro e lo mette in primo piano. Berlin Alexanderplatz è un film sull'amore.
(...) Franz è un uomo semplice e testardo. E anche, a suo modo, un uomo buono. Sì, tutto sommato non è che un ruffiano, ma nella sua insondabile innocenza crede che l'intero genere umano sia buono come lui. Come tanti altri protagonisti di Fassbinder è segnato dal destino come la vittima da immolare (è interessante notare che, secondo il regista stesso, i suoi film precedenti grondano citazioni inconscie dal romanzo, cosicché Berlin Alexanderplatz viene ad essere una vera e propria summa della filosofia esistenziale di Fassbinder). Ma Franz è caparbio e lottatore: non soccomberà facilmente. Già alla prima delusione, però, la sua fede nell'umanità vacilla pericolosamente. Quando il suo amico Liüders lo tradisce, ricattando la vedova con la quale Franz ha avuto un'avventura, non reagisce ma si lascia andare fatalisticamente: beve, finisce nei bassifondi, ha perso la voglia di vivere. La grandezza drammatica di Franz Biberkopf sta in questa sorta di santità disinteressata che lo anima nei confronti degli altri, nell'offrire evangelicamente l'altra guancia agli affronti del destino. Tanto più forte risalta questo suo carattere perché sappiamo che, se vuole, può essere violento fino all'omicidio.
Quando, dopo il tradimento di Lüders, incontra Reinhold sente che gli si arrenderà come un fanciullo. Reinhold gli passa le sue donne e lui le accoglie per farlo contento. L'incontro in cui i due stabiliscono la loro complicità è uno dei momenti più intensi del film. Fassbinder lo fa avvenire nel pisciatoio della taverna (nel romanzo il luogo è imprecisato), un posto anomalo per una storia d'amore. È il simbolo di un'intimità cameratesca, fisica, ma non per questo meno «alta» di quella propria dei personaggi di una tragedia. I primi piani dei loro due volti in campo/controcampo si alternano insistentemente e l'uso melodrammatico delle luci ci suggerisce che da questo momento, nonostante l'apparente casualità del loro accordo, Franz e Reinhold sono uniti per sempre. Ma non potranno mai essere felici insieme: resteranno condannati a una solidarietà da retrobottega.
«Quello che c'è tra Franz e Reinhold non è niente di più e niente di meno che un amore puro, non minacciato dalla società. Ed è proprio questo che caratterizza il loro legame. Ma naturalmente entrambi, Reinhold ancora più di Franz, sono esseri sociali e in quanto tali non sono nella condizione neppure di capire questo amore, di accettarlo, di accoglierlo semplicemente per arricchirsi dentro e diventare più felici attraverso questo amore che così di rado capita fra gli uomini.
E infatti si capisce che significato potrebbe avere per una creatura allevata come lo siamo stati noi o in modo similare, un amore che non conduce a risultati visibili, che non porta a nulla di evidente, di sfruttabile, di utile? Un simile amore, ed è questa la cosa triste e terribile dell'amore, un amore così a coloro che hanno imparato che l'amore è utilizzabile, per lo meno utile, sia in positivo che in negativo - perfino della sofferenza noi abbiamo imparato a godere - un amore così deve fare paura, semplicemente paura e queste persone, si intende, siamo noi». Ecco che allora anche questo amore, capace di salvare l'anima degli uomini, viene pervertito dal meccanismo sociale. Diventa una questione di interesse e l'immediato, diretto amore tra Franz e Reinhold si trasforma in un groviglio di relazioni. Le donne sono le pedine di questo gioco omicida. Il triangolo sentimentale è uno schema che percorre ossessivamente tutto il cinema di Fassbinder, dal primo lungometraggio Liebe ist kälter als der Tod (1969) fino a Il matrimonio di Maria Braun. In questo schema spesso la figura della moglie (o amante) e quella della prostituta coincidono. Berlin Alexanderplatz non fa eccezione. La tenera, gentile Mieze vuole bene a Franz. Anche Franz gliene vuole, ma sappiamo che il suo vero e inconfessato compagno è Reinhold. Reinhold desidera Mieze, forse più per capriccio che altro. Mieze è cortese con lui per far piacere a Franz. Un equilibrio dei sentimenti di questo genere è destinato alla dissoluzione. Si conclude addirittura con la morte di Mieze, la condanna di Reinhold e la distruzione morale di Franz. Ancora una volta si intuisce che l'amore è insieme impossibile e necessario. E l'amore è un rito che reclama le sue vittime.
