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Strada (La) -

Regia:Federico Fellini
Vietato:No
Video:Ricordi Video - Vivivideo
DVD:Filmauro
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Federico Fellini, Tullio Pinelli
Sceneggiatura:Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli
Fotografia:Otello Martelli
Musiche:Nino Rota
Montaggio:Leo Catozzo
Scenografia:Mario Ravasco
Costumi:Margherita Marinari
Effetti:
Interpreti:Anthony Quinn Zampano', Giulietta Masina Gelsomina, Richard Basehart Il matto, Aldo Silvani Colombaio, detto signor giraffa, Marcella Rovere La vedova, Livia Venturini La suora, Gustavo Giorgi, Yami Kamadeva, Mario Passante, Anna Primula
Produzione:Carlo Ponti e Dino de Laurentiis per la Ponti-De Laurentiis Cinematografica
Distribuzione:Cineteca Nazionale - Cineteca Del Friuli
Origine:Italia
Anno:1954
Durata:

94'

Trama:

Gelsomina, una povera ragazza di paese, viene affidata a Zampanò, uno zingaro girovago. Lei è sensibile e sempre tesa a scoprire i misteriosi segreti della natura e delle cose. Lui, opaco e massiccio, terrestre e animalesco, si accorge appena di quello che vede e tocca. Fra i due, naturalmente, non è possibile nessuna comunione e Gelsomina ne soffre tanto da voler andar via. Ma un altro girovago, un funambolo chiamato "Il Matto", la convince anche del misterioso segreto della sua missione vicino a Zampanò. Tutto serve e tutti gli uomini servono a qualcosa - le dice il Matto - e lei "serve" restando vicino a Zampanò. Gelsomina capisce e rimane, ma un giorno Zampanò, che non era mai andato d'accordo con il Matto, viene alle mani con lui e, quasi senza volerlo, lo uccide. Gelsomina impazzisce dal dolore, perché il Matto, in un certo senso, era stato per lei la chiave di tutti quei misteriosi segreti che, prima di conoscerlo, essa aveva solo intuiti nella natura. Di fronte a quella pazzia Zampanò resta di sasso e non sa cosa fare. Il giorno, però, in cui si accorge che le frasi dissennate di Gelsomina sulla morte del Matto potrebbero condurlo in prigione, si decide ad abbandonare la donna mentre dorme. Qualche anno più tardi, all'improvviso, gli dicono che è morta e di fronte a quella morte Zampanò ha di colpo la rivelazione del significato di quella vita: l'animale si trasforma in un uomo cosciente.

Critica 1:Il fenomeno Fellini va ricollegato con tutto un modo di concepire e intendere l'arte, di assumere verso di essa e la vita un atteggiamento simile a quello della nostra letteratura d'anteguerra, e anche in parte e per molti versi, di quella contemporanea. In questo senso Fellini appare come un regista anacronistico, irretito com'è in problemi e dimensioni umane largamente superate.
Autore critica:Guido Aristarco
Fonte criticaCinema Nuovo
Data critica:

10 novembre 1954

Critica 2:La strada è un'opera che presuppone dal suo autore, oltre alla genialità d'espressione, una perfetta conoscenza di certi problemi spirituali ed una riflessione su di essi. Questo film, infatti, tratta del sacro, non dico del religioso né della religione. Parlo di quel bisogno primitivo e specifico all'uomo che ci spinge ad andare oltre, all'attività metafisica, sia sotto forma religiosa che sotto quella artistica, bisogno fondamentale come quello della "durata". Sembra che Federico Fellini sappia perfettamente che questo istinto è all'origine sia delle religioni che dell'arte. Ce lo mostra allo stato puro in Gelsomina. Ricordiamoci di una delle prime immagini del film. Gelsomina ha due volti, uno triste e uno gioioso, quello gioioso si volge verso il mare in un sorriso di soddisfazione solitaria e irreprensibile. "A me piace fare l'artista!", dichiara poco dopo.
Autore critica:Dominique Aubier
Fonte critica:Cahiers du Cinéma, n. 49
Data critica:

Juillet 1955

Critica 3:Ne La strada il genere di poesia è diverso e multiforme.Qui, nel personaggio di Gelsomina, la poesia sembra scaturire da un cantico del Vangelo, per quella mortificazione di creatura abbandonata quasi dagli uomini e dal destino che diviene il poema della solitudine fiorito dagli stracci, dal grottesco, dalla bestialità. Un altro personaggio, il “matto”, è dotato di una poesia funzionale che qualche critico, svisandola, ha definito letteraria. Qualcosa di vero c'è, nella sostanza della definizione, ma gli elementi che formano il personaggio - il sassolino dell'apologia, il mestiere di funambolo, la sua vena stramba, e soprattutto la sua morte nell'innocenza di quel prato disteso sotto il cielo - sono materia di poesia, sensazione di poesia che va diritta al cuore. Ma c'è un altro personaggio: il cavallo. Appare di colpo in primo piano, preso “di spalle” e la sequenza lo sviluppa in una corsa solitaria in una strada solitaria dove c'è soltanto la disperata solitudine di Gelsomina abbandonata, sul marciapiede. Il cavallo senza padrone e senza meta assurge a valore di simbolo e il suo scalpitare ritmico che s'allontana nel nulla si spegne alla fine come un lungo sospiro. La brevissima notazione che pochi hanno inteso nel suo significato più simbolico non è una creazione di Fellini sceneggiatore o regista, è una sensazione di Fellini poeta e come tale ce l'ha narrata un suo collaboratore. Fellini, dunque, al volante della sua macchina, parlava con l'amico del suo film La strada, ma, come sempre, si capiva che era più che mai intento a scrutare i segni della vita notturna nella campagna romana per coglierne gli aspetti fantastici e realistici. Di colpo Fellini frenò e manovrò faticosamente nello stretto sentiero per indietreggiare di una ventina di metri: aveva intravisto la sagoma solitaria di un cavallo stranamente pezzato che zoppicava lento nella campagna, colto fugacemente dalla luce dei fanali. Del fantomatico cavallo nessuna traccia, se non quella segnata nel casellario segreto del suo mondo poetico che ce la restituì, intatta, due anni dopo nel film che fin da allora stava preparando. L'episodio vale anche per illustrare il travaglio che gli costa ogni opera, quando capta con la più acuta sensibilità l'essenza intrinseca di uno scorcio di paesaggio, di un particolare, di un'espressione, di un atteggiamento per tradurlo in immagini vive, per crearne del materiale plastico, per trarne insomma quel linguaggio, quel significato segreto che la natura e gli uomini hanno per l'occhio di un artista e che sono, per lui e per il pubblico, una rivelazione.
Autore critica:Giacinto Ciaccio
Fonte critica:Rivista del Cinematografo
Data critica:

maggio 1957

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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