Pauline alla spiaggia - Pauline à la plage
Regia: | Eric Rohmer |
Vietato: | No |
Video: | Creazioni Home Video |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Diventare grandi |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Eric Rohmer |
Sceneggiatura: | Eric Rohmer |
Fotografia: | Nestor Almendros |
Musiche: | Jean Louis Valero |
Montaggio: | Cecile Decugis |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Amanda Langlet (Pauline), Arielle Dombasle (Marion), Pascal Greggory (Pierre), Feodor Atkine (Henri), Simon De La Brosse (Sylvain) |
Produzione: | Les Films Du Losange, Les Films Ariane/Margaret Menegoz |
Distribuzione: | Cidif |
Origine: | Francia |
Anno: | 1983 |
Durata:
| 94'
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Trama:
| Pauline è una graziosa tredicenne, che passa gli ultimi giorni di vacanza settembrina con la seducente zia Marion, in una villetta sulle spiagge di Normandia. Mentre incontra un coetaneo (Sylvain) con cui fa presto a stabilire un franco rapporto di simpatia e di amicizia, essa assiste a tutto il complesso gioco dei sentimenti e delle attrazioni degli adulti. C'è Pierre che, un tempo innamorato pazzo di Marion (che è divorziata) l'ama ancora e in forma gelosamente possessiva; c'è il di lui amico Henri, un play boy vacuo e chiacchierone quanto interessante, che filosofeggia con Marion sull'amore, ma ne diventa ben presto l'amante. Marion vorrebbe addirittura gettare la nipote nelle braccia di Pierre, che tuttavia rifiuta. Intanto Henri tradisce tranquillamente Marion con Rosette, una semplice venditrice da spiaggia. Non mancano gli equivoci, mossi dai sospetti di Pierre, che crede di aver visto Marion nella camera di Henri, allorchè quel giorno si trattava invece della disinvolta Rosette. Nell'equivoco viene addossata la colpa dell'incontro sulle spalle di Sylvain (peraltro assolutamente innocente), il che provoca l'amara delusione di Pauline, che in fondo se ne è innamorata. Poichè Henri decide improvvisamente di partire in crociera (ben inteso, con altra sua amica), Marion rimane sola e delusa anch'essa (è la eterna cercatrice dell'amore vero), Pierre termina la sua stagione di "surf" sempre chiuso nel suo inutile e respinto affetto e Pauline è sedotta da Sylvain. Finite le vacanze, zia e nipote rientrano a Parigi. Pauline, senza volerlo espressamente, ha avuto quella iniziazione amorosa, che lo strano clima e i molteplici rapporti umani cui ha assistito hanno, in un certo senso, favorito, tuttavia sciupandola.
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Critica 1: | La bella divorziata Marion (A. Dombasle) e sua nipote, la tredicenne Pauline, passano gli ultimi giorni di vacanza in settembre su una spiaggia della Normandia. Pauline fa il suo apprendistato amoroso, ma i modelli adulti a disposizione non sono raccomandabili. Terzo episodio della serie Commedie e proverbi ("Chi parla troppo si danneggia", Chrétien de Troyes), è una commedia elegante sullo sfondo di un paesaggio alla Dufy affidata interamente al dialogo. Puro teatro senz'essere teatrale. Fotografia di Nestor Almendros. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Il tempo immobile
Quando i protagonisti di Pauline à la plage si trovano a discutere sulle diverse specie d'amore, Marion difende tenacemente la sua ipotesi che il “coup de foudre” ne sia la forma superiore. “L'amore che brucia è un amore superficiale interviene qualcuno. -“No!” - risponde Marion - “E' l’amore vero perché permette di cogliere sulla superficie,in un istante, l'invisibile”. E tutto il film, del resto, non consiste altro che nell'ossessiva discussione attorno a due diverse concezioni dell'amore, quella cui si riferiscono Pauline Pierre, che contempla la durata, e quella prediletta da Marion e Henry, che preferiscono il bruciare. Il dialogo sul tempo e la durata rappresenta non solo il cuore tematico del film di Eric Rohmer, ma anche la cifra stilistica che regola scelte di regia dell'autore francese. Il discorso amoroso trasmuta in discorso sul tempo e, in questo senso, il set scelto da Rohmer risulta perfetto: un luogo assolato di villeggiatura, una spiaggia senza riparo dalla luce bianchissima, una .porzione di tempo sospesa in cui i personaggi sanno (o non sanno) di vivere una condizione eccezionale.
