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Mondo a parte (Un) - Word a Part (A)

Regia:Chris Menges
Vietato:No
Video:Domovideo, De Agostini
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Razzismo e antirazzismo
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Shawn Slovo
Sceneggiatura:Shawn Slovo
Fotografia:Peter Biziou
Musiche:Hans Zimmer
Montaggio:Nicolas Gaster
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Carolyn Clayton Cragg (Miriam Roth), Merav Gruer (Jude Roth), Barbara Hershey (Diana Roth), Jeroen Krabbe (Gus Roth), Albee Lesotho (Solomon), Jodhy May (Molly Roth), Linda Mvusi (Elsie)
Produzione:Working Title Production
Distribuzione:Bim
Origine:Gran Bretagna
Anno:1988
Durata:

101'

Trama:

Nel 1963 a Johannesburg, in Sudafrica, la tredicenne Molly Roth, figlia di due giornalisti bianchi molto attivi nella lotta contro l'apartheid, saluta addolorata una notte suo padre Gus, costretto a fuggire improvvisamente. Molly, rimasta con la madre Diana, con la nonna e con le due sorelline minori, Jude e Miriam, si accorge presto che nella elegante scuola, che frequenta, molte compagne la disprezzano come figlia di "traditori" e l'amica più cara la evita, specialmente quando Diana viene incarcerata per 3 mesi senza processo, e, rilasciata, è subito rinchiusa per altri 3 mesi. Le bambine sono rimaste sole con la nonna materna: specialmente Molly sentendo dolorosamente la mancanza dei genitori si affeziona ad Elsie, la giovane domestica nera, sorella di Solomon, uno degli irriducibili capi del movimento per l'uguaglianza nel Sudafrica. Frattanto Diana, che ha sempre resistito fieramente ai suoi carcerieri, in un momento di disperazione, temendo di poter denunciare qualche amico, tenta il suicidio. I suoi persecutori riescono a salvarla e debbono rilasciarla, perché contro di lei non ci sono prove decisive. Diana torna perciò a casa, ma è agli arresti domiciliari e in cattive condizioni di salute. Scoperto per caso il tentativo di suicidio della madre, Molly glielo rimprovera aspramente, rinfacciandole di non averle mai spiegato la propria attività e di aver trascurato lei e le sorelline per dedicarsi alla lotta politica. Giunge intanto la notizia della morte di Salomon, ucciso in carcere sotto tortura. Molly accompagna la madre al solenne funerale dell'amico, in mezzo alla folla di negri, che inneggiano violentemente alla lotta contro l'apartheid, e si sente finalmente completamente unita alla mamma, sia nella commozione e nel dolore, che nel bisogno di combattere con tutte le forze contro la drammatica situazione, che lacera il suo paese.

