Cagna (La) -
Regia: | Marco Ferreri |
Vietato: | No |
Video: | Deltavideo |
DVD: | |
Genere: | Commedia |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dalla novella "Melampus" di Ennio Flaiano |
Sceneggiatura: | Jean-Claude Carriere, Marco Ferreri, Ennio Flaiano |
Fotografia: | Mario Vulpiani |
Musiche: | Philippe Sarde |
Montaggio: | Giuliana Trippa |
Scenografia: | Luciana Vedovelli Levi |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Enrico Balsi, Claudine Berg, Catherine Deneuve, Luigi Antonio Guerra, Pascal Laperrousaz, Dominique Marca, Corinne Marchand, Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Valerie Stroh |
Produzione: | Pegaso Film (Roma) - Lira Films (Parigi) |
Distribuzione: | Cineteca Nazionale |
Origine: | Francia - Italia |
Anno: | 1972 |
Durata:
| 90’
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Trama:
| Giorgio, di mezza età, disegnatore di fumetti con velleità vagamente maoiste, ha abbandonato a Parigi moglie e due figli ormai grandi, e si è ritirato in un isolotto del Mediterraneo dove vive e lavora in compagnia del suo cane Melampo, unico paziente ascoltatore dei suoi vaniloqui (nell'isolotto c'è fra l'altro una pista abbandonata, un relitto di aereo tedesco, un bunker che Giorgio ha trasformato in propria abitazione). La solitudine è attenuata da una radio, da un vecchio grammofono e da periodiche puntate a bordo di un gommone sulla terraferma per rifornimenti. Sull'isola approda Lisa, una ragazza che ben presto sopprime per gelosia il cane, per divenire essa la "cagna". Giorgio visita a Parigi la moglie, reduce da un tentato suicidio; qui viene raggiunto da Lisa e mal sopporta l'attaccamento della figlia Valeria per il gatto: torna con Lisa nella solitudine. Un giorno il mare si porta via il gommone: i due consumano l'ultima scatola di carne poi ingannano lo stomaco con l'acqua di una sorgente ("il mare non ha più pesci") e quindi si riuniscono sul relitto dell'aereo per un assurdo viaggio. L'aereo scivola lungo la pista per arrestarsi in fondo alla discesa e così - pare - dissipa le illusioni, i sogni, ogni risorsa dei due, in attesa della morte per inedia.
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Critica 1: | Abbandonata la società, un disegnatore di fumetti vive in un'isoletta a nord della Sardegna in compagnia del cane Melampo. Lo raggiunge una donna, uccide il cane e ne prende il posto come compagna muta e fedele. Da un racconto di Ennio Flaiano. Apologo amarissimo sulla solitudine in un mondo degradato, condotto in uno spazio chiuso, con soprassalti ironici e misogini. Alto livello stilistico. Il rapporto centrale è raccontato senza sadismo né compiacimenti morbosi. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | La cagna rappresenta il momento critico delle soluzioni utopiche, la frustrazione della signoria dell'intelletto e la fine delle gratificazioni aberranti dell'arte, nella dissoluzione dello pseudo-valore della figura e del ruolo dell'intellettuale come guida civile e culturale e politica; cosí come esibisce la negazione critica delle soluzioni solipsistiche ai problemi del singolo che si ponga al di fuori dei gruppi sociali e delle norme che li regolano e li amministrano.
La soluzione solipsistica di Giorgio (Marcello Mastroianni) - pittore e «intellettuale» rinchiusosi in un'isola troppo bella con i disegni, il cane fedele e l'«immaginazione estetica» - è la soluzione di chi cerca, nonostante tutto, di continuare ad esistere in una dimensione esistenziale accettabile a livello dell'astrazione, dell'immaginario, della «libertà» (intesa in senso idealistico e borghese come regno della totalità delle scelte - o «non scelte» - individuali, avulse dal contesto sociale di cui si fa parte e di cui si è parte, e avulse dalla concreta dimensione politica in cui si vive). Vengono cosí nascosti (e improbabilmente rimossi) i reali condizionamenti sociali e politici che si cerca di esorcizzare e di tenere lontani attraverso il meccanismo labile del rifiuto, e tramite il rifugio nella solitudine di un'isola; restaurando il mito della «naturalità» e le illusioni del non-conformismo.