Il vaso con i pesci rossi che rifrange luce nella, penombra della stanza di La femme de l'aviateur(1981) e la pioggia che batte insistente, Parigi, sempre nel primo film della serie “Comedies et proverbes”;l’analisi minuziosa dei fondo marino e i corpi folgoranti nella luce solare di La collezionista (1967): ecco le suggestioni acquatiche predilette da Rohmer (un teorico, non dimentichiamolo, della “trasparenza” cinematografica) e che ritornano, enfatizzate, in Páuline à la piage. Così come la giovanissima Haydée, mentre si bagnava nei mare limpido de La collezionista, veniva sezionata dalla macchina da presa, allo stesso modo il corpo di Marion, protagonista di Paulíne, è presentato nella luce abbagliante dell'estate e dei mezzogiorno, luce cruda e senza possibilità di riparo; una sorta di arena soffocata, insomma, in cui i sentimenti vengono spinti al parossismo e la nudità spinge gli interpreti a dichiararsi. Se la trasparenza dell'acqua in estate e i tagli di luce che rifrange nell'aria possono divenire motivi - chiave del cinema di Rohmer è perché rispondono ad una precisa strategia di teatralizzazione e riduzione a “vetrina” dello spazio, mentre, contemporaneamente, fingono di adempiere ad una esigenza di realismo ben radicata, riassunta da Rohmer in una affermazione del 1971: “La fotografia di Almendros (da allora suo operatore preferito. N.d.r.) tende a legare i personaggi allo sfondo,a bagnarli di luce. Sempre. È una fotografia più sulle modulazioni che sui contorni ( ... ) non mi piace affatto quella maniera surrealista di staccare l'oggetto, di isolarlo, di farne, se volete, un'entità”. A questa predilezione per un certo tono fotografico, va accostata quella per il 16 mm., quando gonfiato, produce una sgranatura che preserva, secondo Rohmer, dalla laccata perfezione cartolinesca dei 35 mm colore. E non è tutto: il regista si ostina anche in una dura polemica sul formato, che, almeno per quanto riguarda il suo cinema, deve respingere l'artificiosa magniloquenza del panoramico, a favore, invece, dei vecchio standard 1:33, ormai totalmente in disuso, ma dall'aspetto più artigianale ed equilibrato in proiezione.
(…)L'episodio centrale di Pauline à la plage quello in cui si dispiega l'equivoco più intrigante, è anche il momento in cui, più esplicitamente il cinema di Rohmer dichiara la sua predilezione per lo sguardo incompleto e ingannevole. Così come può accadere che i personaggi di Rohmer dimentichino di vedere, cadendo addormentati come la Marchesa Von 0 e favorendo, dunque, l'intreccio e l'equivoco con la loro incoscienza, allo stesso modo si potrebbe dire che il sistema di
sguardi che regola il cinema dei regista francese è interamente costruito sulla pregnanza significante dell'invisibile, di ciò che rimane fuori campo.
La femme de l'aviateur, ad esempio, esibisce una continua fuga in avanti dello sguardo, che prevede anche una irresolvibile e fatale incompiutezza (basti pensare alla Polaroid che non riesce a fissare i due amanti e alle fotografie strappate cui mancano frammenti fondamentali) e pregiudica l'investigazione. Per questo, nello stesso film, Lucie poteva rispondere a François che le chiedeva cosa stesse guardando: “Je vous regarde en train de regarder”. Pauline à la plage superbamente completa questo intreccio di sguardi furtivi, rubati o incompiuti che sembra essere la caratteristica della serie “Comédies et proverbes” e vi aggiunge la idea forte di questo corpo mancante alla finestra, sottolineato dall'apparizione del corpo nudo della ragazza che sembra, invece, voler dire tutto e che Pierre considera un indizio sicuro.L'illusione dura un attimo, il tempo di lasciarci intendere che proprio la finestra è l'elemento feticcio dei cinema - di -sguardo di Rohmer: la finestra luogo di luce e di inganno, trappola invitante per l'ingenuo cacciatore di indizi.
