Teresa Venerdì -
Regia: | Vittorio De Sica |
Vietato: | No |
Video: | Mondadori Video, Twentieth Century Fox Home Entertainment |
DVD: | Hobby&Work |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto da un romanzo di Rudolf Torok |
Sceneggiatura: | Vittorio De Sica, Gherardo Ghepardi, Margherita Maglione, Franco Riganti |
Fotografia: | Vincenzo Seratrice |
Musiche: | Renzo Rossellini |
Montaggio: | Mario Bonotti |
Scenografia: | Ottavio Scotti |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Vittorio De Sica (Pietro Vignali), Adriana Benetti (Teresa Venerdi'), Irasema Dilian (Lilli Passalacqua), Guglielmo Barnabo' (Agostino Passalacqua), Olga Vittoria Gentilli (Lola Passalacqua), Anna Magnani (Loletta Prima), Elvira Betrone (direttrice orfanotrofio), Giuditta Rissone (istitutrice Anna), Virgilio Riento (Antonio), Annibale Betrone (Umberto Vignali), Nico Pepe (Dott.Pasquale Grosso), Clara Auteri Pepe (Giuseppina), Zaira La Fratta (Alice), Alessandra Adari (istitutrice Caterina), Lina Marengo (Maestra Ricci), Giacomo Almirante (secondo creditore), Arturo Bragaglia (primo creditore), Luciana Campion (orfanella), Federico Collino (Vittorio), Isa Di Marzio (orfanella), Liliana Farkas (orfanella), Luigi A. Garrone (terzo creditore), Walter Grant (nuovo Isp. Sanitario), Ilena Jurick (orfanella), Franca Leardini (orfanella), Anna Maresti (orfanella), Ines Martelli (orfanella), Armando Migliari (impiegato postale), Amina Pirani Maggi (signora impaziente), Giorgio Ravalico (il macellaio), Dina Romano (domestica), Carlo Simoneschi (Luigi) |
Produzione: | Aci Europa Film |
Distribuzione: | Cineteca Nazionale |
Origine: | Italia |
Anno: | 1941 |
Durata:
| 92’
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Trama:
| Un giovane medico, ispettore sanitario in un orfanotrofio femminile, suscita una simpatia nel cuore di una delle ricoverate, Teresa Venerdì, una trovatella di fervido ingegno e di ottimo cuore. Il medico non è un cattivo ragazzo ma è un po' scioperato, pieno di debiti, invischiato nella relazione con una cantante, ed è anche fidanzato con una sciocchina presuntuosa. Ma la brava Teresa riesce a tacitare i creditori, a mettere alla porta la cantante, a far rompere il fidanzamento e mettere giudizio al dottore che sarà ben felice di sposarla.
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Critica 1: | De Sica conosce bene il mestiere. Per capire con quanta finezza psicologica si rivolge all'attore basterebbe vedere come ha guidato davanti all'obiettivo le molte ragazze e ragazzine che formano il mondo vivace dell'orfanatrofio. (....) Finalmente, poi, in questo film si vedono volti belli, brutti, bruttissimi, come vuole sia la vita. |
Autore critica: | Enrico Emmanuelli |
Fonte critica | Tempo, n.132 |
Data critica:
| 4/10/1941
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Critica 2: | Garbata commedia social-sentimentale di Vittorio De Sica, frivola e amara, dal taglio decisamente teatrale, che ora s'inclina verso la farsa ora sfiora il dramma. Il protagonista, ineguagliabile per simpatia, si ritaglia il ruolo che più gli si confà, il mascalzone dal cuore d'oro. Eppure Anna Magnani col suo temperamento vulcanico gli ruba quasi sempre la scena, oscurando le due sbigottite ragazzette di complemento. |
Autore critica: | Massimo Bertarelli |
Fonte critica: | Il Giornale |
Data critica:
| 26 settembre 2003
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Critica 3: | Teresa Venerdì è tratto da un romanzo di Rudolf Tòrók, adattato da Gherardo Gherardi, Franco Riganti, Aldo De Benedetti e Cesare Zavattini (i tre ultimi non figurano nei titoli).