Ma il trucco borghese non riesce (e non può riuscire) poiché vuole ricostituire una totalità fondata su di una labile e incerta negazione della società e del mondo degli altri: assunto come universo estraneo che può restare tale soltanto a livello di realtà fantastiche, di illusioni negative. Il trucco non può riuscire poiché si è irrimediabilmente legati - attraverso sottili, sotterranei e indefiniti condizionamenti soggettivi e oggettivi - alle regole della società rifiutata; e poiché si rimane ancorati alle determinazioni «intoccabili» - e inattaccate - del potere. Perché si appartiene, inevitabilmente, alla struttura di una insopprimibile organizzazione dell'esistenza entro gli schemi storici e ideologici della « civiltà », e nelle connotazioni stratificate della sua fisionomia, dei suoi «valori» e della sua " malattia " inguaribile. Si tratta di strutture e schemi che non consentono oasi di libertà sostanziali, pause nella corrosione dei diritti dei singoli; che consentono soltanto fughe apparenti e inconsistenti, per di piú fortemente condizionate e determinate dai margini di una casualità irrilevante e «negativa»: e soltanto a quei livelli è resa possibile la ricostituzione e la fragile sopravvivenza delle libertà singolari. La realtà «esterna» all'isola-prigione in cui si è richiuso Giorgio, e il sistema oppressivo delle convenzioni istituzionalizzate della società civile, consentono (e prevedono nei margini della loro tolleranza funzionale) soltanto un falsa apparente dialettica instaurata tra norme rigide e soluzioni libertarie superficiali; le quali non intaccano il «senso» opprimente della società organizzata secondo la legge dei gruppi dominanti, la loro «cultura», e i loro falsi valori, i modelli di vita e di comportamento. Prevedono e consentono momentanee e labili alternative che rientrano, anche queste, nei limiti della convenzione di una immaginazione della libertà; - perdente: perché reintegrata nelle norme e nei divieti a livello di alternativa fantastica e solipsistica. Si tratta di una «libertà» o di una «liberazione» concesse nei limiti di un'altra forma del conformismo, astratta anch'essa, improduttiva e insoddisfacente: quella determinata dalla dimensione narcisistica e mitica della solitudine come scelta consapevole e voluta; - e come manifestazione irrilevante di una pretesa autonomia rintracciata in un volontario imprigionamento e nella esclusione del «mondo» dal proprio Carcere Dorato edificato in un'isola che è tale non solo geograficamente. Un carcere letterario e una liberazione intellettualistica, aristocratica magari, che esalta il feticcio narcisistico dell'Io nella istituzione e nella prassi consolatoria della «creatività artistica».
Eppure la realtà sociale e politica della violenza e della costrizione - la quale non tollera, se non in apparenza, la fuga e lo scioglimento dei vincoli di appartenenza - riemerge con forza dalle nebbie incerte delle esclusioni e dei distanziamenti narcisistici e consolatori dell'immaginazione solipsistica. L'irruzione - nell'isolamento - della violenza allo stato puro di un mondo improbabilmente distanziato e rifiutato è concretamente percepibile nell'episodio del legionario disertore rifugiatosi - anche lui - sull'isola, e lí catturato e punito dai militari. Allo stesso modo, il ritorno di Giorgio a Parigi per visitare la moglie che ha tentato il suicidio - pure se è un rientro provvisorio - indica l'impossibilità di liberarsi dei legami sociali vissuti anche come «vizio» inguaribile e come «regola» inalienabile del prolungamento del senso della vita precedentemente vissuta e delle sue stesse norme. Vita precedentemente vissuta che riemerge come storia (personale) e come memoria depositata indelebilmente nell'individuo soprattutto a livello di condizionamenti e di relazioni (magari " meccanicamente necessarie "); e che stende la sua ombra e le sue «ragioni» anche sull'isola.
