Ci sarà la neve a Natale? - Y'aurat'il de la neige a noel
Regia: | Sandrine Veysset |
Vietato: | No |
Video: | Video Club Luce |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La condizione femminile |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Sandrine Veysset |
Sceneggiatura: | Antoinette de Robien, Sandrine Veysset |
Fotografia: | Helene Louvart |
Musiche: | Henri Ancillotti |
Montaggio: | Nelly Quettier |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Jeremy Chaix, Flavie Chimenes, Xavier Colonna, Daniel Duval, Jessica Martinez, Guillaume Mathonnet, Dominique Reymond, Fanny Rochetin, Alexandre Roger |
Produzione: | Humbert Balsan. |
Distribuzione: | Istituto Luce |
Origine: | Francia |
Anno: | 1997 |
Durata:
| 93'
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Trama:
| Nella campagna del Drome c'è una donna con sette figli che manda avanti una piccola fattoria agricola. Appartiene a un padre-padrone contadino, duro capitalista rurale, che ha, a pochi chilometri di distanza, un'altra fattoria e una famiglia ufficiale con due figli già grandi. Questa nuova Madre Courage, dolce, forte, ma vulnerabile, è così stanca della vita da essere tentata di aprire la stufa a gas per sé e i suoi sette amatissimi figli e farla finita. Tragedia soltanto sfiorata. Comincia a cadere la neve. È Natale. Si può continuare a vivere.
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Critica 1: | Alle stagioni che passano, agli spettatori che restano: così, su per giù, si legge fra i titoli che scorrono via veloci alla fine di Ci sarà la neve a Natale? (Y aura-t-il de la neige à Noël?, Francia 1996). Sono tre, appunto, le stagioni che si susseguono nel film. Dice Sandrine Veysset che, tornando nel Sud della Francia per girare le diverse parti di questa sua opera prima – dalla piena estate alla fine di dicembre –, una delle emozioni più forti era data proprio dalla gioia di misurare le trasformazioni del paesaggio, del clima, dei volti, il crescere veloce e il mutarsi portentoso dei bambini. Basta quest’osservazione, per intuire quanto di "materno" ci sia, in questo suo racconto che ha i tratti d’un realismo puntiglioso e quelli, complementari, d’una favola insieme crudele e dolce. Realistiche, certo, sono le atmosfere e i luoghi, la vita che trascorre sempre uguale di mattino in mattino, di fatica in fatica. Eppure, c’è qualcosa d’incantato, nel modo in cui la Veysset guarda il lavoro nei campi, i giochi dei bambini, l’immensità della calura d’agosto, l’ossessione del battere interminabile della pioggia. Una magia domina le immagini di Ci sarà la neve a Natale?, una magia che ci è ben nota e che tuttavia è tanto delicata e caduca che un nulla basterebbe a dissiparne gli effetti. Intessuta di memoria, questa magia evoca sensazioni lontane eppure ancora e sempre vive: il piacere di perdersi, bambini, nel "trionfo dell’esserci" d’un pomeriggio d’estate, o nel tempo sospeso d’un gioco inventato con povere cose rubate alla banalità della vita (magari, come nel film, con zucchine trasformate in velieri, o con piccole pietre e fango messi insieme fino a farne un villaggio in miniatura, ma grande come l’immaginazione). In fondo, il segreto dello sguardo incantato di Ci sarà la neve a Natale? è nel punto di vista dal quale la Veysset racconta: è lei stessa una di quei sette ragazzini che, ben più di vent’anni fa, s’affacciano alla vita confortati dall’amore sicuro d’una madre forte e solare. E questo vale non solo e non tanto in termini strettamente autobiografici, ma anche e soprattutto in termini d’emozione. Davvero, alla sua macchina da presa riesce d’essere leggera e intensa come la memoria. Dunque, il suo realismo non ha bisogno di farsi ridondante, pleonastico. Le è sufficiente accennare appena, perché qualcosa in noi – forse proprio la memoria di cui è intessuta la magia d’essere spettatori – porti a compimento significati, fatti, sensazioni. Così, quando il film smette d’essere solo realistico e si fa anche fiaba, in platea non s’avverte alcuno stacco improvviso. Anche fiaba, appunto, Ci sarà la neve a Natale? è a proposito del padre. Il suo egoismo è terribilmente realistico, al pari della sua avarizia e della sua cecità d’amore. È un Orco, quest’uomo che nega la legna al fuoco dei suoi figli, che li "usa" come animali o cose, che li tiene chini sul lavoro dei campi, che non si ferma di fronte all’incesto. Ma è proprio per questo che, anche nei momenti peggiori, qualcosa in lui resta dell’ambivalenza emotiva che d’un Orco fa appunto un Orco. C’è, nella sua immagine, come il ricordo d’un antico fascino negato, d’uno spavento che si vena d’amore, smarrendosi nella meraviglia del passato. Fiaba, ancora di più, il film è a proposito della madre. Per gran parte dei 90 minuti complessivi, la macchina da presa la segue, la osserva. Ne sfiora leggera e delicata i movimenti, il corpo, i vestiti, la fatica, il sorriso. Ne mostra – da lontano, come doveva apparire ai figli, più di vent’anni fa – il mistero silenzioso della passione con il suo uomo, evocata da lui con un cenno o una frase, brevi e sicuri come un comando, e poi nascosta dietro una porta chiusa. Ne racconta il furore deciso, senz’ombra di paura, quando le tocca difendere i figli dal loro stesso padre. Soprattutto, ne evoca la dolcezza, il senso di continua e immediata vicinanza, il calore. È lei, per i sette ragazzini in balia dell’Orco, il principio d’ogni sicurezza, la possibilità stessa d’inventare giochi colmi di meraviglia, di perdersi nel tempo sospeso dell’estate. Come solo nelle fiabe può accadere, appunto, basta un suo cenno, un suo tocco, per sentirsi felicemente presi nell’immensità d’una vita che inizia. Persino quando il realismo della vicenda minaccia di precipitare in tragedia, il tono della narrazione rimane fiabesco. Per i suoi sette figli, la morte avrà il sapore della vita: d’una vita trasfigurata dalla festa, dalla speranza d’un dono, dal gioco d’uno stanzone zeppo di letti, tutti insieme in attesa dell’indomani. E fiabesco è il finale imprevisto, con la neve che scende a coprire di bianco il mondo, promessa vitale di futuro. Un futuro che ora, infatti, è qui sullo schermo, in questo film dedicato alla gioia delle stagioni che passano e alla memoria degli spettatori che restano. |
Autore critica: | Roberto Escobar |
Fonte critica | Sole 24 Ore |
Data critica:
| 4/1/1998
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Critica 2: | |
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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