Cuore di vetro - Herz aus Glas
Regia: | Werner Herzog |
Vietato: | No |
Video: | Videogram, Number One Video |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Liberamente ispirato al racconto "Die Stunde des Todes" di Herbert Acheernbusch |
Sceneggiatura: | Herbert Achternbusch, Werner Herzog |
Fotografia: | Jorg Schmidt-Reitwein |
Musiche: | Popol Vuh |
Montaggio: | Beate Mainka Jellinghaus |
Scenografia: | Cornelius Siegel |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Wolf Albrecht (Sam), Joseph Bierbichler (Hias), Jonas Fischer (Agide), Stefan Guttler (Propriet. Fabbrica), Alois Hruschka (Gigl), Egmont Hugel (Toni), Brunhilde Klockner (Paulin), Sepp Muller (Ascherl), Agnes Nuissl (Anamirl), Volker Prechtel (Wudy),Clemens Scheitz (Adalbert), Sonja Skiba (Ludmilla) |
Produzione: | Werner Herzog Film Produktion Munchen |
Distribuzione: | Goethe Institut |
Origine: | Germania |
Anno: | 1976 |
Durata:
| 94'
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Trama:
| In una Baviera preindustriale, tra monti e vallate sepolte nella nebbia e nel mistero d'un'esistenza trascinata negli stenti e nella miseria, vive un piccolo villaggio che si assiepa attorno ad una vetusta vetreria di proprietà d'un nobile signore, paralitico da dodici anni, e del suo giovane rampollo. E' morto un maestro vetraio, portando con sè nella tomba il segreto della fabbricazione del vetro-rubino: il giovane padrone ne ricerca affannosamente ma inutilmente la formula, arrivando all'uso d'ogni mezzo, anche alla violenza, tanta è l'importanza che ha per lui e per la felicità di tutti gli abitanti la scoperta di quel segreto. Sacrifica persino Ludmilla, una sua domestica, illudendosi che il suo rosso sangue di vergine racchiuda in sè il mistero. Tra tutti gli abitanti del villaggio, si distingue Hias: è un mandriano dotato di chiaroveggenza. Egli prevede con chiarezza tutto ciò che puntualmente si avvererà di lì a poco tempo: la morte di Ludmilla, quella di due vecchi operai, l'incendio della vetreria (provocato dal giovane signore impazzito). Le sue apocalittiche profezie risuonano minacciose per tutti, fino a quando, accusato di portare il male e non soltanto di prevederlo, verrà rinchiuso in carcere con il giovane ricco impazzito: egli però riuscirà ad evadere ed a ritornare alle sue montagne, vivendo solitario in comunione con la natura. E' lassù che avrà l'ultima sua visione: un gruppetto di uomini, gratificati del dubbio che la terra sia veramente piatta, come ingenuamente credono i loro compaesani, viventi arrampicati come naufraghi su una scogliera sperduta nel mezzo del mare, si avventura su un fragile barchetta tra le onde insidiose alla ricerca della verità, attirati dalla speranza che di là ci sia veramente un altro mondo, come sembrano promettere i gabbiani che volteggiano sulle loro teste.
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Critica 1: | Nella Baviera del primo Ottocento un pastore profetico annuncia agli abitanti del suo villaggio l'incendio di una vetreria, fonte della prosperità locale. Esoterico, onirico, allucinato film dell'orrore e della follia con attori (non professionisti) che recitano in stato di ipnosi. E anche una parabola sull'apocalisse atomica. Musiche medievali e del complesso tedesco Popol Vuh. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Nella leggenda favola e profezia mescolano le loro utopie; nella visione i colori proiettano un mondo esagerato. La fede trae la sua forza sconvolgente dal nulla, da ciò che non è più o da ciò che non è ancora; il possibile appare lontanissimo, ai confini del verosimile. Una disperazione non percepita scorre nella speranza apparente che una nuova terra verrà conquistata al dominio dell'uomo. L'uomo della profezia ha lo sguardo fisso davanti a sé, ma ciò che vede è vomito della sua immaginazione.
L'ombra del tempo ricopre di incredulità segni non repressi, che si disperdono nella solitudine dell'invasamento. Ogni leggenda è la storia di una sconfitta, poichè la credenza poggia su avvenimenti senza prove, fatti accadere per volontà e desiderio; il presente smaschera l'artificio con l'assenza di ogni ricordo.
E la favola stempera l'autorità del concreto, ma solo per preparare il ritorno dell'infelicità. Eppure l'inutilità è la forza del pensiero che nutre il futuro di capovolgimenti; se esso non fa vacillare il presente, tuttavia tiene aperta la speranza del sogno, quel guardare qualcosa d'altro anche nella disperazione dell'attuale.