In questo senso gli elementi caratterizzanti del cinema di Ferreri (isolamento, vagabondaggio, castello/prigione, relazione uomo-donna, oggettualità, fuga interrotta, erotismo e morte) vengono sinteticamente espressi ne La cagna nella forma «universale» della categoria della negazione: vista anche come specchio dell'impotenza e della servitú. In questo film la negazione opera su vari piani conflittuali e dialetticamente opponitivi: a livello interno (quello delle vicende e dello svolgimento materiale e formale del film) e a livello esterno (quello della riflessione sul cinema e sulla realtà). La negazione si pone, ambiguamente, come condizione di una soluzione alternativa, come fondamento di una soluzione inverificabile, ma, alternativamente, anche come specchio di una irrealizzabilità definitiva e di un senso contraddittorio che si offre prima come castrazione e impotenza e poi come morte. (…)
Il «sogno»-liberazione finale di Lisa e di Giorgio si porrebbe come una ulteriore e banale degradazione e regressione se, in una lettura referenzialistica, si ponesse come desiderio reale (e interdetto) di tornare alla vita civile. In realtà è vero il contrario. Aggrediti dalla fame, dal freddo, dalla loro stessa solitudine e dalla malattia, Giorgio e Lisa mettono in atto la loro ultima mistificazione. Si accordano sulla decisione di un ultimo patetico inganno, sulla scelta di una illusione assurda che ha la sua regola nella divergenza netta - e accettata consapevolrhente e rispettata rigorosamente - tra immaginazione-sogno (come istituto portante della finzione deliberata) e «realtà». Finzione deliberata edificata sulla convenzione stabilita, accettata
e perseguita coerentemente, di assegnare «valore» soltanto alla favola immaginaria: e cosí come essa vive nelle parole dell'invenzione fiabesca dell'uomo e della donna, e negli atti di mascheramento necessari a consolidare l'immaginazione nella sua verbalità significante e nel suo rituale scenico. Giorgio e Lisa decidono di inventare la favola della loro «liberazione» e di credere soltanto alle parole in cui essa vive e alla illusione scenica e rituale che essa richiede, nella reificazione totale del suo ambito immaginario.
Giorgio decide di restaurare il vecchio aereo da guerra (un reperto fenomenico della ossessiva presenza dell'oggetto e del giocattolo nei film di Ferreri)tbbandonato sull'isola; e Lisa decide di credergli. Decidono anche di «non sapere» dove si volerà una volta restaurato l'aereo: si volerà «dove si mangia». Questo obiettivo minimo e «innocuo» può bastare alla indeterminatezza della loro favola (che è anche la fine della loro fiabesca esistenza sull'isola e di ciò che rappresenta simbolicamente e ideologicamente). Infine, dopo il solenne annuncio di Giorgio («Lisa, ho deciso. Domani si vola.») ha inizio la messa in scena finale: il mascheramento come controparte fenomenologica e rituale della negazione dell'utopia piú generosamente amata da Ferreri e piú dolorosamente rifiutata come universo gratificante e sterile di pensiero e di immaginazione (cosí come era stato rifiutato l'universo della magnifica immaginazione della «metafisica del cinema» o del «cinema come metafisica»). Giorgio e Lisa si apprestano a salire sul vecchio rottame dipinto di rosa, patetica esibizione cromatica dell'universo retorico dell'immaginario piú disvelato. Dopo il rituale della vestizione (Giorgio e Lisa sono giunti all'aereo in tenuta di volo), la macchina da presa indugia in intensi primi e primissimi piani sul momento magico della partenza. Infine l'aereo si muove lentamente e prende a scivolare verso la spianata che conduce al mare, un tratto bianco come una pista di decollo. Lentamente, a fatica, l'aereo continua a scendere lungo la spianata-pista: finché si ferma a metà. L'immagine fissa dell'aereo rosa immobile sul bianco della spianata e poi, in dissolvenza incrociata, l'immagine iniziale dell'isola già vista in apertura del film, concludono il volo immaginario, il viaggio impossibile di Marcello Mastroianni e di Catherine Deneuve, e il film. |
Autore critica: | Maurizio Grande |
Fonte critica: | Marco Ferreri, Il Castoro Cinema |
Data critica:
| 6/1975
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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