C'è una sequenza chiave che bisogna ricordare. Franz vuole dimostrare a Reinnold l'amore che Mieze gli porta. Lo nasconde nel letto e aspetta il ritorno della ragazza. Ma lei gli dice che proprio quel giorno ha avuto un'avventura con un altro uomo. Il mite, bonario Franz si trasforma in un cieco e bestiale bruto. Picchia Mieze fino a farla sanguinare. Ma questo è niente. Dopo averla pestata chiama Reinhold fuori dal letto. Mieze ha resistito alle botte, ma non può sopportare questa vergogna. Il suo immenso dolore di fronte ai suoi sentimenti calpestati, sviliti e svenduti al voyeurismo di un estraneo esplode in un agghiacciante, interminabile grido di orrore impietrito. Questa scena, le cui premesse sono di un grottesco da pochade, è stata realizzata da Fassbinder con un rigore e una glacialità impressionanti. L'inquadratura fissa di Mieze che urla irrigidita in mezzo alla stanza, stordita di fronte all'abuso che gli uomini fanno dei propri sentimenti, è forse il simbolo definitivo del cinema di Fassbinder.
Richiama l'altro grido di paura impotente («lungo tre giorni e tre notti») che Franz emette sul letto del manicomio, atterrito dai fantasmi della sua vita che vengono a visitarlo. Alla fine di quel grido il vecchio Franz muore e uno nuovo, più malleabile e utilizzabile, nasce per sostituirlo.
Ma Berlin Alexanderplatz non è solo un film sull'amore. Perché, lo si sarà capito, l'amore riguarda individui che hanno il loro posto nella Storia.
Nel film di Fassbinder la Storia non è percepita come progresso o come sviluppo. Coerentemente con la sua ispirazione artistica, per il regista tedesco la Storia è il compimento di un incubo. Un immane melodramma che ha bisogno di sacrifici umani. Per quanto possiamo intuire come Franz Biberkopf si trasformi da outsider in acquiescente cittadino del Terzo Reich, ce ne sfugge però la esemplarità dimostrativa in quanto personaggio.
La ragione sta in una caratteristica del romanzo che non era sfuggita a Benjamin: la dimensione di Franz Biberkopf in Berlin Alexanderplatz non è «tipica» (in senso lukacsiano) ma epica. In quanto tale il suo rapporto con la Storia è fatale e segnato dal destino. I suoi ex-amici sono di sinistra e certamente Biberkopf li ama: ma a un certo punto si mette a portare la croce uncinata. Poi diventa qualcosa di simile a un qualunquista. Il fatto è che il suo avversario è il mondo intiero, non un nemico politico. La metafora più pertinente (sfruttata infatti da Fassbinder in modo più ampio e più reiterato che nel romanzo) è quella di Babilonia, la Grande Puttana, il cui profeta è l'enigmatico uomo con la testa calva - un po' ufficiale prussiano, un po' SS, un po' mostro di Düsseldorf (Fassbinder non deve essersi dimenticato di La tenerezza del lupo). Questo personaggio riappare costantemente a proferire la medesima minaccia di sventura e di spargimento di sangue.
La Weimar di Fassbinder si tinge dei colori apocalittici del caos. Nella colonna sonora si rincorrono canzoni patriottiche, l'Internazionale e romanze d'opera fino a che questi motivi si sovrappongono confusamente nell'ultima inquadratura di Franz Biberkopf, lo sconfitto. Biberkopf sfugge a qualsiasi tipologia sociale che lo definisca fino in fondo. Se è vero che, come dice Benjamin a proposito del romanzo, è un «briccone» (il «negativo sociologico» della piccola borghesia), è altrettanto vero che per tre quarti della storia è un furfante disperatamente e pateticamente deciso a vivere onestamente (una decisione che gli costa anche un braccio). Contrariamente ai film sull'«era Adenauer», Berlin Alexanderplatz non trascrive dialetticamente la Storia, ma la annuncia con cupi accenti da incubo - quali possono essere percepiti nel microcosmo della Alexanderplatz («Mille metri... la vita di Biberkopf non ha un raggio maggiore») gli echi degli eventi del mondo esterno. Nell'epilogo la annulla nel delirio. L'unico progresso che Fassbinder ha voluto descrivere in questo film è quello, inesorabile, della Morte.
Autore critica:Davide Ferrario
Fonte critica:Cineforum n. 222
Data critica:

3/1983

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Berlin Alexanderplatz
Autore libro:Döblin Alfred

A cura di: Redazione Internet
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