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Ultimo metro (L') - Dernier metro (Le)

Regia:François Truffaut
Vietato:No
Video:CVC Roma, L'Unità Multimedia
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:La memoria del XX secolo, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Suzanne Schiffman, François Truffaut
Sceneggiatura:Jean-Claude Grumberg, Suzanne Schiffman, François Truffaut
Fotografia:Néstor Almendros
Musiche:musiche originali: Georges Delerue, musiche non originali: canzoni degli anni Trenta/Quaranta
Montaggio:Martine Barraqué
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Catherine Deneuve (Marion Steiner), Gerard Depardieu (Bernard Granger), Jean Poiret (Jean Loup Cottins), Andrea Ferreol (Arlette Guillaume), Paulette Dubost (Germaine Fabre), Jean Louis Richard (Daxiat), Maurice Risch (Raimond), Sabine Haudepin (Nadine Marsac), Heinz Bennent (Lucas Steiner), Marcel Berbert (Merlin), Richard Bohringer (Un uomo della gestapo), Jean-Pierre Klein (Christian), Franck Pasquier (Jacquot), László Szabó (Luog. Bergen)
Produzione:Films du Carrosse Sedif Sa Tf1 Societe' Francaise de Production
Distribuzione:Gaumont Vale (1981) - Creazioni Home Video, L'unità Video
Origine:Francia
Anno:1980
Durata:

130'

Trama:

Nella Parigi occupata dai nazisti - dove, partito il metrò delle 20,30 scatta il coprifuoco, ma la gente non ha perso, malgrado tutto, nè la voglia di far teatro, nè quella di andarci - il piccolo Thèatre de Montmartre è alle prese con l'allestimento di una commedia norvegese. Il suo direttore, Lucas Steiner, ebreo, ha fatto credere d'essere fuggito in America e d'aver affidato le sorti della compagnia e del teatro a sua moglie Marion, che ne è anche la prima attrice, e al suo fidato collaboratore, il regista Jean-Loup Cottins. In realtà, ma lo sa solo Marion, Steiner è nascosto nella cantina del teatro e di lì, con l'abile mediazione della moglie, che lo va a trovare ogni sera, guida la messinscena della nuova commedia e la regia dell'inconsapevole Jean Loup. Tra gli attori ce n'è uno, Bernard, che proviene dal Grand-Guignol ed è stato scritturato per far da partner alla prima attrice. Impenitente dongiovanni (ma in segreto lavora per la Resistenza) Bernard fa breccia anche nel cuore di Marion, che deve vedersela, intanto, con la censura; con i problemi personali degli attori e della scenografia; con il critico teatrale Daxiat, soprattutto, filo-nazista e antisemita. Mentre continuano le prove - e Steiner, pur avendo intuito quel ch'è successo a Marion, incita la moglie a recitare col massimo impegno anche le scene d'amore - Daxiat, che non ha creduto alla fuga di Lucas, fa perquisire la cantina dalla Gestapo, ma inutilmente. La commedia va finalmente in scena, con successo, ma dopo le prime recite Bernard se ne va per unirsi ai partigiani. All'indomani della Liberazione, la commedia torna in scena. Sul palco, a prendersi gli applausi, ci sono Steiner e Bernard e, in mezzo a loro, Marion, che stringe le mani del marito e dell'amante.

