Aprile -
Regia: | Nanni Moretti |
Vietato: | No |
Video: | Bm Video |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | I giovani e la politica |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Nanni Moretti |
Sceneggiatura: | Nanni Moretti |
Fotografia: | Giuseppe Lanci |
Musiche: | Nicola Piovani; brani di Jovanotti e di Ludovico Einaudi |
Montaggio: | Angelo Nicolini |
Scenografia: | Marta Maffucci |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Nanni Moretti (Nanni), Silvio Orlando (Silvio), Agata Apicella Moretti (Agata), Nuria Schoenberg (Nuria), Pietro Moretti (Pietro), Silvia Nono (Silvia), Corrado Stajano |
Produzione: | Sacher Film/Bac - Bac Films con la collaborazione di Raiuno e Canal Plus |
Distribuzione: | Tandem - Cineteca Lucana |
Origine: | Italia |
Anno: | 1998 |
Durata:
| 78’
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Trama:
| Il 28 marzo 1994 Nanni segue alla televisione, a casa della madre, i risultati delle elezioni politiche che vedono la vittoria della coalizione del centro destra. Nanni va allora in giro a filmare le manifestazioni organizzate dai partiti della sinistra, mentre dentro di sé cerca di concretizzare qualche idea per il suo prossimo film e torna a pensare all'idea del musical con protagonista un pasticciere trotzkista. Convoca allo studio Silvio Orlando al quale aveva anticipato il soggetto già nove anni prima. Ma intanto, siamo in autunno, Silvia, la sua compagna, gli comunica di aspettare un bambino che dovrebbe nascere intorno alla metà dell'aprile successivo. Quando arriva il primo giorno delle riprese del musical, Nanni non sente più la spinta necessaria e abbandona tutto. Passa del tempo e si convince sempre più che è suo preciso dovere preparare un film-documentario sull'Italia per spiegare il Paese a se stesso e a molti commentatori stranieri, soprattutto francesi, che non riescono a comprendere lo stato della situazione politico-sociale italiana. Per l'aprile 1996 vengono fissate nuove elezioni politiche e, in vista di quell'appuntamento, Nanni affida ai suoi collaboratori il compito di effettuare riprese, andare in giro, cogliere testimonianze. Silvia intanto cerca di spiegargli come sarà il parto, ma lui è molto agitato e cambia discorso, cerca di litigare, rifiuta inviti. All'ospedale nasce Pietro, poi ci sono le elezioni, la vittoria del centro sinistra, la felicità di Nanni. Dopo un mese, Nanni tiene Pietro in braccio e canta per lui. Alla fine dell'estate 1996 va a filmare la manifestazione della Lega a Venezia, e poi, nella primavera successiva, in Puglia documenta l'affondamento di una barca di profughi albanesi. Nell'agosto '97 Nanni festeggia il compleanno, è confuso, e decide di filmare solo quello che gli piace. Indossa una mantella da scuola, va in "vespa" in giro per Roma fino ad un vecchio capannone, dove finalmente assiste alle riprese del musical in pasticceria.
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Critica 1: | Film di famiglia e diario intimo, l'ottavo lungometraggio di N. Moretti comincia il 28 marzo 1994 (vittoria elettorale della destra berlusconiana), termina nell'agosto 1997 quando l'autore decide di tornare al cinema di finzione con un musical, e fa perno sul 18 aprile 1996 quando gli nasce il figlio Pietro, mentre, vinte le elezioni, il centrosinistra dell'Ulivo va al governo. È un film che dice e riferisce molto, insegna moltissimo, suggerisce poco, non racconta quasi mai. A differenza di Caro diario, il mix di privato e pubblico non è riuscito. Sul primo versante si limita a microesercizi autocritici di umorismo sulle fisime di padre attardato; sul secondo il resoconto è fiacco e smunto, se si tolgono pochi momenti (il corteo del 25 aprile 1994 a Milano sotto la pioggia, l'arrivo degli albanesi a Brindisi) e la bella invenzione del grande lenzuolo di ritagli di giornale. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Kataweb Cinema |
Data critica:
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Critica 2: | (...) Nel caso di Moretti, bisognerebbe forse parlare, come tanti hanno fatto e fanno, del problema della mancata stesura di un "film vero". Ma questo ottavo e mezzo film morettiano non ha nulla a che
vedere con 8 e mezzo di Fellini. Nel cinema di Moretti si cerca semmai di parlare della non ancora avvenuta stesura di una vita, una vita (prima di Pietro, è ovvio) troppo a lungo rimasta allo stato d'intenzione, come una lettera mai spedita: in pratica, l'Italia e la sinistra degli ultimi decenni, una generazione con le spallucce vittimiste dei tennisti italiani, sempre pronta a dare la colpa all’ arbitro o al net per le sue sconfitte. Da cui la convinzione di sempre, che più di un film sono importanti le esperienze che stanno al di là di esso.
