Pride -
Regia: | Matthew Warchus |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | Teodora Film |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Diritti umani - Esclusione sociale, Diritti Umani - La libertà, Diritti umani - La politica e i diritti, Le diversità, Omosessualità |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | |
Sceneggiatura: | Stephen Beresford |
Fotografia: | Tat Radcliffe |
Musiche: | Christopher Nightingale |
Montaggio: | Melanie Oliver |
Scenografia: | Simon Bowles |
Costumi: | Charlotte Walter |
Effetti: | Nvizible |
Interpreti: | Bill Nighy - Cliff, Imelda Staunton - Hefina, Dominic West - Jonathan Blake, Paddy Considine - Dai, George MacKay - Joe, Joseph Gilgun - Mike, Andrew Scott - Gethin, Ben Schnetzer - Mark, Chris Overton - Reggie, Faye Marsay - Steph, Freddie Fox - Jeff, Jessica Gunning - Siân James, Joshua Hill - Ray, Lisa Palfrey - Maureen, Liz White - Margaret, Monica Dolan - Marion, Rhodri Meilir - Martin, Nia Gwynne - Gail, Kyle Rees - Carl, Karina Fernandez -Stella, Jessie Cave - Zoe, Matthew Flynn - Tony, Menna Trussler - Gwen, Jack Baggs - Gary,Bryan Parry - Kevin, Sophie Evans - Debbie, Abram Rooney - Dan, Derek Barr - Brian, Joseph Wilkins - Jason |
Produzione: | Calamity Films Production, Pathé, con il sostegno di Bbc Films-Proud Films-Bfi |
Distribuzione: | Teodora Films |
Origine: | Gran Bretagna |
Anno: | 2014 |
Durata:
| 120
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Trama:
| Inghilterra, estate 1984. Margaret Thatcher è al potere e i minatori sono in sciopero. Al Gay Pride di Londra, un gruppo di attivisti omosessuali organizza una raccolta di fondi per aiutare le famiglie dei minatori sciopero. L'Unione Nazionale dei Minatori sembra imbarazzata dal loro aiuto, ma il gruppo di attivisti non si scoraggia. Decidono, infatti, di incontrare i minatori e a bordo di un minibus si recano in Galles per consegnare di persona la loro donazione in persona. Avrà così inizio lo stravagante sodalizio tra due comunità sino a quel momento sconosciute l'una all'altra, unite per combattere la stessa causa.
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Critica 1: | Ci sono pezzi musicali che sapienti produttori progettano a tavolino, dosando gli ingredienti giusti affinché diventino quei tormentoni che ci si piazzano in testa per non mollarci più: ci piacciano o meno. Ecco, Pride è il perfetto corrispettivo cinematografico di quella roba lì: un film perfettamente pianificato per diventare quello che gli anglosassoni chiamano crowd pleaser, un prodotto cosparso di dolcificanti, coloranti e aromi sintetici che non può che stimolare (chimicamente) reazioni ben precise esattamente laddove desiderato. E non c'è resistenza che tenga. Nel raccontare l'avventura di uno sparuto gruppo di attivisti omosessuali intestarditisi nel voler dare supporto morale e finanziario alla protesta di una comunità di minatori del Galles, negli anni dello scontro frontale di entrambe le categorie con Maggie Thatcher, il regista Matthew Warchus e l'esordiente sceneggiatore Stephen Beresford sapevano benissimo di avere molto dalla loro: una tavolozza completa di temi, personaggi e situazioni dal sicuro impatto, uniti alla forza proveniente dalla spinta progressista etico-politica della "storia vera" e alla possibilità di lavorare su di uno snodo storico di grande rilevanza per la storia e la cultura inglese e del movimento omosessuale, complice l'emergere e l'avanzata dell'AIDS. I due non hanno dovuto fare altro che suonare le note giuste al
momento giusto, in maniera sicuramente prevedibile e un po' meccanica, ma di scontata quanto certa riuscita emozionale, alternando con discreta agilità l'esaltazione al dramma, la risata all'indignazione.
Oltre a un certo schematismo, è di sicuro la retorica il nemico numero uno di operazioni come quella di Pride: ma va riconosciuto che il film è in grado di essere molto trattenuto, evitando le trappole più comuni e gli eccessi di patetismo. Merito, anche, della classe di interpreti come Imelda Staunton, Bill Nighy, Paddy Considine e perfino Dominic West. Che allora si esca ringalluzziti e rassicurati, da un feel good movie come quello di Warchus, che associa Billy Elliot a Grazie, signora Thatcher, è del tutto normale. Così come lo è che la sensazione svanisca, impalpabile, dopo qualche manciata di minuti. |
Autore critica: | Federico Gironi |
Fonte critica | Cinefoum n. 535 |
Data critica:
| 6/2014
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Critica 2: | Pride è la storia dura e crepuscolare degli abitanti di Dulais, un piccolo villaggio del Galles del Sud, dove i minatori devono lottare contro le politiche economiche del governo Thatcher, le brutalità della polizia e l’opportunismo dei crumiri, solo per salvaguardare i propri diritti e la propria dignità di lavorati, in una corsa contro il tempo per mantenere in vita la Miniera, il cuore pulsante della loro terra. Pride, però, è allo stesso tempo il racconto colorato, eccitato e strafottente di un piccolo gruppo ottimista di gay e lesbiche londinesi, impegnato nella guerra quotidiana contro il pregiudizio di una società bigotta, tormentati dai fantasmi dei pestaggi fascisti e del contagio dell’Aids. Due trame, all’apparenza, diametralmente opposte, che s’incontrano quasi per caso, nel desiderio di trovare nella solidarietà con l’altro, in una battaglia comune dai tristi esiti scontati, la forza di rivendicare il proprio diritto alla felicità, il coraggio di gridare a un mondo spesso ottusamente distratto il peso della propria esistenza. Con le lacrime e con il sorriso. Il film del regista teatrale Matthew Warchus, grazie soprattutto allo script dell’esordiente Stephen Beresford (che insegue questa storia vera da circa venti anni), s’inserisce con coerenza e decisione nella grande tradizione della working class comedy e, guardando apertamente a pellicole come Billy Elliot, Full Monty e Grazie signora Thatcher, riprende con successo le atmosfere e i sapori delle opere più leggere della coppia Ken Loach-Paul Laverty. Pride riesce orgogliosamente a mantenersi in equilibrio tra i toni della commedia sfrenata stile Il vizietto (l’arrivo dei minatori a Londra) ai momenti più commoventi e toccanti (le parole di Bread & Roses cantate in coro, nel calore spartano di una casa del popolo). È ovvio che un film del genere viva principalmente da un lavoro di costruzione narrativa fatto al dettaglio, dove ogni risata e ogni emozione sono quasi telecomandate a distanza. Di fronte al ritmo invidiabile di una sceneggiatura che non sbaglia un colpo e a un cast immenso dove ogni personaggio ha il giusto peso e, il giusto spazio, però, anche l’artificiosità perde d’importanza capitale. Vedere da un lato i solidi Paddy Considine, Bill Nighy e Imelda Staunton e dall’altro i fantastici Dominic West, Andrew Scott e Ben Schnetzer incontrarsi in scena e fondersi tra loro con risultati cosi solari e coinvolgenti, al netto di tutte le trovate furbamente accattivanti e le derive (giustamente?) manichee, non può che calamitare le nostre simpatie. Perché spesso è giusto lasciarsi prendere dall’ingenuo entusiasmo delle giuste cause perse. |
Autore critica: | |
Fonte critica: | sentieriselvaggi.it |
Data critica:
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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