Critica 1:Parigi, 1942: Marion Steiner, celebre attrice, gestisce il teatro Montmartre lasciatole dal marito Lucas, regista ebreo di origine tedesca ricercato dai nazisti. Sagacemente diviso tra commedia e dramma, cosparso di meccanismi narrativi a sorpresa, questo film è mirabilmente recitato da una compagnia di attori tra i quali esiste una gerarchia di ruoli, non di bravura. In filigrana è iscritto il dilemma sullo statuto dell'artista durante i tempi di emergenza: fare il proprio mestiere o il proprio dovere?
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Vedere e leggere un film di Truffaut è sempre un'avventura, dell'intelletto; il suo cinema è limpido, classicamente «fedele»; le storie sono evidenti, plasmate da una letterarietà che le rende comprensibili e che dà ad esse un movimento controllato, svolgentesi logicamente. Il cinema di Truffaut è una composizione, dove nulla sembra succedere per caso; ogni cosa è nella sua giusta posizione: tutto è previsto, ogni scadenza calcolata. Si ha la sensazione, vedendo L'ultimo metro, di trovarsi di fronte ad un oggetto solido,
«incorruttibile», da osservare a distanza, senza atti di intromissione, di partecipazione intensa e penetrante alle sue apparizioni. E’ come stare innanzi ad una donna bella,senza poter provare il desiderio di possederla; insieme la si contempla e la si studia, ma senza accennare a toccarla, come presi da un'attrazione senza passione. Il cinema di Truffaut, vuole uno spettatore accorto, non abbandonato, la cui adesione sia,allo stesso tempo emotiva ed intellettuale, affinchè “l’indipendenza” delle immagini non lasci filtrare il coinvolgimento spassionato dello spettatore. Esso affascina ma non travolge; accarezza lo sguardo, ma non si lascia possedere; gioca con l'occhio ad una sorta di inseguimento, ora avvicinandosi ora ritraendosi; a volte sembra concedersi, ma subito sfugge alla presa, quasi a salvaguardare la propria «purezza». Ma proprio in questo suo «egocentrismo» si nasconde l'inganno; il cinema di Truffaut è internamente complicato. Esso va aggirato, va visto ruotandovi attorno, per scoprirne gli spiragli, le fessure che consentono di intravedere la geometria degli specchi.
L'ultimo métro è un film «pulito»; tutto vi compare in modo nitido: la collocazione storica, l'argomento, i personaggi, la vicenda, i luoghi. Il montaggio è fluido, l'azione senza rallentamenti, gli avvenimenti si susseguono o si intersecano perfettamente: una dimostrazione di regia sapiente e consapevole, accompagnata da una sensazione di piacere nel girare, ad ulteriore prova del grande amore di Truffaut per il cinema. L'ultimo métro è un film «distante», che vive di un'esistenza tutta sua; non ha bisogno di integrazioni visive ed affettive, ma si presenta come oggetto da guardare; anche coi sentimento, certamente, ma con discrezione, senza inondare lo schermo di emotività. La regia di Truffaut si mette tra il film e colui che lo osserva, forma la finzione e contemporaneamente il suo confronto con l'avidità dello spettatore. La macchina da presa è sempre cosciente: anticipa i movimenti della scena, abbandona un personaggio per trovarne un altro, si muove nello spazio con cautela, ma senza tentennamenti, si avvicina ai visi solo per cogliere l'attenzione degli sguardi, ricorre ai totali raramente, quasi a ricomporre il quadro, a ricordare l'informazione, in una specie di sosta drammatica, oppure quando si confonde con la teatralità di ciò che viene rappresentato, spettatore tra gli spettatori e spettatore di se stesso. Truffaut conduce un'ispezione: nel passato, ritrovando un brano di storia, un periodo temporale limitato; nel teatro, attraversando il prima e il dopo della rappresentazione; nello spettacolo, rispecchiando l'ambiguità delle immagini che richiamano la vita; nel cinema, costruendo una messa in scena doppiamente dialettica, in una dissolvenza incrociata di finzioni, di rotture e ricomposizioni dell'equilibrio registico.
