Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità - At Eternity’s Gate
Regia: | Julian Schnabel |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | |
Genere: | Biografico |
Tipologia: | Spazio critico, Arte |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | |
Sceneggiatura: | Jean-Claude Carrière, Julian Schnabel, Louise Kugelberg |
Fotografia: | Benoît Delhomme |
Musiche: | Tatiana Lisovskaya |
Montaggio: | Louise Kugelberg, Julian Schnabel |
Scenografia: | |
Costumi: | Karen Muller Serreau |
Effetti: | |
Interpreti: | Willem Dafoe, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Rupert Friend, Mathieu Amalric, Niels Arestrup, Stella Schnabel |
Produzione: | Iconoclast, Riverstone Pictures, SPK Pictures |
Distribuzione: | Lucky Red |
Origine: | Gran Bretagna/Francia/USA |
Anno: | 2018 |
Durata:
| 110'
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Trama:
| Un insieme di scene ispirate a dipinti di Vincent Van Gogh, eventi della sua vita comunemente accettati come fatti realmente accaduti, dicerie e scene completamente inventate. Il fare arte dà l’opportunità di realizzare qualcosa di concreto, che esprime una ragione di vivere, se esiste una cosa simile. Nonostante tutta la violenza e le tragedie sofferte da Van Gogh nella sua esistenza, non c’è dubbio che abbia vissuto una vita caratterizzata da una magica, profonda comunicazione con la natura e la meraviglia dell’essere. L’opera di Van Gogh è fondamentalmente ottimista. Le convinzioni e la visione alla base del suo singolare punto di vista rendono visibile e fisico ciò che è inesprimibile. Sembra essere andato oltre la morte, incoraggiando gli altri a fare altrettanto.
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Critica 1: | Un altro film su Van Gogh? No, in effetti. Nonostante la somiglianza spudorata che sfoggia Willem Dafoe, i luoghi e i fatti della vita del pittore (qui in forma aneddotica e didascalica, là letteralmente inventati), Theo e Paul (Gauguin), le lettere e i quadri (presenti in quantità generosa), perfino la storia degli schizzi ritrovati nel 2016 (veri o falsi, poco importa).
Il film di Julian Schnabel è tutt'altro che biografico, se ne frega del “realismo”, usa i documenti come fonte di ispirazione, non certo di ricostruzione informata. Il suo scopo, da regista-pittore, è parlare dell'atto di creare un quadro, di cosa significhi essere un artista (la storia parte da una ragazza che chiede “perché?”, domanda che gli verrà ripetuta ossessivamente, spesso in soggettive in primo piano). O per dirla alla Schnabel – che non è certo uno modesto: – «L'unico modo di descrivere un'opera d'arte è fare un'opera d'arte».
Ed ecco allora questa meditazione su Van Gogh, o meglio, sulla sua capacità di vedere cose che noi non possiamo vedere, se non attraverso i suoi quadri. L'eternità che legge in un paesaggio piatto. L'energia che pervade l'universo. La luce, divina, sovrannaturale.
Schnabel sceglie spesso il camera a mano e un montaggio sincopato, cerca il movimento, il tratto, il gesto, l'immagine sghemba, usa filtri e fuori fuoco, insegue la frenesia con cui Van Gogh realizzava i suoi quadri, non vuole una banale mimesi della sua opera ma il senso, l'intuizione, la visione fulminante. (...) Ci pensa poi Jean Claude-Carrière – mica uno qualsiasi – a dare sostanza agli incontri di Van Gogh, alle sue riflessioni, alla sensazione di essere sempre sull'orlo della follia, a dialoghi notevoli come quello che lo oppone a un prete, a cui Vincent affida la parte di Pilato (visto che lui si paragona volentieri a Gesù). (...) |
Autore critica: | Fabrizio Tassi |
Fonte critica | cineforum.it |
Data critica:
| 2/1/2019
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Critica 2: | Van Gogh ha le tele e il treppiedi sulle spalle a mo' di zainetto, cammina svelto attraversando i campi di grano, e lo spettatore in quei primi piani ossessivi cammina con lui, accecato dal sole della Provenza che penetra nello schermo. Si siede, allarga le braccia come Cristo in croce, mentre il vento sferza il grano giallo, e pensi che Willem Dafoe (è lui a ridargli vita) aveva portato la passione di Gesù al cinema, prendendosi una pausa dai suoi ruoli di carnefice. Qui torna borderline, col suo volto lavorato dal tempo, la fronte solcata dalle rughe. L'attore americano ha 63 anni, Van Gogh 37 quando morì, eppure la differenza d'età, sotto il cappello di paglia che portava come una divisa, non si nota proprio. Accolto da un grande applauso, At Eternity's Gate è un viaggio nella mente di Vincent Van Gogh: è il ritratto personale di Julian Schnabel (lo ha scritto con Carrière) che non è solo regista ma pittore, l'omaggio di un artista a un altro artista. |
Autore critica: | Valerio Cappelli |
Fonte critica: | Corriere della Sera |
Data critica:
| 4/4/2018
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Critica 3: | Le mystère Van Gogh. Come può il mezzo di riproduzione (cine)fotografica raccontare la pittura, o addirittura la visione e la percezione di un’artista? Se lo chiedeva già 60 anni fa Henri-Georges Clouzot in Il mistero Picasso. Allora il cineasta francese optava per una scelta documentaristica che filmava lo stesso Picasso nell’atto di trasformare una tela bianca in una sua opera. Oggi al cospetto di Vincent Van Gogh Julian Schnabel sceglie di plasmare un biopic molto stilizzato che fonde l’aneddotica narrativa con l’estetica visionaria, prendendo spunto direttamente da alcuni capolavori del pittore olandese. “L’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte” dice del resto il regista stesso, che qui torna a cimentarsi nel film biografico autoriale dopo Basquiat e Prima che sia notte. Da qui la scelta di usare la macchina da presa come fosse un pennello e cercare di riprodurre visivamente i velocissimi impulsi mentali e percettivi che muovevano la pittura di Van Gogh. “Dipingi troppo velocemente, i tuoi dipinti sembrano più opera di uno scultore” dice Gaugin a Vincent. Schnabel cerca di trasmettere cinematograficamente questa velocità di “visione”, soprattutto il rapporto tra natura, ambiente e l’essere umano Van Gogh. La ricezione dei paesaggi, della luce. Ma anche la sofferenza per una pittura innovativa e incompresa.
Non è un caso quindi che Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità si concentri solo sugli ultimi quattro anni di vita del pittore, quelli più intensi e creativi. Abbiamo l’incontro parigino con Gaugin nel 1886, da cui scaturirà un’amicizia controversa, il soggiorno ad Arles, la follia, il taglio dell’orecchio, la degenza al nosocomio Saint Rémy, e la morte per un colpo d’arma da fuoco nel 1890. Schnabel, autore anche della sceneggiatura, riflette sull’opera del pittore rielaborando carteggi, studi e sposando persino teorie antiaccademiche sulle cause della morte, avvenuta qui non per un suicidio, come sempre raccontato dagli storici, ma per mano di due ragazzi (lo ipotizza il libro Van Gogh The Life pubblicato nel 2011). |
Autore critica: | Carlo Valeri |
Fonte critica: | sentieriselvaggi.it |
Data critica:
| 2/1/2019
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | |
Autore libro: | |
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