Ma l'episodio dell'equivoco (chiamiamolo così, anche se, in realtà, Henry era davvero con un'altra donna), allude anche al ruolo del caso, al suo affiorare ineluttabile dentro tutta la produzione del regista francese che appunto al caso affida il compito di far, prima o poi, vacillare le verbose e labirintiche certezze degli interpreti, distruggendo anche, con la propria inconsistenza, le variegate ipotesi dì indagine messe in piedi dai protagonisti dei suoi film (che sono, quasi sempre, delle strutture (“detective – story”).Neppure la parola, insomma - sovrana nel cinema di Roh-mer - si rivela veritiera e capace di resistere agli assalti della casualità: il caso introduce l'ambiguo, contrasta con la attenta messa in scena teatrale dei personaggi. E poi la parola si consuma e distrugge da sola, per abuso. Rohmer ci avverte del pericolo in cui incorrono i suoi salottieri per-sonaggi, completamente immedesimati nel “discorso amo-roso”, quando premette al film la frase di Chretien de Troyes “Quì trop parole il se mesfait” (“Chi parla troppo, fi-nisce per ingannarsi”, più o meno). Tutti i personaggi di Rohmer - e in particolare quelli della serie Comédies et proverbes - stabiliscono attraverso il dialogo, la parola, il “bavardage”, un mondo di desideri e di volontà, propongono la propria identità etica di riferimento, che precipita poi in un attimo a causa dell'intervento di un elemento qualsiasi e casuale. Ed è proprio dal contrasto tra il realismo quotidia-no dei dècor e la fredda determinazione di ciò che i perso-naggi espongono di se, che nasce la malizia accattivante del cinema di Rohmer.
Un classico contemporaneo
Tutti i personaggi - adorabili intellettuali dall'abito casual ma un po' dandy - si ostinano in qualche amore, in qualche strategia, in qualche fallace ipotesi, ma soprattutto si ostinano a parlarne e a parlarcene, come se il desiderio potesse, attraverso la parola, tramutarsi in realtà. Dediti alla “fantasticheria e ai castelli in aria” come recita il proverbio iniziale di Le beau mariage, i personaggi si dedicano all'ostinata enunciazione dei propri desideri e delle proprie personali ideologie. In campo sentimentale, ogni dichiarazione d'intenti si rivolta contro chi la pronuncia. “Je vais me marier” ripeteva Sabine in Le beau mariage, allontanando così da sè ogni possibilità di riuscita; “Je veux tomber amoureuse”, pronuncia Marion in Pauline à la plage con la stessa ostinazione, durante quegli incontri con gli amici che si trasformano, immediatamente, nella messa in scena consapevole dei diversi movimenti dell'economia sentimentale. In una dichiarazione di motto tempo fa, Rohmer aveva detto: “I personaggi dei miei film partono sempre da una idea forte e il finale si rivolta contro di loro. Cioè si conclude su una disillusione”.
E’sorprendente come la “classicità” di Rohmer, perlomeno nell'ambito del “discorso amoroso”, sembri capace di virare verso una lucidissima contemporaneità d'analisi dei com-portamenti: i personaggi che abusano della parola come mediazione conoscitiva verso quell'oggetto invisibile e inavvicinabile che è l'amore, alludono, è vero, al vizio intellettuale, ma, soprattutto, fungono da pedine simboliche di quel gioco generazionale con cui si è tentato vanamente di consumare e delimitare il desiderio entro un apparato circo-scritto di regole. Si parla di noi, insomma, e dei nostri ultimi dieci anni di vita.