il teatro sotto l'occupazione è l'ambiente del dramma; nella costrizione Truffaut sistema l'idea di un discorso sull'artificio, come modus vivendi e come istanza formale. Ad oltranza, nonostante la contingenza bellica, uomini ed oggetti vengono ricomposti, riuniti per riprodurre la realtà. La necessità governa l'azione; la creazione della scena non deve arrestarsi, la persona non può sopravvivere senza proiettare sul palcoscenico, e sullo schermo (per traslazione), le configurazioni dell'esistenza, quelle esperite e quelle possibili, L'estetica di Truffaut parte da un «bisogno vitale»; il trasferimento del vissuto nella forma artistica è insieme un'esigenza primaria e un dovere, una «caratteristica» umana; l'uomo è un animale spettacolare. Gli esseri de L'ultimo métro sono come spinti da qualcosa che li sovrasta, che li orienta tra le «macerie» della realtà; la guerra in tal modo perde di significato, anche all'interno del film che viene circoscritto oggettivamente dallo spazio fisico del Théatre Montmartre, ideologicamente dall'inderogabilità e universalità dei verosimile, artisticamente dalla esclusività dell'intenzione cinematografica.(…)
L'ultimo métro è un film di reticenze; i rapporti tra i personaggi sono velati, allusivi: Essi sono assorbiti dal loro dovere estetico; le azioni della loro vita privata non debbono contaminare lo spazio del palcoscenico; Marion stessa stabilisce questo credo quando scopre l'omosessualità di Arlette e Nadine. Bernard ha strani incontri con un giovane, l'esistenza del quale non appare nel film, salvo che nel momento del suo arresto da parte delle SS. Marion si innamora di Bernard: solo rapidi sguardi della donna, in primo piano, segnalano l'evento, solo qualche raro momento tradisce la passione di lei. Bernard si muove con prudenza e circospezione, le sue avances sono senza passionalità apparente; non fa distinzione riguardo agli oggetti della sua attrazione, non nutre sentimenti travolgenti. I personaggi sembrano ignorarsi; ognuno conduce vita separata, si ritrovano ad orari fissi sul palcoscenico, ciascuno con la sua storia alle spalle, che spoglia quando sale sulla scena. Truffaut stesso scorre sui personaggi con reticenza; non entra nella loro esistenza, nella loro intimità. L'erotismo è appena accennato, l'atto sessuale tra Marion e Bernard è visto nell'incrociarsi delle gambe; le affettuosità tra Marion e il marito si limitano a brevi contatti, a parziali denudamenti. I personaggi di Truffaut non fanno vedere chi sono, non hanno nessun carattere da presentare all'attenzione psicologica; la loro «realtà» sta nelle situazioni, nelle scene che li vedono partecipi, nelle loro interazioni. Sono esseri dialoganti, che affidano alla parola i monologhi della loro esistenza. L'ultimo métro è un omaggio al dialogo: Luca Steiner cura la regia dello spettacolo ascoltando le battute attraverso le tubature della stufa. Avverte le sfumature, osserva nell'ascolto delle parole i toni dell'amore tra Marion e Bernard.(…)
La rappresentazione in Truffaut non è per nulla fastosa; anzi egli si mantiene a distanza, osserva senza giudicare: il tentativo di mantenere in vita il teatro non risponde a nessuna fede incontaminata, come ogni azione umana vive le «malformazioni» e le contraddizioni della specie. Così Truffaut sviluppa un intrigo delle ambiguità; il suo sguardo è insieme delicato e spietato, mai sofferto, mai agitato. Semina nel dramma la simpatia dei personaggi «minori»: Raymond, il tecnico tuttofare, semplice e intraprendente come nell'affare del prosciutto; il piccolo Jacquot con le sue piantine di tabacco coltivate nella strada; la bambina Rosette, con le sue stoffe e il suo desiderio di teatro. Il mondo di Truffaut è multiforme e «leggero»: il dolore e la gioia vi passano senza lacerazioni o rovinose cadute; fanno parte di un ritmo che non conosce punti di non ritorno. Perciò il cinema di Truffaut non interviene a consolidare le manifestazioni della vita, non aderisce alla consistenza del concreto; rimane all'esterno, distaccato, respirando l'atmosfera, lasciando che le cose persistano per il tempo che possono e debbono essere mostrate. Non c'è immedesimazione nella totalità del l'essere; la rappresentazione della realtà non è la realtà e non corrisponde a tutta la realtà; lo strumento utilizzato ordina il costituirsi delle forme, della materialità espressiva. L'ultimo métro è un film in penombra; l'oscurità è predominante, l'arte è una congiura nei confronti della vita. Truffaut conosce i rischi della ricostruzione: possiede la coscienza della, distanza, conosce l'attrazione della somiglianza; produce il teatro delle corrispondenze, riproduce l'artificialità del cinema.
Autore critica:Angelo Signorelli
Fonte critica:Cineforum n. 205
Data critica:

giugno/luglio

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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A cura di: Redazione Internet
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