Critica 1:L'apartheid nel Sudafrica del 1963 attraverso gli occhi di una tredicenne bianca che rimprovera ai genitori, giornalisti comunisti, di occuparsi troppo delle lotte civili dei neri e troppo poco di lei. Gran Premio della Giuria a Cannes '88. Una storia privata fortemente emotiva inserita in grande conflitto politico. Evitati quasi tutti gli handicap del cinema di denuncia. Ottimo esordio alla regia dell'operatore C. Menges su una sceneggiatura (autobiografica) di Shawn Slovo.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Cinema politico, Africa, apartheid: tre scelte controcorrente che il pubblico dei grandi Rambo o dei piccoli Diavoli fiuta a distanza per disertare le sale. Tre scelte che Chris Menges fa sue per esordire come regista nel lungometraggio. Oscar per la migliore fotografia con UrIa del silenzio e Mission di Roland Joffè, Menges ha fotografato alcune delle migliori opere degli autori inglesi della sua generazione: Bill Forsyth, Ken Loach, Stephen Frears, Lindasy Anderson, Neil Jordan. Non meno formativa, a giudicare da questo debutto nel lungometraggio a soggetto, l'esperienza acquisita come documentarista. Nei primi anni Sessanta, operatore di attualità per la serie televisiva World in Action, percorre più volte l'Africa e l'Asia per documentare rivolte, guerre e insurrezioni. Più tardi, già famoso direttore della fotografia, gira tre documenti sulla droga: Opium Warlords, Opium Trail e East 113rd Street.
Questi brevi cenni biografici, se da una parte indicano che Un mondo a parte non è un prodotto del cinema d'autore, dall'altra assicurano che la scelta di Menges non è stata casuale. Il film in effetti è l'autobiografia dell'adolescenza della sceneggiatrice Shawn Slovo, protagonista e vittima di questo “mondo a parte”. È un mond a parte il Sudafrica, Paese dell'apartheid legalizzata. È un mondo a parte la società bianca, privilegiata di fronte alla maggioranza nera. È un mondo a parte la famiglia Roth, bianca ma separata dal mondo bianco. È un mondo a parte infine, quello della giovane Molly isolata in famiglia dal silenzio dei genitori.
Il film di Menges è apertamente politico, perfino radicale, ma non vuole ghettizzarsi in quest'ambito. Punta a platee eterogenee, ma non gioca per questo le carte della spettacolarizzazione. L'approccio alla politica è infatti filtrato dal dramma familiare. Non siamo tuttavia di fronte ad un espediente soltanto emotivo, ma a un tema narrativo necessitato e necessitante. Menges parla azitutto di un'infanzia perduta. Il rapporto madre-figlia è al centro dei film. Un rapporto problematico, competitivo come spesso quello tra madre e figlia, ma qui con l'elemento inconsueto dell'impegno politico clandestino che porta ad escludere come incompatibile ogni altro impegno. Diana, come il marito Gus, tace con la figlia Molly (tutti i nomi per pudore sono cambiati): per ragioni di si-curezza e perché non sa come educarla. Per lei il
privato non è ancora politico. Pur sentendosi in-compresa, la donna non ritiene prudente svelarsi alla figlia e soffre in silenzio. Da parte sua Molly, come tutti i ragazzi vuole essere al centro dell'at-tenzione dei genitori, ma, allo stesso tempo, si sente colpevole di rivendicare il loro interesse.
La sceneggiatura si preoccupa di minimizzare il contenuto politico per valorizzare il dramma della cellula familiare e il personaggio della ragazza. Gli scontri tra madre e figlia sono i momenti più tesi e felici dei film. Ma la tragedia di un popolo grava tutt'attorno e si riverbera in quello scontro. Nel microcosmo familiare si rivive il dramma dell'apartheid. La generazione dei padri non parla con quella dei figli. A poco a poco, attraverso lo sguardo di Molly, entriamo nella dimensione politica del film. La ragazza è costretta a crescere e a capire in fretta: avverte subito la disumanità dell'apartheid (trovando nella domestica nera, Elsie, e nel fratello di questa, Solomon, una dei pochi punti di riferimento nella sua solitudine) e finisce per percepire la violenza delle istituzioni. Come ha osservato Bruno Fornara, “è la decisione di Menges di condurre il film ad altezza di bambina a rendere il percorso di crescita e di scoperta emotivamente intenso e sorprendente”. Quest'educazione politica, forse troppo accelerata verso il consolatorio finale, è la parte più pregevole del film. Purtroppo Menges esita a raccontare tutto il film con gli occhi di Molly, e a documentare il Sudafrica anno 1963 in tutte le sue dimensioni, anche in quelle invisibili a un adolescente.
Nella sceneggiatura si intrecciano finzione e realtà. O, più esattamente, un tema umano fortemente emotivo viene inserito in un conflitto politico di ampio respiro. La bravura di Menges e della Slovo sta nel fare emergere una situazione di crisi a partire dallo studio preciso di un microcosmo sociale e familiare, rifuggendo dai momenti romanzeschi nei quali si era disperso Richard Attenborough alle prese con il Sudafrica in Grido di libertà. Anzi, proprio in contrapposizione con il pretenzioso film di sir Attenborough, risalta la qualità delle osservazioni politiche e la sottigliezza delle psicologie proposteci da questo film.
L'intrusione dell'infanzia nella politica consentono a Menges di darci un'opera originale e non l'ennesimo epigono di cinema sociale americano degli anni Cinquanta. Molly non è solo il veicolo per penetrare nel mondo misterioso degli adulti, ma il demiurgo per realizzare in terra e subito, come una piccola utopia, la fine dell'apartheid. Si veda, a questo proposito, la gioia fisica della ragazza nel suo rapporto con Elsie e Solomon o l'attenzione alla musica e alla lingua dei neri. Menges dirige con mano ferma, senza falsi passi, e, soprattutto senza puntare a virtuosismi di fotografia. Forse non rivela uno stile veramente personale e denuncia i debiti contratti con il cinema realista e documentaristico britannico. Al peso di questa scuola, più ancora che al bisogno di raccontare e di mostrare, forse si deve la già denunciata rinuncia a filmare gli avvenimenti con gli occhi della ragazza, come logica avrebbe voluto. La vecchia esperienza documentaristica di Menges offre tuttavia più di un apporto positivo. Le si deve il respiro della realtà, la parsimonia dei segni d'epoca, la capacità di sfuggire all'inganno delle scene-madri. Solo tra queste quinte possono acquistare autenticità ed emozione le due principali interpreti, Barbara Harshey e la giovanissima Jodhi May.
Autore critica:Giorgio Rinaldi
Fonte critica:Cineforum n. 281
Data critica:

1-2/1989

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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