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Chiavi di casa (Le) -

Regia:Gianni Amelio
Vietato:No
Video:
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Giovani in famiglia, Le diversità
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Nati due volte" di Giuseppe Pontiggia
Sceneggiatura:Gianni Amelio, Stefano Rulli, Sandro Petraglia
Fotografia:Luca Bigazzi
Musiche:Franco Piersanti
Montaggio:Simona Paggi
Scenografia:Giancarlo Basili
Costumi:Piero Tosi, Cristina Francioni
Effetti:
Interpreti:Andrea Rossi (Paolo), Kim Rossi Stuart (Gianni), Charlotte Rampling (Nicole), Pierfrancesco Favino (Alberto), Alla Faerovich (Nadine), Michael Weiss (Andreas)
Produzione:Enzo Porcelli, Karl Baumgartner E Bruno Pesery Per Rai Cinema - Achab Film - Pola Pandora Film Produktion - Arena Films
Distribuzione:01 Distribution
Origine:Francia – Germania - Italia
Anno:2004
Durata:

105’

Trama:

Gianni, un giovane padre, ritrova dopo15 anni il figlio Paolo, handicappato a causa di complicazioni sopravvenute durante il parto (nel quale la madre ha perso la vita) e che alla nascita ha abbandonato alle cure di alcuni zii. Gianni, che nel frattempo si è risposato ed è diventato padre di nuovo, tenta ora di costruire un rapporto con Paolo tra problemi, ansie, angosce e paure...

Critica 1:(…) Si può definire «il romanzo di un non romanzo» perché rispecchia "Nati due volte", con cui il compianto Giuseppe Pontiggia vinse il Campiello nel 2001: la testimonianza personale sulla malattia di un figlio minorato attraverso trent' anni. Protagonisti il padre narratore, la moglie Franca e Paolo. La diagnosi, per quest' ultimo, è tetraparesi spastica diatonica. Sostiene giustamente Pontiggia che il problema dei diversi non è di diventare «come gli altri», ma di rinascere accettando la propria diversità. Affascinato dalla lettura, Amelio scoprì presto con Rulli e Petraglia che il libro era impossibile da sceneggiare. Bisognava inventare un intreccio autonomo pur restando in sintonia con l' esperienza e lo stile dell' autore. Pontiggia fece in tempo ad approvare il copione in cui troviamo un padre, Kim Rossi Stuart, alle prese con un figlio venuto al mondo in sincrono con la morte della madre e mai più visto per l' incapacità di accettarne l' avvilente condizione. Sullo schermo il quattordicenne Andrea Rossi rappresenta la scelta neorealista di un attore che vive la condizione del personaggio. La sua utilizzazione, lungi dall' essere cinica, assurge invece a un forte significato morale. Insegna a chi è aduso a stornare lo sguardo dalle realtà sgradevoli il coraggio di guardare. Nel raccontare il viaggio di padre e figlio a Berlino, per esami specialistici, e proseguito in un fantastico itinerario fino in Norvegia, Amelio intreccia in chiave di finzione una concreta ipotesi di consanguineità fra i suoi interpreti, i quali recitando il loro duetto hanno finito per viverlo. Il tutto in un contesto rarefatto e poetico, anche grazie alla fotografia di Luca Bigazzi e alla musica di Franco Piersanti, e senza scivolamenti consolatori o sdolcinati.
Autore critica:Tullio Kezich
Fonte criticaCorriere della Sera
Data critica:

10/9/2004

Critica 2:Vinca il Leone d'oro, o no, un grande film trova le chiavi del cuore di chi lo vede. Mentre il pubblico italiano affolla le sale dove si proietta Le chiavi di casa, un'entusiastica recensione di le Monde evoca la "semplicità di Giotto", "l'umiltà e il senso rosselliniano della conoscenza dell'altro". Amelio lo ha tratto (liberamente) dalle pagine di Giuseppe Pontiggia; però il soggetto è intimamente suo: come "Il ladro di bambini" o "Colpire al cuore", il film è focalizzato sul rapporto adulto-ragazzo in una situazione di particolare difficoltà. Già la presentazione di Paolo, grande bambino disabile abbandonato alla nascita, avviene attraverso gli occhi del padre, Gianni (l'omonimia col regista non sarà casuale), in una magistrale sequenza d'apertura: la macchina da presa mostra il letto vuoto del ragazzo, che lo spettatore non ha ancora visto, identificandosi con l'angoscia del genitore. Ineccepibile la scelta di ambientare gran parte della storia a Berlino, dove Gianni accompagna il figlio in un centro di riabilitazione che proprio all'adulto risulterà insopportabile: cornice dello spaesamento totale di un uomo in bilico tra paura e devozione, speranza e amore nascente per la "strana" creatura che ha generato. Se mai esista una (piccola) concessione alla produzione di effetti emotivi, potremmo trovarla nella scena in cui Paolo si smarrisce nella metropoli: inattesa la distrazione di un padre ansioso come Gianni. Nella seconda parte, però, il film "cresce" in modo ammirevole. Allorché l'uomo libera il ragazzo dalle torture dell'ospedale, che si prende cura soltanto del suo corpo, e parte con lui per la Norvegia, alla ricerca di una fantomatica Kristine di cui Paolo ha fatto conoscenza via Internet. Il fiorire del rapporto culmina in un gesto simbolico (l'adulto getta in mare la stampella con cui il ragazzo è obbligato a camminare), facendoci intendere che Gianni sta imparando a essere padre. Frattanto, il regista si avvale dall'irresistibile simpatia di Andrea Rossi per spargere lungo la strada piccole perle di humour affettuoso. Il meglio intenzionato dei film hollywoodiani si accontenterebbe di questo, mandando a casa lo spettatore edificato da un finale consolatorio. Non così Amelio. Come il personaggio della "mater dolorosa" interpretato da Charlotte Rampling aveva pronosticato a Gianni, per il padre pentito la vita accanto a Paolo sarà irta di difficoltà. Amelio lo dice con la scena in cui il ragazzino afferra il volante dell'auto in corsa: piena di misura e pudica come tutto il resto ma che, per un istante, mette paura.
Autore critica:Roberto Nepoti
Fonte critica:la Repubblica
Data critica:

17/9/2004

Critica 3:Il primo piano di un uomo; in sottofondo, i rumori del bar di una stazione. L’uomo ha la faccia affaticata, concentrata, ma non arrabbiata: sta passando le consegne di un’esperienza difficile a un altro uomo, che vediamo nel controcampo, che sembra preoccupato, teso, quasi intimidito. L’esperienza difficile si chiama Paolo, ha quindici anni, è nato da un parto disgraziato che ha ucciso sua madre e segnato il suo corpo, e in quel momento sta dormendo sul treno che deve portarlo a Berlino, per una terapia di riabilitaziobne i una clinica specializzata. I due uomini sono, rispettivamente, lo zio che lo ha allevato e il padre che lo ha rifiutato dalla nascita e che ora si assume il peso di un viaggio traumatico. Pierfrancesco Favino (in pochi minuti che lo confermano tra i giovani attori italiani più interessanti) e Kim Rossi Stuart (nel primo ruolo cinematografico da protagonista che rende davvero giustizia alle sue qualità d’interprete), faccia a faccia, in uno scambio di battute carico di malesseri, sottintesi, paure, forse anche di aspettative. La prima scena di Le chiavi di casa di Gianni Amelio dà il tono di tutto il film: un film che si inanella, si racconta, senza svelare i suoi misteri (che sono quelli dei rapporti affettivi, delle anime inquiete, delle improvvise complicità, dei rifiuti, degli sbalzi d’umore, degli scatti d’ira) ma rendendocene partecipi; concentrato sui volti e i gesti dei personaggi, sulla loro quotidiana "fatica"; semplificato al massimo nel linguaggio, pulito ma non rarefatto, segnato semmai dalla pulizia delle emozioni; rispettoso e complice dei suoi protagonisti, dubbioso come loro. Un film fatto di treni e di oggettivi spaesamenti (non solo perché si svolge tutto a Berlino e in Norvegia, ma soprattutto perché il giovane protagonista Paolo è necessariamente spaesato di fronte alle azioni più banali e quotidiane), che, con il suo viaggio di conoscenza tra un padre e un figlio, può di primo acchito ricordare Il ladro di bambini, ma che sotto nasconde anche le amarezze e le violenze di Così ridevano, che forse nasce come gesto di liberazione emotiva rispetto alla nota tragica e oscura di quel film. Per la prima volta nel cinema di Amelio, un ragazzo riuscirà forse a salvare l’anima di un adulto (e questo è il tratto che più lo avvicina a Il ladro di bambini) e a salvarsi da lui senza essere costretto a fuggire (come accadeva al protagonista del primo cortometraggio, La fine del gioco, che di soppiatto scendeva dal treno). Per la prima volta, le forze affettive in campo si equilibrano, e non nel segno della compassione o della rinuncia, ma in quello del bisogno e del rispetto reciproci. Per la prima volta insieme, padre e figlio attraversano la città sconosciuta con curiosità e la clinica minacciosa con dolore: il padre è straziato dallo strazio cui la riabilitazione sottopone il corpo del figlio (in una delle scene più "forti" del film, dove Amelio riesce a tenersi miracolasamente lontano dal ricatto della rappresentazione del dolore), è affascinato dall’inesauribile energia di Paolo, ma è anche innervosito, esasperato, disperatamente consapevole della distanza che li separa e sempre li separerà. Il figlio è una forza della natura, un affabulatore tenerissimo (la scena della dettatura della lettera alla "amica di penna" norvegese, e certe inaspettate ironie nei dialoghi), un ragazzo che gioca, che coccola, ma che all’improvviso può incupirsi e partire per tornare a casa, quella casa della quale, orgoglioso, esibisce le chiavi e della quale sa raccontare, ora gioioso ora terribilmente atono, i riti quotidiani (pulire, fare la spesa, la lavatrice...). Gianni Amelio ci racconta i primi balbettii di questa conoscenza e la progressiva crescita di questo affetto con la naturalezza di un amore "normale": anche se circondate da istantanee di altre vite segnate dal dolore impotente della differenza (come quelle di Charlotte Rampling e di sua figlia, e di altri ragazzi che intravediamo nella clinica), dimentichiamo in fretta le anomalie fisiche di Paolo, come pare dimenticarle il padre, per vivere invece insieme a loro le inevitabili alternanze di un amore che nasce, le ombre di un passato rimosso, le inadeguatezze di un rapporto a due. Le anime in pena forse per una volta riusciranno a convivere, accettando le rispettive responsabilità. Per una volta il melodramma cede il passo alla commedia, tragica ma anche lieve, dei sentimenti.
Autore critica:Emanuela Martini
Fonte critica:Film TV
Data critica:

14/9/2004

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Nati due volte
Autore libro:Pontiggia Giuseppe

A cura di: Redazione Internet
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