Dannati di Varsavia (I) - Kanal
Regia: | Andrzej Wajda |
Vietato: | No |
Video: | General Video, San Paolo Audiovisivi |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La guerra |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto da una novella di Jerzy Stefan Stawinski |
Sceneggiatura: | Jerzy Stefan Stawinski |
Fotografia: | A. Tabak |
Musiche: | Jan Krenz |
Montaggio: | Halina Nawrocka |
Scenografia: | Roman Mann |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Wienczyslaw Glinski (Lieutenant Zadra), Tadeusz Gwiazdowski (Sergente Kula), Teresa Izewska (Daisy Stokrotka), Tadeusz Janczar (Caporale Korab), Stanislaw Mikulski (Slim), Vladek Sheybal (il compositore) |
Produzione: | Polski Film Agency - Zespol Filmowy "Kadr" |
Distribuzione: | Zari Film |
Origine: | Polonia |
Anno: | 1957 |
Durata:
| 97'
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Trama:
| Nel settembre del 1944 gli insorti di Varsavia si battono eroicamente con le preponderanti forze tedesche. Decimati dai bombardamenti aerei e dagli attacchi dei carri armati i rivoltosi si ritirano verso il centro della città, contendendo il terreno al nemico metro per metro. Una compagnia, ridotta ad un pugno d'uomini, dopo aver tentato un'estrema difesa alla periferia, si ritira sotto la guida di un ufficiale. Il quartiere del centro è circondato dai tedeschi e l'unica via di scampo è quella offerta dalle fogne. Nel labirinto sotterraneo, pieno di miasmi e di gente impazzita per il terrore, fa loro da guida una ragazza che, nella sua qualità di portaordini, ha percorso più volte quel cammino. A poco a poco la schiera si assottiglia: alcuni muoiono per gli stenti e per le ferite, altri impazziscono, alcuni cadono in mano ai tedeschi, altri sono uccisi nel tentativo di uscire alla luce. Solo il comandante e un subalterno riescono a raggiungere la salvezza; ma, appena fuori, il comandante scopre che parecchi dei suoi uomini si sono perduti per colpa del subalterno, il quale, per uscire più presto da quell'inferno, li ha abbandonati deliberatamente alla loro sorte. Accecato dallo sdegno, il comandante uccide il traditore, e rientra nel triste sotterraneo alla ricerca dei suoi uomini.
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Critica 1: | Nel settembre 1944, durante l'insurrezione di Varsavia, alcuni insorti, circondati dai nemici, cercano di salvarsi fuggendo attraverso le fognature (kanal in polacco) della città. Due film della prima trilogia bellica di Wajda, formata da Pokolenie (1956) e Cenere e diamanti (1958) che lo impose all'attenzione internazionale. Non è, come si scrisse, un dramma sull'eroismo inutile della tradizione polacca. L'originalità di Wajda consiste nel porsi nella cerniera tra storia personale e storia nazionale dove i dati esistenziali (l'angoscia morale, il disfacimento nella morte, la paura) si fanno razionali, costantemente visti in una dimensione politica e civile. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Un tono da referto imparziale e documentario è ormai diventato di prammatica nella recente cinematografia di qualche impegno e, in particolare, nei film di guerra. Un ottimo esempio ne dà il film polacco I dannati di Varsavia, del valoroso regista esordiente Andrea Wajda (…). Vi si narra la tragica epopea di una compagnia di partigiani che, durante la insurrezione di Varsavia contro l'occupante nazista, resiste fino all'ultimo in un quartiere periferico e poi, paurosamente decimata, tenta, in obbedienza agli ordini del comando, di raggiungere il centro della città, ultimo baluardo della Resistenza. Nel disperato tentativo di raggiungere l'obiettivo, attraverso le fogne, tutti i personaggi della vicenda trovano la morte: e il tenente, che ha guidato la spedizione ed è finalmente riuscito all'aperto, ridiscende nei sotteranei, alla ricerca dei suoi uomini, che egli crede abbiano perduto i collegamenti e che, invece, usciti da un altro cunicolo, sono stati catturati e fucilati dai nazisti. L'impianto narrativo del film non è dunque nuovo neanch'esso, basato com'è sulla situazione di un pugno di uomini, tesi in uno sforzo, morale e fisico, spinto oltre i limiti concepibili del potere e delle possibilità umane, e che soccombe proprio nel momento in cui sembra essere fuori da una situazione di incubo. Ma, rispetto alla maggior parte dei film di questo tipo, che si son visti fino ad oggi, I dannati di Varsavia presenta qualche cosa di profondamente diverso e produce un diverso effetto sull'animo dello spettatore. E c'è proprio una lezione molto profonda e sottile da ricavare dal confronto di questo film polacco e altri di simile schema narrativo e di simile soggetto, come se ne son prodotti con frequenza, negli ultimi tempi, a Hollywood. Una differenza che, per essere differenza di forma, lo è anche di sostanza intima. (…)
Il film di Wajda, nonostante la fortissima rappresentazione del caos della guerra maledetta, nonostante l'agghiacciante ecatombe di tutti i protagonisti riafferma il soppravvento e il trionfo della forza morale dell'uomo: la condanna della guerra, oggettiva e spietata, non travolge qui sullo stesso piano di bestialità tutte e due le parti contendenti, tutta quanta l'umanità. Coloro che difendono il proprio paese e la libertà possono anche morire; e ciò non perchè il mondo si è sommerso nel caos, o è sempre un caos, che solo la guerra ci fa vedere appieno, nella sua estensione e totalità: ma perchè da questo caos possa nascere un ordine nuovo e migliore.
