Tutto su mia madre - Todo sobre mi madre
Regia: | Pedro Almodovar |
Vietato: | 14 |
Video: | Cecchi Gori |
DVD: | Home Vi |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La condizione femminile, Le diversità |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Pedro Almodovar |
Sceneggiatura: | Pedro Almodovar |
Fotografia: | Affonso Beato |
Musiche: | Alberto Iglesias |
Montaggio: | Jose' Salcedo |
Scenografia: | |
Costumi: | Sabine Daigeler, Jose' Maria De Cossio |
Effetti: | |
Interpreti: | Cecilia Roth Manuela, Marisa Paredes Huma Rojo, Candela Pena Nina, Antonia San Juan Agrado, Penelope Cruz Rosa, Eloy Azorin Esteban, Toni Canto' Lola, Fernando Fernan Gomez Padre di Rosa, Carlos Lozano Mario, Rosa Maria Sarda' Madre di Rosa |
Produzione: | El Deseo, Renn Productions |
Distribuzione: | Cecchi Gori |
Origine: | Spagna |
Anno: | 1999 |
Durata:
| 101'
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Trama:
| A Madrid, Manuela ha portato Esteban, il giovane figlio, a teatro. All'uscita, sotto la pioggia, mentre il ragazzo cerca di avere un autografo dalla prima attrice, una macchina lo investe e lo uccide. Per Manuela il dolore è troppo grande e ad un certo punto piangere non è più sufficiente. Allora la donna va a Barcellona per cercare di ritrovare il padre del figlio che non vede da 17 anni e che nel frattempo ha cambiato identità e si fa chiamare Lola. Ma la ricerca non è facile. Così Manuela ritrova invece Agrado, un altro travestito conosciuto anni addietro che l'aiuta a trovare una sistemazione. Agrado poi le presenta Rosa, una ragazza che fa volontariato in un istituto di suore. Rosa rivela di essere incinta ma gli esami danno anche un altro terribile responso: Rosa è seriopositiva. Intanto in città è arrivata la compagnia che rappresenta lo stesso spettacolo cui aveva assistito Esteban quella sera. Manuela si presenta a Huma, la protagonista, alla quale il ragazzo voleva chiedere l'autografo prima di morire. Senza rivelare niente sul momento, Manuela trova lavoro in teatro, poi prende un appartamento e qui invita a trasferirsi Rosa, ormai malata e in attesa di partorire. Il bambino nasce, Rosa muore. Ma ormai il cerchio comincia a stringersi. Col bambino in braccio, Manuela incontra Lola: anche questo bambino è figlio suo. Ora la donna può raccontare a tutti (al padre, ma anche a Huma) della tragica morte di Esteban, e così affidare anche a loro un parte del dolore che così a lungo si è portata dentro. Per Manuela si aprono nuove prospettive di vita.
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Critica 1: | La nubile Manuela (C. Roth) perde l'adorato figlio diciassettenne Esteban in un incidente. Va a Barcellona per ritrovare un altro Esteban (T. Canto), ignaro di essere il padre del ragazzo, che intanto ha cambiato sesso, diventando Lola, e ha messo incinta anche Rosa (P. Cruz), suora laica, rendendola sieropositiva ("Non sei un essere umano: sei un'epidemia!"). Manuela diventa amica del transex Agrado (A. San Juan), segretaria di Huma (M. Paredes), famosa attrice di teatro lesbica, e sostituisce sulle scene la sua amante Nina (C. Pena) tossicodipendente. Rosa muore di parto, dando alla luce un terzo Esteban. Muoiono suo padre (F.F. Gomez), smemorato per arteriosclerosi, e di Aids il primo Esteban. L'impenitente P. Almodovar (1951) ha fatto tredici, portando a perfezione la sua tecnica (la sua poetica?): mescolare le carte, girare un melodramma (un "almodramma"?) come se fosse una commedia e viceversa. Alle prese con un intrigo che per inverosimiglianza fa il paio con quello del Trovatore di Verdi-Cammarano, intrecciato col cinema (Eva contro Eva) e col teatro (Un tram che si chiama Desiderio), lo riscatta e lo sublima senza una stecca in un clima di allegra e solidale sorellanza e di una pietas sotto il segno di un sereno e grottesco stoicismo. Attrici brave o bravissime. L'argentina C. Roth che fa Manuela è straordinaria. Gran Premio della giuria a Cannes 1999. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Orchestrate come una partitura musicale, incatenate le une alle altre, si susseguono le citazioni che compongono e illuminano il tessuto narrativo di Tutto su mia madre: la Bette Davis di Eva contro Eva, la Blanche Dubois di Un tram che si chiama desiderio, della quale tutte le protagoniste sembrano ripercorrere lo strazio, la Fedora di Billy Wilder (che appare su in alto, nel cimitero, nei panni del transessuale Lola), le "tre ragazze sole in un appartamento vuoto" di Come sposare un milionario rievocate dall'irresistibile travestito Agrado. Non vezzi, non strizzate d'occhio incidentali. Pedro Almodovar con questo film ridà vita nella sua forma più pura all'emozione