Cuore di vetro racconta una storia senza tempo, quando la paura convive con l'attesa. È la storia di uomini che hanno smarrito la felicità perché non sono più padroni della magia. Un terrore universale alimenta le palingenetiche visioni di Hias, triste e tenero pastore, artefice di una lotta disperata contro la storia. Abitatore delle montagne, dall'alto vede valli e catene di monti trasformarsi sotto la «pressione» del suo sguardo, creatore di metamorfosi. Hias è l'essere dell'immaginazione, che cancella i confini dell'oggettività e fa prosperare le emanazioni della mente. I suoi occhi non hanno davanti le composizioni della materia, lo spettacolo anche convenzionale che fa da sostegno alla comunicazione, ma un enorme schermo su cui una luce «interiore» disegna il dissolversi delle immagini prevedibili e il formarsi di incantesimi, di rivelazioni. In Hias si impone il dispotismo dell'immaginario, la costrizione di una «religione naturale», che a volte porta realmente all'esistenza i suoi artifici, oggettivandoli nel vuoto lasciato dalla alienazione di una realtà troppo povera di indizi per la sopravvivenza. II profeta realizza un'ipotesi mostruosa, se misurata alle resistenze della razionalità in eccesso di chiarezza; eppure in lui si afferma un diritto esistenziale alla credibilità dei miraggi. In Hias c'è l'angoscia, l'impazienza, il bisogno di intravvedere paesaggi diversi, che non ne placano il delirio, ma attuano la sublimazione della malattia. Egli è un inventore dell'utopia. In questa figura di pastore visionaro si raccoglie l'estasi che tien dietro al desiderio del nulla, alla volontà di distruzione, all'«ambizione» di poter disporre della materia in modo divino. Con la mente è possibile far crollare i contorni del visibile e allontanare il risveglio che confermerebbe l'evidenza dell'illusione. Nella tensione all'impossibile abita la sofferenza; l'umile profeta conosce il dramma dell'infinito, il «sacrificio» dell'intelligenza.
Cuore di vetro partecipa di un pensiero immanente, di una credenza nella parola, nel racconto che sposta le cose per fare spazio alle sue iperboli. Attraverso Hias Herzog svaluta la comprensione per ricreare sullo schermo le forze della diversità; una forma mentis, un'ossessione in positivo che «degenera» nella fantasia del nuovo. Dove non è in gioco la chiarezza (il film stesso non prospera in elementi di individuazione), ma l'intensità della contraddizione: la supremazia dell'intelletto versus l'affabulazione del sentimento. Herzog sosta nel fantastico a cercare un paradiso perduto, un universo dimenticato, un residuo di ingenuità, senza per questo accennare a qualsivoglia piacevolezza del ritorno. Quello di Herzog è un viaggio nelle derive dell'esistenza, tra esseri che non si sono adeguati alle usanze del volgo o non hanno trovato accoglienza per i loro destini. Sono le zone morte dello spirito, che il cinema però fa risaltare in immagini dense di significato e di vita. Herzog le riscatta, le porta ad espressione; il cinema si coniuga con l'immaginario per edificare, ancora una volta, la sostanza dell'artificio. In Cuore di vetro c'è la tristezza; essa ha origine nella malinconia. Qualcosa è stato perduto per sempre e non era nulla di misterioso. Era un colore che un uomo aveva saputo aggiungere, insieme alla forma, alla materia. Era una «parte» di bellezza, un'energia estetica. La morte di quell'uomo ha privato gli altri di un elemento vitale; senza quel rosso essi regrediscono, ritornano ad uno stato di imperfezione insopportabile. Il tempo comincia a marciare ed essi intravedono la morte. Va in perdita la loro ricchezza, la fabbrica decade, le fornaci si spengono. Nella loro avventura c'è la parabola della decadenza, la fine dell'età dell'oro. Nel villaggio circola la pazzia, le persone sono come allucinate, proferiscono parole che si perdono nel vuoto; mancano gli interlocutori, ognuno parla come se nessuno esistesse davanti a lui (pertanto l'ipnosi contribuisce alla connotazione dei personaggi), esprimendo così lo stato di grande smarrimento provocato dalla perdita dell'oggetto. Il vetro rubino determinava la coesione della comunità, l'unione delle anime, la felicità della convivenza. Era il significato del lavoro; concentrava in sé l'operosità, l'utilizzazione della materia informe, l'accadere della creatività.
La meraviglia del vetro è nel colore che sembra rubare la luce per trasformarla, per solidificarla in una trasparenza eternamente uguale, come un minerale limpidissimo formatosi nella notte dei tempi. E questo dà all'artefice un enorme potere, una capacità alchemica di fabbricare l'incorruttibile. Pertanto la sua opera è universale, appartiene anche a coloro che non conoscono il segreto, ma che dipendono necessariamente da lui, dalla sua magia. Perciò tutti i personaggi sono in lutto; Cuore di vetro si porta nelle immagini la presenza di quella morte, l'assenza di colui che controllava i destini degli altri uomini. Il film è dominato da un senso di sospensione, che si avverte anche nel suo scorrimento; i brani che lo costituiscono sono accostati senza linearità: sono aperture sui diversi quadri, legati tra loro più dallo stupore dello spettatore che non per necessità narrativa intrinseca. Così si passa dalla profezia alla leggenda, come in un sogno e quindi in modo indeterminato, nella visione del presente e nell'invasione del futuro. Nella perdita, nel dolore della penuria si innesta il desiderio del nuovo e le immagini di morte si aprono improvvisamente sui cieli, sul mare, sul vento, sulle nubi, in una luce biancogrigioazzurra che una pellicola molto sgranata riflette in tutta la sua fantasmatica meraviglia (il ricordo visivo va immediatamente a Fata Morgana o alle «apparizioni» di Kaspar Hauser). I colori della leggenda sono densi, oscuri, terrosi, come quelli creati dalla luce rovente della fiamma; nel villaggio il fuoco dipinge volti contratti, incrostati, segnati dalle falle dell'esistenza, all'esterno incombono rocce scure e bluastre. I colori della profezia sono ora pacatamente tenui ora tragicamente luminosi nella loro nordica consistenza. In Cuore di vetro il colore è la cristallizzazione del tempo; indica il passato e il futuro, la morte e la nascita, fagocita la temporalità per coagularsi in immagine durature. (…) |
Autore critica: | Angelo Signorelli |
Fonte critica: | Cineforum n. 236 |
Data critica:
| 8/1984
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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