Giungla di cemento (La) - Concrete Jungle (The)
Regia: | Joseph Losey |
Vietato: | 14 |
Video: | |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Jimmy Sangster |
Sceneggiatura: | Alan Owen |
Fotografia: | Robert Krasker |
Musiche: | Johnny Dankworth |
Montaggio: | Reginald Mills |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Gregoire Aslan, Frank Saffron, Stanley Baker (Johnny Bannion), Jill Bennett, Rupert Davies, Patrick Magee (Barrows), Margit Saad (Suzanne), Richard Shaw, Sam Wanamaker (Milke Carter) |
Produzione: | Jack Greenwood per la Anglo Amalgamated |
Distribuzione: | Rank |
Origine: | Gran Bretagna |
Anno: | 1960 |
Durata:
| 97'
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Trama:
| Dopo alcuni anni di carcere John Bannion esce e raggiunge la donna amata, deciso a godersi la vita, ma è ucciso dagli ex complici che vogliono recuperare la refurtiva nascosta.
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Critica 1: | Dopo una prima parte in carcere in cui spicca la figura di un secondino (P. Magee) corrotto e sadico, il film diventa il ritratto di un angelo caduto che conserva una sua integrità morale in un universo depravato e violento. Non a caso uno dei due sceneggiatori è il commediografo cattolico Alun Owen. Geniale l'apporto dell'operatore R. Krasker e dello scenografo R. McDonald. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | (…) The Criminal (Giungla di cemento, 1960) (…)delinea dichiaratamente, attraverso il disegno del carcere, una topologia del cinema loseyano. Lo stesso Losey ha alimentato la leggenda secondo cui si sarebbe infaticabilmente documentato sull'ambiente carcerario, ma queste cauzioni di realtà appaiono evidentemente una sorta di difesa preventiva, una excusatio talmente non petita da far sorgere parecchi dubbi. In realtà, poco importa che i penitenziari inglesi degli anni '50 assomiglino o meno a quello descritto nel film: ciò che importa è che Losey utilizzi questa topologia del luogo chiuso come luogo perfettamente perlustrabile e come luogo della messa in esperimento. Dice Bannion, il protagonista del film: « Non dobbiamo lasciare niente al caso e allora riusciremo. Ne sono certo ». La stessa frase si attaglia alla perfezione al metodo loseyano e a questo si attaglia altrettanto perfettamente la scelta del luogo controllabile in ogni suo punto.
(...) in generale gli esterni del film rientrano nella convenzione di un cinema d'azione di medio livello (vedi il suspense nella scena del taxi durante la rapina, o l'inseguimento finale con montaggio a stacchi rapidi); e in questo senso tutte le riprese fuori del carcere, anche quelle in interni, funzionano come veri e propri esterni. Il bianco di casa Bannion indica, invece e nuovamente, che in Losey «il décor è un personaggio idealizzato» (Ledieu); il kitsch della donna nuda dipinta sulla porta del bagno, la scena della festa con Susan che arriva attraverso l'occhio di un caleidoscopio (una scena costata un giorno intero di lavorazione), il nero e sontuoso pianoforte che troneggia nella sala - tutto ciò funziona solo come informazione suppletiva sul personaggio Bannion: senza queste sequenze il film sarebbe stato magari meno comprensibile, ma non meno interessante. Il film gioca tutto sulla contrapposizione fra carcere e fuori del carcere (checché ne dicano Ledieu e Fink, invocando una continuità fra l'imposizione della società e la restrizione carceraria) e il luogo semanticamente privilegiato è proprio il primo. È nel carcere che si spingono al massimo livello di saturazione il controllo e l'assoggettamento, è lì che la distinzione fra repressori e vittime è ben definita e che la gerarchia fra reclusi instaura una partizione in gironi danteschi che non manca di riprodursi in inferni figurativi.
Set e carcere come luoghi perfettamente classificabili e controllabili, come luoghi in cui l'eterogeneità del reale implode con una propria apparente a-significanza, sono anche le condizioni preliminari dell'esperimento scientifico: rese costanti e ininfluenti le condizioni al contorno, si produce la messa in evidenza di un processo particolare, che può essere così studiato senza interferenze esterne. Nasce di qui quello che abbiamo chiamato in precedenza il distacco loseyano, con la conseguente sostituzione della macchina-soggetto all'occhio. I risultati dell'osservazione di un tale preparato (la messa in scena profilmica) sul vetrino (il luogo chiuso) attraverso l'occhio neutrale della mdp sono impensabili e insospettabili, anche perché i travelling, i dolly, gli inganni prospettici dei riflessi e degli specchi, compongono un'armonia ammirabile e squisita, ma tanto minuziosa «da non permettere che all'esplorazione meticolosa dei perquisitori sfugga una sola frazione di millimetro» (Lacan).
The Criminal è anche luogo della dissoluzione delle tassonomie, dell'infrazione alle norme: l'omosessualità latente fra Barrows e Bannion, ad esempio, si struttura già secondo quel modello finora appena intravisto che è il doppio, in base al quale il raddoppiamento diventa il primo passo per una caduta d'identità (e quindi di riconoscibilità) del reale. Nella sua eterogeneità, il panottico finisce così per rivelare, al di sotto del suo ordine, una latente tendenza al caos, all'imprecisione, all'incontrollabilità.
Qui scatta la contraddizione, tipicamente loseyana, tra visione e narrazione, che trae in inganno anche gli " addetti ai lavori " avvezzi a ricercare presunti " messaggi " più nella narrazione che nella visione. Da un punto di vista narrativo, infatti, The Criminal sembrerebbe racchiudere il suo senso in una dimensione misticheggiante: l'angelo caduto (Bannion) che conserva una sua integrità morale in un mondo depravato e violento, ma che trova la forza proprio negli ultimi istanti di vita per recuperare il valore della fede - e via dicendo. In questo senso sembrano agire anche altri segni, come il segno della croce alla notizia della morte di un compare, i crocifissi ben in luce nella cella del matto (nell'edizione italiana chiamato addirittura Paolino!), le messe in carcere, oltre alla presenza come sceneggiatore del cattolico Alun Owen. |
Autore critica: | Giorgio De Marinis, Gualtiero Cremonini |
Fonte critica: | Joseph Losey, Il Castoro Cinema |
Data critica:
| 3/1981
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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