straripante del mélo (i tiri del destino, gli andirivieni, gli intrecci casuali) e la fonde con l'intelligenza ironica della commedia (le donne che chiacchierano e superano morte e dolore con un'istintiva, concreta solidarietà, uno Chanel per non morire, un gesto radicale con il quale cambiare la propria vita). E nell'oscillazione continua tra il riso e il pianto, nel tempismo perfetto con cui il più doloroso dei momenti (la morte del giovane Esteban, l'incontro di Rosa con il padre e il cane, l'apparizione di Lola) viene, non negato, ma come "riconciliato" attraverso il più surreale e ilare dei dialoghi (su tutti, il monologo della Agrado, in teatro, in cui elenca i costi del suo essere femmina), in questa incrollabile tensione emotiva, Almodovar coglie e tesse il succo degli stati d'animo femminili che hanno sempre animato i suoi film: quella teatralità innata, quell'eterno film che le sue protagoniste si proiettano nel cervello e nel cuore, quegli impercettibili ma laceranti passaggi tra cinema e vita, quel "qualcosa" che ha reso plausibili per decenni i più dissennati women's films e che rende vitalissimi e reali, oggi, i suoi film. Film dove gli uomini sono fantasmi o ricordi, dove esistono solo anime fiammeggianti. |
Autore critica: | Emanuela Martini |
Fonte critica: | Film TV |
Data critica:
| 21/9/1999
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Critica 3: | Nessuno come Pedro Almodóvar sa raccontare le donne: le stupide e le sublimi, le vittime di tragedia e le squilibrate, le giovani e le vecchie. In “Tutto su mia madre” il regista, raggiunta una nuova maturità nel suo stile brillante, rinuncia a certe sue caratteristiche (frivolezza, isterismi, eccessi sardonici, bisogno puerile di stupire) per approdare a un mix realistico di dramma e divertimento su amori e dolori di donne. “Cinema a cuore aperto”, lo definisce l’autore: oscillante tra racconto simbolico (su procreazione, creazione, maternità, paternità) e utopia femminile (un mondo di donne in cui gli uomini aspirano a trasformarsi in donne). Molto bello, interpretato meravigliosamente: il film è tra i suoi più riusciti e commoventi. Tra i personaggi: il travestito bisessuale Lola, padre di figli; una giovane suora che si trova incinta e sieropositiva; una grande attrice e la sua innamorata, una piccola attrice eroinomane; una madre il cui adorato figlio adolescente muore in un incidente. Quest’ultima è Cecilia Roth, bravissima: ma tutte le attrici (Marisa Paredes, Penelope Cruz, Antonia San Juan, Candela Pena) sono eccellenti e Fernando Fernan Gomez fa un’apparizione di vecchio padre rimbambito straordinaria quanto il film che è dedicato a tre cine-idoli del regista, Bette Davis, Romy Schneider, Gena Rowlands. Le vicende d’un gruppo di donne sono nutrite di evocazioni cruciali di film (Eva contro Eva) o di spettacoli teatrali (Un tram che si chiama desiderio), di invettive (“Tu non sei un essere umano, Lola, sei un’epidemia”), di consigli di moda (“Prada è l’ideale per una religiosa”); e sono dominate da un motto anche spettacolare, “la vera autenticità non sta nell’essere come si è, ma nel riuscire a somigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi”. Almodóvar dice addio al melodramma, anche se gli eventi del film sono mirabolanti e struggenti. Mette al primo posto l’amore (passionale, materno, carnale, invidioso) oppure la fatalità. Dà spazio a visioni realistiche della degradazione urbana, all’importanza espressiva degli oggetti (treni, tunnel, fleboclisi, fotografie di gioventù). Assume pienamente l’antintellettualismo che consente di sottrarsi all’ansia razionalizzante, l’estraneità alla mentalità borghese che permette d’evitare grettezze e conformismi del sentimento, lo spirito di calda pietà verso la gente e l’impulso a immedesimarsi davvero nei drammi altrui. Mette insieme tragedia e ridicolo, così spesso mescolati nell’esistenza, eliminando quel lato farsesco che è stato in passato una sua specialità (in Donne sull’orlo di una crisi di nervi, a esempio, oppure in Légami) senza cancellare la comicità, il divertimento. Attraversa i generi e le immagini al di là del formalismo, presenta l’artificio non come arte della naturalezza, ma come risultato che va oltre la naturalezza. Il film sembra voler condensare tutte le storie già raccontate, in una pluralità di copioni possibili. Vedendolo si ha la sensazione che possa capitare qualsiasi cosa, si coglie un’intensità radiosa mai vista prima nel lavoro di Almodóvar. |
Autore critica: | Lietta Tornabuoni |
Fonte critica: | La Stampa |
Data critica:
| 15/9/1999
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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