Qui l'oggettività non è rinuncia esasperata o cupa rassegnazione: è la forma spontanea, possibile e necessaria, perchè l'assunto ideologico possa esprimersi efficacemente. Il successo artistico è la conseguenza della fedeltà piena al reale; vista dall'angolo ideologico giusto, la realtà stessa parla, con forza straordinariamente persuasiva. (…) E il significato emerge chiaro, dalle visioni indimenticabili di questo film: dall'arido biancore accecante e calcinoso della città distrutta e fumante, dall'oscurità sotteranea, sempre più cupa e sorda, come un presagio di morte. |
Autore critica: | Umberto Barbaro |
Fonte critica: | G. Gambetti – A. Sermasi, Come si guarda il film, Ed. P. Galeati (in) |
Data critica:
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Critica 3: | L'unica autentica novità rispetto ai film polacchi, scarsamente significativi, degli anni Cinquanta, che troviamo ne I dannati di Varsavia è nella scelta del soggetto del film, un episodio della rivolta antinazista di Varsavia: avvenimento storico, questo, ignorato e censurato dal regime filosovietico del dopoguerra. Nel 1944, quando già i soldati dell'Armata Rossa avevano raggiunto la sponda della Vistola prospiciente la capitale polacca, più di quarantamila militari e abitanti della città lottarono per due mesi, casa per casa, contro le preponderanti forze tedesche, e furono massacrati senza che i sovietici intervenissero per impedire la feroce repressione. Argomento del film è la tragica fine dell'insurrezione: la fuga attraverso le fogne di Varsavia, di un gruppo di partigiani polacchi ormai impotenti nel fronteggiare gli aerei e i carri nemici.
Solo in apparenza Wajda esprime le istanze popolari antisovietiche e l'«ansia di libertà» di quel momento storico, mentre nega in realtà ogni possibilità di liberazione e di cambiamento, mostrandoci una vicenda in cui i polacchi-patrioti-buoni-puri-altruisti-cattolici diventano martiri della ferocia nazista e del disinteresse sovietico. Nelle fogne di Varsavia muore la libera Polonia e inizia la schiavitù sotto la «dittatura». Il regista non vede prospettive di cambiamento della situazione presente e passata, non vede alternative alla dittatura, trova elementi degni di fiducia solo in dimensioni astratte: il coraggio, lo spirito di sacrificio, la fede dei singoli, ricompenseranno, in una vita futura, coloro che oggi sono sconfitti. Wajda approfitta della fine dello stalinismo non per proporre modelli di vita più avanzati, ma per dichiarare apertamente la propria individualità nazionale, religiosa e ideologica, e per piangere sulla «servitù» inevitabile del suo paese. Non vuole capire razionalmente le cause di un certo sviluppo storico, non si chiede quali fossero le divergenze ideologiche e strategiche che nel '44 dividevano profondamente i partigiani polacchi dallo Stato maggiore sovietico, non prende in considerazione, osservando un evento del passato, né i mutamenti sociali che, bene o male, il regime socialista introdusse in Polonia nel dopoguerra, né alcun altro elemento utile a un dibattito politico. La guerra è per lui una condizione esistenziale in cui trionfa il Male, i suoi personaggi sono situati fuori del tempo, fuori della storia: essi incarnano la situazione eterna e permanente dei «santi» martirizzati dalle dittature. In genere, i film dell'Europa dell'Est che negli anni Cinquanta affrontavano il tema della Resistenza si conformavano al rigido schema dell'esaltazione patriottica dei combattenti per la libertà, rappresentando con toni retorici soltanto gli aspetti «eroici» della lotta partigiana, lotta in cui le due parti avverse erano i termini antitetici d'una visione della storia moralistica e manichea. Wajda non rifiuta questi schematismi e non va al di là di una superficiale esaltazione dell'eroismo, in quanto i personaggi de I dannati di Varsavia, pur sofferenti, spaventati, sconfitti, destinati a morte sicura, sono pur sempre eroi, simboli di virtù degne di ammirazione incondizionata, archetipi dotati di scarsa credibilità (mentre combattono o fuggono il nemico, parlano sempre di «grandi temi» astratti - l'amore, la libertà, la dignità umana - mai dei problemi tattici o politici della loro lotta). Un individuo perde la ragione, uno tradisce, uno pensa solo a sé; dal confronto con costoro risultano maggiormente esaltati gli «eroi» che resistono fino alla morte, sacrificano la vita per la salvezza altrui, sublimano in un purissimo sentimento amoroso il proprio istinto di conservazione.
Questi temi vengono affrontati da Wajda con un linguaggio molto simile a quello dei film d'azione americani. La struttura narrativa e il ritmo del montaggio tentano di creare una forte suspence ponendo in rilievo le reazioni istintive e irrazionali d'un gruppo di persone immerse in una situazione angosciosa. Il fine di tale procedimento è quello di provocare negli spettatori ansia prima, commiserazione poi, senza fare minimamente appello alla partecipazione intellettuale del pubblico. L'indubbia capacità di Wajda nel dominare il mezzo tecnico non produce ricerche stilistiche originali, ma esercitazioni formalistiche fini a se stesse le quali denunciano da un lato le non poche incertezze di un regista quasi esordiente, e dall'altro la loro affinità ai procedimenti formali tipici del cinema di consumo hollywoodiano. |
Autore critica: | Guido Aristarco (a cura di) |
Fonte critica: | Guida al film, Fabbri Editori |
Data critica:
| 1979
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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