Alle cinque della sera - Panj E' Asr
Regia: | Samira Makhmalbaf |
Vietato: | No |
Video: | Universal |
DVD: | Bim |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Diventare grandi, La condizione femminile |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Mohsen Makhmalbaf, Samira Makhmalbaf |
Sceneggiatura: | Mohsen Makhmalbaf, Samira Makhmalbaf |
Fotografia: | Ebrahim Ghafori |
Musiche: | Mohammed Reza Dar Vishi |
Montaggio: | Mohsen Makhmalbaf |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Agheleh Rezaie (Noqreh), Abdolghani Yousef-Zay (il padre), Razi Mohebi (il poeta), Marzieh Amiri (la cognata), Gholamjan Gardel, Halimeh Abdolrahman, Bibigol Asef, Jerom Kazagh, Mina Anis, Fatemeh Rasooli, Yasamin Rasooli |
Produzione: | Makhmalbaf Film House - Wild Bunch, Bac Films |
Distribuzione: | BIM |
Origine: | Iran |
Anno: | 2003 |
Durata:
| 105'
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Trama:
| Primo film girato in Afghanistan dopo la caduta del regime dei talebani. Dopo la fine di 'Enduring Freedom' e la scomparsa degli uomini del mullah Omar, riaprono le scuole non solo per i bambini, ma anche per le ragazze e fra la gente torna la voglia di vivere. La figlia di un anziano carrettiere ha un sogno nel cassetto: quello di diventare Presidente della Repubblica. E', invece, costretta a fuggire da Kabul con tutta la famiglia.
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Critica 1: | Kabul, dopo l’occupazione statunitense e la fuga del mullah Omar, è una città da ricostruire, e non solo in senso strettamente architettonico. La gente è randagia e si sposta per le strade dissestate di villaggio in villaggio; alle persone capita di incontrarsi una seconda volta solo per combinazione; le ragazze vanno a scuola tutte insieme in una sola classe, che abbiano dodici o venti anni, in un cortile diroccato dove tengono lezioni di democrazia. Un’esercitazione, o forse un sogno, quello di Noqreh che vuole diventare Presidente della Repubblica afgana che dovrà nascere. Lo fa di nascosto dal padre, un anziano fanatico religioso che cerca di racimolare qualche soldo traghettando la gente qua e là col suo carretto, sempre in cerca di informazioni sul suo altro figlio disperso e di medicine per il nipote, ancora infante e molto malato. L’anziano padre non sopporta il vicinato opprimente e rumoroso cui la situazione lo costringe, e si sposta continuamente con la figlia progressista, la nuora affranta dalla mancanza di notizie sul marito e il neonato moribondo.
Samira Makhmalbaf, figlia d’arte – ma già abbondantemente riscattatasi da questo fardello col precedente pluripremiato Lavagne – torna in strada a documentare, anche se attraverso la finzione, una pagina di storia ancora in fase di scrittura, la dolorosa risalita dell’Afghanistan dopo la scia di distruzione portata prima dal regime talebano e poi dall’operazione americana "Enduring Freedom". Sulla pregnanza e la forza espressiva del cosiddetto “Neorealismo iraniano” non v’è certo bisogno di spendere ulteriori parole, considerato il grosso interesse che da diversi anni richiama attorno a sé; ma ripensando alle sorti che ebbe il Neorealismo di casa nostra, viene da fare un parallelismo ulteriore. A volte viene il sospetto che la forza drammatica che spingeva i cineasti iraniani a raccontare storie di ordinaria disperazione attraverso film di un realismo disarmante, si stia esaurendo, e si stia affacciando su di essi l’ombra della canonizzazione che costringe una corrente (cinematografica) entro i limiti del genere. Il cinema iraniano appare oggi molto più consapevole di sé stesso, riconoscibile e maturo, ma il rovescio della medaglia è che sta oggi cominciando a produrre film che sono ammiccanti, al limite del ruffiano. Per carità, nessuno vuol mettere in dubbio la drammaticità e l’attualità degli eventi narrati, ma va presa coscienza che il cinema iraniano si appresta ad entrare in una fase in cui il manierismo potrebbe soppiantare il realismo. Alle cinque della sera lascia l’amaro in bocca proprio per questo motivo: i lunghi primi piani in cui i protagonisti esprimono le loro versioni dello stato delle cose in Afghanistan sembrano la diretta televisiva di una conferenza internazionale, fanno venire il sospetto che il film sia confezionato apposta per il pubblico occidentale, un pubblico che certo soffre ancora forte il relativismo e l’isolazionismo culturale, ma che viene pensato come tanto ingenuo da dovergli spiegare le cose come si fa coi bambini.
Samira sa fare il cinema, ed è dunque consapevole il suo indugiare su inquadrature della folla vociante nei mercati improvvisati, il suo trascurare qualsiasi intreccio narrativo dando per scontato che non sono le storie dei personaggi il centro del film, il suo uso dei simboli come elemento estetico (il burqa, le divise dei soldati occidentali, gli ombrelli dello stesso colore): proprio questa consapevolezza insinua nello spettatore il sospetto che Alle cinque della sera sia più un esercizio di stile che una testimonianza sofferta delle tragiche vicende mediorientali. Si obietterà che un cineasta non è obbligato a vivere ogni suo film come fosse un travaglio, e che anche la rappresentazione estetica è un’esigenza creativa: appunto… |
Autore critica: | Davide Morena |
Fonte critica | mymovies.it |
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Critica 2: | |
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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