Il discorso si fa più determinato ed articolato. Intanto, la consistenza del carattere di un'Anna Magnani che, guidata dalla maestria di De Sica, si mostra qui già nel pieno delle sue possibilità di attrice (interpreta il ruolo della canzonettista Loletta Prima, amante generosa ed orgogliosa di Pietro Vignali, specialista nelle malattie dei bambini); e l' apprezzabilissima prova di Adriana Benetti, scelta tra gli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia e pienamente convincente nella parte di Teresa. Ciò per dire che il lavoro di regia dà molta importanza alla direzione degli attori, alla loro credibilità umana: la storia di Teresa Venerdì, fuori dalle personificazioni di De Sica, della Benetti e della Magnani (e sugli attori, tutti bravissimi, fa spicco Virgilio Riento, «il cameriere» Antonio), sarebbe ben povera cosa. La stessa importanza hanno gli ambienti e le situazioni.
L'attenzione al mondo degli adolescenti e dell'infanzia si vede quasi subito.
Nella seconda sequenza, Pietro si reca all'orfanotrofio di Santa Chiara ad occupare un posto di ispettore sanitario procuratogli dal padre. L'inquadratura viene letteralmente invasa dalle bambine e dalle ragazze dell'istituto (scendono le scale mentre Pietro le sale). È presente anche un discorso sulla decrepitezza delle strutture e delle istituzioni, sviluppato in collegamento con il precedente. Il personale dell'orfanotrofio ricorda molto il corpo insegnante della scuola frequentata da Maddalena.
In Teresa Venerdì i personaggi sono legati tra loro da rapporti molto precisi e perdono del tutto quella certa aria di figurine simboliche che ancora avevano in Maddalena zero in condotta e ancor più in Rose scarlatte. Pietro incontra la prima volta Teresa nell'infermeria dell'orfanotrofio, durante la visita a due bambine; arriva una piccola visitatrice che porta delle mele di nascosto alla sua compagnetta che ha l'orticaria: è forse la prima sequenza del De Sica più vero, più importante. Teresa, nata il 2 luglio 1924, figlia di ignoti, allevata dai coniugi Cirillo e Rosa Svampa artisti deceduti (questa è la sua cartella personale), tiene il suo diario nascosto nel baule dello Svampa e improvvisa recite involontariamente e teneramente straniate rispetto alla sua condizione: «Sì, o contessa, il freddo morde le nostre carni attraverso le vesti lacere. Se sapeste che strazio sentire i propri figli che chiedono pane e dover tacere...».
A questo teatro fa da contrasto quello di Loletta Prima (Magnani), con le sue canzoni che mischiano sfrontatamente lo spirito e la passione, il sacro e il profano: «Qui nel cuor, qui nel cuor... qui nel sen, qui nel sen...». Il film si sviluppa con un montaggio analogico e a tratti strettamente parallelo, cadenzato sul ritmo delle battute e sul comportamento dei personaggi. L’orfanotrofio funziona da luogo della verità, rispetto alle bonarie e comiche falsità, che Pietro Vignali mette in atto nella sua vita «esterna .Quando è fuori dall'istituto, Pietro sorride con occhio complice, lotta farsescamente con i creditori che lo assediano, recita la parte dell'innamorato di buona famiglia con la figlia di un materassaio arricchito che deve comprargli la villa paterna (così metterà a posto i suoi debiti), si abbandona all'amore scapigliato con la canzonettista. Tutto è estremamente fittizio, il suo divertimento Pietro lo subisce, più che viverlo veramente. Nell'orfanotrofio, invece, qualcosa scatta dentro di lui. Il rapporto con Teresa è diverso. La vita, per la ragazza, è dura. Spesso le tocca fare la sguattera in cucina, per via dei suoi «spettacoli d'impudicizia», quando recita in soffitta certe «scene d'amore con un certo Romeo»; e intorno ci sono le sue compagne, giovani e anche bambine. Spesso, quando Pietro arriva, le vede che fanno il girotondo. Man mano, si accorge dell'importanza della sua "infermiera". Poi, Teresa esce fuori dall'orfanotrofio. Esce materialmente, in una sera di temporale, per sfuggire alla condanna che teme le verrà inflitta da una specie di tribunale interno, dopo che è stato trovato il biglietto con «un miglione di baci» all'Ispettore Sanitario (biglietto che, ovviamente, aveva scritto l'amica "cattiva').