Ecco, forse il succo è proprio questo: non certo andare al di là della vita, ma al contrario andare al di là di tutto quello che ci allontana dalla vita, delle ideologie e dei discorsi fatti dell’ Italia degli anni '70 e '80, delle polemiche inutili dei giornali, della politica e dei personaggi orrendi dei nostri giorni, ma anche al di là del personaggio cinematografico del narciso Nanni, e in definitiva, al di là del cinema stesso, di cui Moretti in Aprile sembra davvero ipotizzare una versione sempre più spoglia, sempre più libera e leggera. In fondo, è come se Moretti fosse ritornato attraverso un tragitto circolare alle sue stesse origini. Un filo neppure troppo invisibile lega la leggerezza dei super-8 del giovane autarchico con l'home-movie su Silvia e Pietro fatto dal babbo quarantenne (il destino ultimo del cinema: un video casalingo? Va detto: l'inquadratura di Pietro nella vaschetta è davvero molto bella). E la logica dello "straniamento" morettiano, del guardare le cose al di fuori delle convenzioni e con occhio diverso, che per ritrovare la libertà del piano sequenza del giro in Vespa si è dovuta disfare negli anni da tutto un bagaglio di pesantezza, passando attraverso la fissità delle inquadrature, la messa in ridicolo di certa sinistra, la denuncia del "parlar male", l'abbattimento delle prigioni dell'io nevrotico, e infine la messa in scena diretta del proprio corpo che soffre nell'episodio Medici. Certo, non ci si può liberare del tutto del linguaggio, del proprio io e del cinema. Ma alle necessità del dover dire e del dover essere si può unire il piacere crudele del fare a pezzi. Niente parole e immagini giuste, quindi, giusto delle immagini e delle parole... Tutto quello insomma che "non c'entra ma un po' c'entra", come la formazione culturale della giovane sinistra, che negli anni '70 passava il tempo a guardare Fonzie alla tv. Le parole inutili che non riescono ad "entrare" nella realtà, in verità c'entrano molto con la nostra realtà; l'uomo che odia il parlare male e che non c'entra niente con le inutili parole dei giornali, in realtà è immerso fino al collo di queste parole, ne è avvolto come da una immensa coperta fatta da ritagli di riviste e quotidiani; e, paradossalmente, anche un home-movie un po' c'entra con quello che siamo stati e siamo diventati (e meno male! Perché, ammettiamolo, l'affermazione "non ce ne può fregare di meno del bagnetto di Pietro", avrebbe più di una ragion d'essere...). Si ha un bel dire che Nanni sa solo guardare nel suo ombelico. C'è chi se lo può permettere, se non altro perché Moretti - caso raro - è una delle poche persone che parla solo quando ha qualcosa da dire (e, davvero, ci vuole una certa forza per dirci come siamo diventati, persone che non hanno più molto da dire...).
D'altra parte, nel cinema narcisista di Nanni Moretti, non è mai stato possibile mettere ordine al mondo e al proprio io. Magari, a tratti, ne è esistito il desiderio, ma l'anelito verso un "mondo perfetto" di Michele in Bianca e di Don Giulio in La messa è finita ha dovuto scontrarsi suo malgrado con una impossibilità, e con la concomitante necessità di frammentare e polverizzare quella generazione e quel mondo, di sottoporre con crudeltà l'io alle lame sferzanti dell'ironia, ad una pratica di continuo "straniamento" che poi non coinvolge solo la recitazione (siamo così sicuri che Nanni reciti male?) ma tutta la rappresentazione dell'Italia degli ultimi vent'anni, nella messa in discussione della transitività di certi linguaggi (cinema compreso). Di qui il gusto per il frammento autonomo e l'aforisma, l'incapacità di sempre per Moretti di costruire una "storia", un racconto compiuto con una teleologia riconoscibile in un itinerario che ci voglia o possa dimostrare qualche cosa. Nanni Moretti, contrariamente a tanti della sua generazione, non si è mai illuso di potere dominare il tempo e la Storia. Al contrario, ha sempre capito che noi, con i nostri difetti e aspirazioni, anche se cerchiamo di non accorgercene, siamo immersi nelle discontinuità del tempo e della Storia, nella miriade di parole inutili, intenzioni mai risolte e mai spedite. Il problema è che la Storia, il mondo, potrà anche non piacerci, ma è lì per invitarci a prenderci le nostre responsabilità, a ricordarci che qualcosa bisogna pur dirla (responsabilità che, è ovvio, diventano ancora più impellenti quando la vita e la Storia per la prima volta ci sorridono). E questa la moralità di Moretti, la sua capacità di fare un cinema esistenziale che parli del nostro rapporto con il tempo, la forza di un cinema "narcisistico" che è stato - esempio quasi unico nella cine-Italia degli ultimi decenni - "specchio" del nostro tempo.
E poi ora la vita, così a lungo chiamata in causa e attesa, finalmente ha dato un segno. C'è giusto il tempo di un nuovo giro in Vespa, per finalmente gettare al vento tutti i ritagli accumulati («Tutti i giornali, le parole che per tanti anni mi avevano fatto arrabbiare... Via! Via!»). Ora il musical sul pasticciere può forse davvero iniziare. Se non fosse che, come mi fa notare il compagno Rinaldo Censi, nel pieno delle danze tra torte e pasticcini Nanni proprio non ce la fa a non stringere a poco a poco l'inquadratura finale ancora una volta verso se stesso. Come dire: può anche darsi che 1`autistico" si sia messo da parte, ma dell “autarchico" non ci libereremo tanto facilmente. (…) |
Autore critica: | Michele Fadda |
Fonte critica: | Cineforum n. 373 |
Data critica:
| 4/1998
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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