Non a caso Pauline, la fredda e tranquilla adolescente del film di Rohmer, rifiuta i giochi amorosi dei grandi e approda autonomamente alla propria scoperta erotica e sentimentale. Pauline è il silenzio, è l'occhio che osserva, senza replicare, le strategie inutili degli adulti: “Alla mia età non si parla, si ascolta”, risponde a chi le chiede la sua opinione sull'opposizione amore duraturo/ coup de foudre. Ed è nel suo silenzio il punto critico del film, quel fuori-campo narrativo che non smette di denunciare l’incessante bla-bla esistenziale di Marion, di Henry e di Pierre. |
Autore critica: | Piera Detasiss |
Fonte critica: | Cineforum n. 243 |
Data critica:
| 4/1985
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Critica 3: | L'aspetto più significativo del film sono le relazioni intergenerazionali, qui rappresentate dal rapporto dell'adolescente Pauline con il mondo degli adulti (la zia Marion, l'ex-amante Pierre, la nuova fiamma Henri). La quindicenne protagonista del racconto, come di solito accade alla sua età, desidera incontrare un ragazzo che le faccia scoprire finalmente che cosa significhi essere innamorati. Il suo viaggio iniziatico nel mondo dei sentimenti e della sessualità dovrebbe avere come guida e mentore la zia Marion, così libera e spregiudicata nei suoi rapporti con l'altro sesso. Ben presto, però, la delusione di Pauline è cocente, poiché scopre tutta la fragilità della donna e la vacuità degli uomini che frequenta. Da una parte l'idealista Pierre, che ha amato Marion nel passato e che vorrebbe continuare ad averla solo per sé, lasciandosi però quasi indurre dalla donna a iniziare l'acerba Pauline al sesso; dall'altra il vacuo Henri, di bell'aspetto ma di poca sostanza, che nel breve periodo della vacanza in Normandia riesce a conquistare sia Marion che Rosette e a partire per una crociera con una terza misteriosa ragazza. Marion dimostra di non saper insegnare nulla alla nipote e finisce per considerarla, in fondo, pronta per vivere l'amore con la sua stessa ingenuità e superficialità.
Pauline, invece, ha bisogno di tempo e soprattutto di tenere lontani gli esempi negativi che gli adulti le offrono. La sua relazione con Sylvain nasce in forma di amicizia, con le frequentazioni quotidiane sulla spiaggia, discutendo delle passioni e dei problemi adolescenziali con naturalezza e semplicità, senza malizia e secondi fini. I due ragazzi scoprono, a poco a poco, di essere indispensabili l'uno all'altra e il loro tenero rapporto si muta in innamoramento. Nonostante l'importante trasformazione, la loro relazione continua a essere onesta e sincera, non hanno nulla da nascondersi né complessi schemi cui obbedire. Pauline e Sylvain si amano come ci si ama a quindici anni, con la testa piena di sogni, speranze e progetti ma anche con la consapevolezza che il momento che stanno vivendo è unico e irripetibile, e per questa ragione deve essere protetto con grande cautela. La crisi che si apre tra i due, non a caso, è prodotta dagli adulti e dagli equivoci che i loro comportamenti provocano. Sylvain viene chiamato in causa da Pierre, convinto di averlo visto in camera con Marion. Ben presto si scopre che si trattava invece di Henri, impegnato con la sua amante Rosette. La sciocca e frettolosa testimonianza di Pierre provoca a Pauline un grande dolore, inducendola a credere che anche la sua storia d'amore, in fondo, non sia poi così diversa da quella degli adulti. In realtà nulla di quanto sospettato è davvero successo, Pauline si riconcilia con il fidanzato e vive la sua prima volta con serenità e abbandono.
Il racconto diventa così la cronaca della crescita di un'adolescente che si scontra con un mondo falso e un po' meschino, che ben poco ha da offrire a una ragazza che deve trovare da sola le risposte alle sue domande e le soluzioni alle sue inquietudini. A simboleggiare l'evoluzione di Pauline sono gli abiti da lei indossati: all'inizio sembra davvero una bambina, con vestitini alla marinara, castigati e infantili; nel finale, invece, traspare chiaramente il suo desiderio di essere donna e di mostrarsi per quello che è (o sta diventando). |
Autore critica: | Stefano Boni |
Fonte critica: | Aiace Torino |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | |
Autore libro: | |
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