Ed è a causa di Pietro che le situazioni complementari fanno, per così dire, contatto, producendo lo scioglimento della vicenda in un modo un po' teatrale e un po' cinematografico. Teatrale per via dell'impostazione scenica: la casa di Pietro in cui confluiscono i vari elementi della struttura narrativa - e i commenti di Antonio, il cameriere ingenuo, buono ed ignaro, che si rivolge al pubblico per dire che lui con tutto quell'intreccio incomprensibile ci si diverte tanto (e così rende la storia assurda, meccanica, surreale ed accettabile agli spettatori, che hanno un codice per leggerla e non sono costretti ad immedesimarsi troppo). E cinematografico, per via di un certo modo di costruire il montaggio in parallelo sin dall'inizio, per poi "stringerlo" nella confluenza delle situazioni e delle battute, fino a dominare il finale con un procedimento tipico del cinema: il "dolly".
Ma vediamo appunto l'ultima parte del film. C'è un momento in cui arrivano a casa di Pietro (questa casa che si deve vendere per pagare i debiti) Teresa, tre creditori e Lilli, la figlia del materassaio arricchito, poetessa estemporanea che ha - così dice sua madre - «la stessa malattia di Dante, Petrarca e Raffaello». Antonio, il "maggiordomo", scambia Teresa per una sorella di Pietro e le racconta che il dottore è carico di donne, tra cui una canzonettista che gli toglie tutti i quattrini. Così, arriva anche Loletta Prima, nome d'arte di Maddalena Fortini.
Ed ecco sottolineato con forza il tema comune anche a Zero in condotta una donna muove il destino di "De Sica" e lui non lo sa. La differenza è che mentre Maddalena nel film precedente guidava e determinava apertamente e consapevolmente la storia (la sua condizione sociale le dava sicurezza: Maddalena, ragazza intelligente, aveva capito che in quella scuola i compiti e le lezioni non erano la cosa più importante), qui Teresa sembra subire il destino come una vittima innocente. In realtà, ha una grande capacità di vivere attivamente il suo ruolo e di vincere - utilizzando le stesse armi della recitazione - la battaglia con Maddalena-LolettaMagnani. Teresa si finge sorella di Pietro e sostiene con Loletta che il matrimonio con Lilli è necessario perché il padre di Pietro non può più aiutarlo; c'è stato un raccolto andato a male, l'incendio del castello di proprietà e il fallimento; la famiglia di Pietro è ridotta alla fame, per questo lei, sua sorella, è lì a chiedere aiuto: «Se sapeste che strazio sentire i propri figli che chiedono pane...».
Con Lilli, invece, Teresa lascia il ruolo teatrale e prende quello della “verità": Pietro si è "fidanzato" solo per denaro. Pietro è assente mentre il suo triplice destino si scioglie. Quest'assenza chiarisce la sostanza del personaggio e non solo per Teresa Venerdì, ma anche per i film precedenti, compresi quelli in cui De Sica era soltanto un attore. Il bel giovane sorridente e "mascalzone", rubacuori leggero e di successo, è un assente dalla vita vera, viene manovrato programmaticamente da chi, a proprio fine o per alienazione, vede il mondo con l'occhio deformante di una cinepresa che non vuol vedere, di un'industria senza cultura, di un progetto senza prospettiva.
La storia di Teresa Venerdì si risolve in un certo modo perché ad un certo punto succede, come dice Riento nel suo linguaggio popolaresco, «la finizione del mondo». I personaggi, cioè, vengono stritolati da un ingranaggio che li porta a chiudere il film con il trionfo della bontà, della sincerità del sentimento, della giustizia individuale. Pietro capisce che Teresa è veramente innamorata di lui e che è una brava ragazza. Dunque, mette "la testa a posto" e la sposa. Questo matrimonio Teresa se lo vede piovere addosso senza neanche avere il tempo di dire «sì»: il destino che si compie è un destino cinematografico. I due giovani escono dall'ufficio postale, dove Pietro ha fatto un telegramma al padre: «Urgono 40 mila, in compenso accetto posto ospedale Teramo. Mi sposo». La macchina da presa si solleva a dominare la scena, come il destino.
L'universo del racconto trova la sua forma di chiusura più usuale. Ma nella stessa accettazione della "macchina" ha cominciato a farsi largo una tensione espressiva, una misurata ricerca di autenticità. |
Autore critica: | Franco Pecori |
Fonte critica: | Vittorio De Sica, L’Unità/Il Castoro Cinema |
Data critica:
| 2/1995
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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